intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani

i cattolici alla sfida dei migranti

di Giuseppe Lupo
in “Il Sole 24 Ore”

“Proprio intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani: non solo Dio si traveste nei panni del migrante e del senza patria – è stato Cristo a raccontarcelo -, ma se avessimo più coraggio, se davvero fossimo convinti di ciò, andremmo a “inginocchiarci” ai piedi di costoro anziché tenerli in acque alla deriva o nelle gabbie dell’inciviltà e al termine del nostro operare finiremmo per ricevere dalle loro mani, paradossalmente, il battesimo di uomini”

È il caso di fissare bene le premesse di partenza, ma se i dati reali dovessero confermare quanto è stato annunciato dai recenti sondaggi – e cioè che l’elettorato di area cattolica simpatizzi apertamente per la linea dura del ministro Salvini sul tema degli immigrati tanto da raddoppiare i consensi all’interno di quell’area – ci sarebbe da chiedersi quanto ancora riesca a influire la presenza di una Chiesa, ufficialmente schierata su posizioni contrarie, nelle scelte di un ipotetico ritorno alle urne. Non che questo sia un discorso necessitante ai fini degli equilibri di una nazione, anzi è sempre stata negli auspici di un certo pensiero cristiano-riformista l’autonomia della politica rispetto a qualsiasi credo religioso. Qualcosa del genere, per esempio, è accaduto non tanto in occasione del referendum sull’aborto, quanto nella battaglia contro l’abrogazione della legge sul divorzio, nel 1974, anno chiave per la vicenda di un post-Sessantotto ancora tutto da digerire. In quella circostanza una certa parte dell’intellighenzia cattolica assunse posizioni non condivise dai vertici del clero e votò liberamente. Si trattò di un fenomeno le cui radici affondavano nei pronunciamenti di un cristianesimo dalle larghe vedute, ortodosso nella sostanza di fede ma disposto al dialogo con chi avesse opinioni opposte, per effetto di una temperie culturale che issava le sue bandiere nelle figure di Lorenzo Milani, Zeno Saltini, Giovanni Rossi, Ernesto Balducci, il cui apostolato trasse forza nei crismi di una testimonianza ad alto valore politico, riconoscendo nei poveri e nei sofferenti la più alta lezione evangelica. Quel che sta accadendo in queste settimane invece assomiglierebbe a una sorta di regressione rispetto ai principi di modernità a cui quelle lontane esperienze di fede ci avevano abituati. Vorrebbe dire, in altre parole, non riconoscere più il paradigma della solidarietà come forma di redenzione umana (tema sul quale Bruno Forte ha ammonito domenica su queste colonne), come veicolo attraverso cui la regola del vangelo possa approdare nel vissuto di tutti e poi, giorno dopo giorno, modificare per sempre le rotte della Storia. Sarebbe davvero un peccato che una nazione in grado di generare Cesare Beccaria cadesse nell’errore della dimenticanza. Il problema dunque va guardato alla radice, fuori dalla semplicistica verità di una cronaca che vede penalizzare soprattutto le regioni dove le questioni occupazionali diventano un dato asfissiante e dove il vissuto concreto della gente riflette uno stato di incertezza economica. Va discusso cioè in chiave etica, come effetto di un’incomprensione tra ciò che predicano i vertici della Chiesa – e anche alcuni organi di informazione come «Avvenire» e «Famiglia Cristiana» – e ciò che invece alligna in quel magma eterogeneo di persone che fa sua una contraddizione: vivere le pratiche religiose, dedicarsi a una delle tante associazione di volontariato per poi vestire i panni demagogici della paura che sfocia nell’accondiscendenza alla chiusura dei porti. Un fenomeno di questo tipo andrebbe a minare i caratteri di una nazione che ha fatto dell’accoglienza un principio riconosciuto nella propria carta morale, oltre che in quella costituzionale. L’atteggiamento degli ultimi tempi, questo regredire nella sfera del particulare, allontana i propositi di un cristianesimo che il Novecento ci aveva abituati a vivere nelle sue forme democratiche, facendolo uscire fuori dalle parrocchie e dalle sagrestie per avviarlo sulle strade di una cultura che si affidava alla matrice della carità, su cui la lezione di Paolo di Tarso poneva regole costitutive.

