quando la satira si rifiuta di essere responsabile
di Vladimiro Zagrebelsky
in “La Stampa” del 4 novembre 2020
Una discussione della vicenda cui le vignette del Charlie Hebdo hanno dato inizio, richiede, per chiarezza, una secca premessa. La violenza barbarica di chi sgozza francesi per vendicare l’Islam, come dopo la strage del 2015, porta oggi immediatamente a schierarsi: contro il mondo da cui emergono quei selvaggi assassini e accanto alla Francia, alla sua cultura e alla sua storia. Una cultura e una storia che tanto hanno contribuito al riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone, che costituiscono il carattere specifico della cultura liberale d’Europa.
Ciò che è in ballo è la libertà di espressione. È evidente. Ma nel caso specifico non vi sono forse
problemi? Problemi nostri, problemi di chi tiene alla libertà di espressione come a uno dei «diritti
più preziosi dell’uomo»; così leggiamo nell’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino, proclamata dall’Assemblea nazionale come primo atto della Rivoluzione del 1789.
La dimensione europea dei diritti e delle libertà è raccolta ora nella Convenzione europea dei diritti
umani, che afferma la libertà di opinione, di ricevere e di comunicare informazioni e idee, senza
ingerenze da parte di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiere. La Corte europea ha
affermato che la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali della società
democratica, una delle condizioni del suo progresso e dello sviluppo della personalità di ciascuno.
Essa vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate
inoffensive o indifferenti, ma – con il limite dell’istigazione all’odio, alla violenza e al razzismo –
anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano una qualunque parte della popolazione. È questa
un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non
esiste società democratica. Tuttavia, è una libertà che incontra limiti: tra gli altri specificamente per
il rispetto della reputazione e dei diritti altrui. La libertà di espressione è l’unico caso in cui la
Convenzione europea alla proclamazione aggiunge espressamente che il suo esercizio comporta
doveri e responsabilità. L’unico caso, come a sottolineare la speciale natura di quella libertà, che
mette sempre in relazione con l’altro o gli altri, i quali a loro volta hanno diritti che meritano
rispetto.
Si è dunque di fronte ad un diritto fondamentale che va difeso fermamente anche quando
infastidisce o urta gli altri e che però trova limite nei diritti altrui. Difficilissimo equilibrio che il
richiamo alla “responsabilità” cerca di assicurare e prevenire. Non si tratta di prevedere punizioni
per chi si sottrae al dovere di responsabilità, ma di denunciarne l’irresponsabilità rifiutando di
condividerla.
Dubito che quelle vignette pubblicate e ripubblicate siano compatibili con il dovere di
responsabilità. Si pretende che la satira abbia uno statuto speciale, di maggiore e assoluta libertà e
immunità. Si potrebbe convenire se servisse a garantire maggiore incisività, sintesi intelligente,
anche ferocia nella critica, ecc. Ma non si vede perché debba sottrarsi alla critica quando si traduca
in offesa diretta ed anche oscena. Tanto più quando si tratti di blasfemia e quindi colpisca il
sentimento religioso, che – citando ancora una volta la Corte europea dei diritti umani – costituisce
elemento tra i più essenziali dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita ed è bene
prezioso anche per gli atei, gli agnostici, gli scettici.
Il dovere di responsabilità implica attenzione alle conseguenze, anche a quelle che non si possono
giustificare, ma si provocano. Non si tratta di rinunciare a una propria libertà, ma di gestirla,
modularla e attuarla evitando posture narcisistiche indifferenti agli effetti sugli altri. Non è grave
gettare a terra un cerino. Ma non ignorando di essere in un pagliaio. La difesa della pubblicazione
delle vignette sarebbe necessaria conseguenza della laicità dello Stato. Però sostenere che quelle
pubblicazioni sono irresponsabili non confligge con la laicità, che è altra cosa. Il presidente
dell’Osservatorio della laicità francese ha definito la laicità dello Stato dicendo che essa riposa su tre
pilastri: la libertà di credere e di non credere, la neutralità dello Stato, l’eguaglianza dei cittadini,
tutti diversi tra loro, ma eguali nei diritti e nei doveri.
Subito dopo l’atroce decapitazione dell’insegnante di storia Samuel Paty la reazione corale fu
guidata e riassunta da un alto discorso commemorativo del presidente Macron. Il suo tono marziale
sembrava richiamare l’idea dello scontro di civiltà, rischiando di fare di quegli assassini i
rappresentanti del vasto e variegato mondo islamico. Una guerra sciagurata. Saremmo chiamati a
combatterla con quelle vignette come stendardo? Non c’è altro di meglio nel carattere delle società
europee e delle nostre libertà?
Ora lo stesso presidente corregge il tono e riconosce comprensibile lo choc risentito dai musulmani.
E allora ha senso chiedere se l’identità francese ed europea meriti veramente d’essere rivendicata
con la difesa, senza un accenno di critica, della pubblicazione -e ripubblicazione- di quelle vignette.