Penso a quanto fossero vicine alla carità le problematiche affrontate da Manzoni, il più illuminista degli intellettuali cristiani. Penso a quanto sia stato nelle profezie di un libro come Il quinto evangelio di Mario Pomilio, il cui desiderio di cercare Dio trovava realizzazione nell’indagine su un Dio ancora tutto da inseguire e da aspettare nei territori della memoria. Sembrerà strano evocare il nome di due scrittori dalla forte tempra morale in un contesto che riguarda navi cariche di uomini senza più terra, ma è proprio nelle pagine di questi autori che risiedono le risposte a quanto oggi ci indigna per la discrepanza tra l’azione di pronunciare parole vuote e subire il ricatto della paura o vivere nella malinconia del proprio tempo operando in nome di quelle stesse parole quando esse sono obbligate a diventare carne o Storia. Proprio intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani: non solo Dio si traveste nei panni del migrante e del senza patria – è stato Cristo a raccontarcelo -, ma se avessimo più coraggio, se davvero fossimo convinti di ciò, andremmo a “inginocchiarci” ai piedi di costoro anziché tenerli in acque alla deriva o nelle gabbie dell’inciviltà e al termine del nostro operare finiremmo per ricevere dalle loro mani, paradossalmente, il battesimo di uomini.

la sfida di papa Francesco al primo vertice umanitario mondiale

papa Francesco

a nessun rifugiato sia negata accoglienza

il messaggio del Pontefice al primo “Vertice Umanitario Mondiale” che si svolge oggi e domani in Turchia

la sfida: salvare vite umane, sostenere chi affronta emergenze e rimuovere le vere cause dei conflitti

 bambini affamati in zone di guerra
 luis badilla – francesco gagliano    

Nessuna famiglia deve essere privata di una casa, a nessun rifugiato va negata l’accoglienza, a nessun ferito siano negate le cure, nessun bambino sia privato della sua infanzia, nessun uomo e nessuna donna devono essere privati del futuro». Così papa Francesco in un messaggio al World Humanitarian Summit di Istanbul, letto in plenaria dal Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin.

«Oggi lancio una sfida a questo Summit: ascoltiamo il pianto delle vittime e di coloro che soffrono. Consentiamo loro di darci una lezione di umanità. Cambiamo i nostri stili di vita, politiche, scelte economiche, comportamenti e atteggiamenti di superiorità culturale», ha aggiunto il papa. 

«Imparando dalle vittime e da coloro che soffrono, saremo capaci di costruire un mondo più umano», ha concluso il pontefice nel suo messaggio. 

Dall’inizio del 2016, ieri, dopo l’Angelus Papa Francesco ha fatto riferimento al «Vertice Umanitario Mondiale» che si è aperto oggi in Turchia (Istanbul) tre volte. «Domani – ha detto – inizierà a Istanbul, in Turchia, il Primo Vertice Umanitario Mondiale, finalizzato a riflettere sulle misure da adottare per venire incontro alle drammatiche situazioni umanitarie causate da conflitti, problematiche ambientali ed estrema povertà. Accompagniamo con la preghiera i partecipanti a tale incontro perché si impegnino pienamente a realizzare l’obiettivo umanitario principale: salvare la vita di ogni essere umano, nessuno escluso, in particolare gli innocenti e i più indifesi. La Santa Sede prenderà parte a questo vertice umanitario, e per questo oggi è in viaggio per rappresentare la Santa Sede il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin».   

Sul Vertice, Francesco, parlò la prima volta nel suo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 11 gennaio scorso, dicendo: «La Santa Sede auspica che il Primo Vertice Umanitario Mondiale, convocato nel maggio prossimo dalle Nazioni Unite, possa riuscire, nel triste quadro odierno di conflitti e disastri, nel suo intento di mettere la persona umana e la sua dignità al cuore di ogni risposta umanitaria. Occorre un impegno comune che rovesci decisamente la cultura dello scarto e dell’offesa della vita umana, affinché nessuno si senta trascurato o dimenticato e altre vite non vengano sacrificate per la mancanza di risorse e, soprattutto, di volontà politica». 

A Lesbo

Infine, il 16 aprile scorso, nel suo discorso alla cittadinanza di Lesbo, Grecia, il Santo Padre sottolineò queste sue convinzioni: «Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra, bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza. In questa prospettiva rinnovo l’auspicio che abbia successo il Primo Vertice Umanitario Mondiale che avrà luogo a Istanbul il mese prossimo».

Ai diplomatici

Il fatto che sia il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, a rappresentare la Santa Sede al Vertice, cosa che il Papa ha voluto dire personalmente e pubblicamente, ieri, dimostra quanta sia per lui grande l’importanza e la posta in gioco di questo summit. Dai tre riferimenti fatti in cinque mesi, infatti, appare chiaro che Francesco considera che in quest’incontro sono tre le questioni centrali da affrontare con coraggio e lungimiranza: salvare vite umane, sostenere chi affronta emergenze e rimuovere le vere cause dei conflitti.

Le cifre e i trend

Le cifra degli esseri umani coinvolti oggi in emergenze umanitarie sono da brivido. Negli ultimi tre anni vi sono stati, e buona parte ancora irrisolti, oltre 400 conflitti di diversa natura (guerre, terrorismo, calamità ambientali, scarsità idrica, scontri etnico-religiosi, pressioni demografiche, repressioni statali contro le minoranze …) che non hanno fatto altro che acuire le conseguenze preesistenti della povertà di centinai di milioni di persone. Le sole emergenze climatiche ogni anno coinvolgono almeno 100 milioni di individui che fanno salire a 250 milioni il numero di esseri umani intrappolati in crisi umanitarie secondo i dati della Banca Mondiale, e intanto aumentano le persone in estrema povertà nei Paesi più fragili e che non sono capaci di far fronte a queste situazioni. La principale emergenza sono i profughi e sfollati che fuggono da un Paese a un altro, da un continente a un altro, oppure all’interno di un nazione senza varcare i confini. Negli ultimi anni sono stati costretti a fuggire oltre 60 milioni di persone e complessivamente oggi sono sempre in aumento. 

Ecco gli ultimi dati (2014): il rapporto annuale dell’Unhcr Global Trends riporta una forte escalation del numero di persone costrette a fuggire dalle loro case, con 59,5 milioni di migranti forzati alla fine del 2014 rispetto ai 51,2 milioni di un anno prima e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’incremento rispetto al 2013 è stato il più alto mai registrato in un solo anno. L’accelerazione principale è iniziata nei primi mesi del 2011, quando è scoppiata la guerra in Siria, diventata la principale causa di migrazione forzata a livello mondiale. Nel 2014, ogni giorno 42.500 persone in media sono diventate rifugiate, richiedenti asilo o sfollati interni, dato che corrisponde a un aumento di quattro volte in soli quattro anni. In tutto il mondo, una persona ogni 122 è attualmente un rifugiato, uno sfollato interno o un richiedente asilo. Se i 59,5 migranti forzati nel mondo componessero una nazione, sarebbe la ventiquattresima al mondo per numero di abitanti.

Le proposte dell’Unione Europea

In preparazioni a questo Vertice l’Unione Europea ha pubblicato un documento in cui riassume le sue posizioni sulla questione: «L’esito del vertice dovrebbe confermare i principi fondamentali comuni: i valori della dignità, dell’integrità e della solidarietà; i principi umanitari; il rispetto degli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale; l’impegno a mantenere le attività umanitarie distinte dagli interessi politici».

Diritto a essere aiutato

In secondo luogo, l’Unione Europea chiede che sia sempre garantito il diritto delle persone in stato di necessità ad accedere agli aiuti umanitari. In particolare si tratta di facilitare l’accesso degli operatori umanitari alle persone colpite, premessa fondamentale per erogare gli aiuti. Perciò l’UE insiste nel dire: i governi dovrebbero impegnarsi a garantire un ambiente sicuro per l’azione umanitaria. Inoltre dovrebbero disporre di un quadro giuridico e politico adeguato per agevolare l’accesso degli aiuti umanitari. 

Emergenze e vulnerabilità

In terzo luogo, per l’UE è necessario introdurre una nuova questione fondamentale nell’azione umanitaria: mettere la protezione delle persone al centro della risposta umanitaria, poiché le crisi umanitarie spesso rendono le popolazioni colpite vulnerabili allo sfruttamento e ai maltrattamenti. In altre parole, per l’UE, il mancato o insufficiente rispetto dei principi umanitari e del diritto umanitario internazionale aggrava l’insicurezza, le discriminazioni, gli abusi e le minacce alla vita. I più vulnerabili sono spesso i bambini, le donne e le ragazze, gli anziani e i disabili.

 

la tracotanza di Salvini

la sfida di Salvini a Papa Francesco

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I conflitti tra Chiesa e Carroccio durano da molti anni, ma si sono moltiplicati negli ultimi tempi sul rapporto con “gli altri”. E con le “altre” religioni. Con il leader leghista che si erge a unico difensore degli interessi territoriali. Contro la vocazione universale del cattolicesimo

papa-francesco

di ILVO DIAMANTI

Fra la Lega di Salvini e la Chiesa di Papa Francesco il clima dei rapporti non è propriamente evangelico. Al contrario: volano parole grosse se non proprio insulti. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha liquidato le critiche leghiste a papa Francesco come “affermazioni insulse di piazzisti da quattro soldi”. Il Pontefice, lo rammentiamo, aveva equiparato la scelta di respingere gli immigrati a un “atto di guerra”. Di più: “violenza omicida”. E, per questo, in precedenza, aveva chiesto “perdono”. Per le persone e le istituzioni che “chiudono la porta ai disperati che fuggono dalla morte e cercano la vita”. Parole gravi, riferite a una platea ampia. Perché è ampio il fronte degli “amplificatori della paura”. Che raccolgono – e alimentano – l’inquietudine sollevata dal flusso dei migranti. Ma Salvini si è affrettato a reagire. Perché si è sentito chiamato in causa, in prima persona. Ma anche perché, così, ha inteso “farsi carico”, in prima persona, di rappresentare le paure. Contro la minaccia dell’invasione. Così, da un lato, ha chiesto: “Quanti rifugiati ci sono in Vaticano?”. Per sottolineare l’atteggiamento “irresponsabile” della Chiesa. Mentre, dall’altro, ha sostenuto che chi difende l’invasione – ancora la Chiesa – “o non capisce o ci guadagna”. Puntando il dito sugli interessi dell’associazionismo cattolico. Sostenuto e finanziato con i fondi pubblici.

Il conflitto fra Lega e Chiesa (tematizzato da Roberto Cartocci in un bel libro di alcuni anni fa) è acceso. Proseguirà a lungo. Non solo perché gli sbarchi continueranno per molto tempo ancora. Ma perché le polemiche fra Lega e Chiesa durano da molto tempo. A partire dalle invettive di Bossi contro “il Papa polacco” e contro “i vescovoni”. I conflitti, però, si sono moltiplicati negli ultimi anni, proprio intorno a questo tema. Il rapporto con gli “altri”. Con le religioni degli “altri”. Con le “altre” religioni. Come nel 2009, quando la Lega di Bossi polemizzò aspramente contro il Cardinale Dionigi Tettamanzi. Arcivescovo di Milano. “Colpevole” di aver sostenuto il diritto di culto e di fede religiosa per tutti. Anche per gli islamici. E, quindi, in contraddizione con le “guerre di religione” contro i minareti e le moschee dichiarate dalla destra. Per prima, dalla Lega. Un tempo separatista, comunque padana e nordista, nel 2009 aveva proposto di inserire la croce nel tricolore. La Lega. Già allora si era “evoluta” in Lega nazionale. A difesa dell’identità cristiana del Paese. Per questo la polemica sollevata da Salvini non costituisce una rottura nella storia leghista. Ma si presenta, al contrario, in continuità con il passato, non solo recente. Soprattutto oggi che la “questione religiosa” incrocia la “questione politica” posta dai rifugiati e dai migranti. Salvini, traduce i messaggi e gli ammonimenti del Papa e di mons. Galantino non in accuse ma in titoli di merito. Che esibisce con orgoglio. La Lega: sta con Bagnasco come ha detto ieri Maroni. E Salvini si erge a difensore della sicurezza e, al tempo stesso,

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