tempi brutti per i rom – la storia triste dell’Europa si sta ripetendo a Roma con politiche di esclusione per i rom

Roma è un laboratorio delle politiche di esclusione dei rom

all’interno del Camping River, Roma, il 24 luglio 2018

Nel primo pomeriggio del 17 luglio 2018 un uomo si è affacciato dalla sua casa al settimo piano di un palazzo di via Palmiro Togliatti, a Roma, e ha sparato con una carabina ad aria compressa colpendo una bambina di 15 mesi, Cirasela, che era in braccio a sua madre sul marciapiede della strada a scorrimento veloce nella periferia orientale della capitale.

Con il marito e i figli la donna stava rientrando nella sua baracca, costruita in un affossamento sotto il ciglio della strada, in un campo nascosto alla vista dei passanti dietro a dei cespugli di erbe infestanti e a una recinzione, in cui vive da qualche anno.

Si è sentito uno sparo, la bimba è scoppiata a piangere e i genitori si sono accorti che perdeva sangue da una spalla: è stata subito chiamata un’ambulanza che ha portato Cirasela all’ospedale dove è stata operata d’urgenza. Dalla schiena della bambina è stato estratto “un corpo metallico molto simile a un piombino di una pistola ad aria compressa”. Dopo qualche giorno di ricovero in terapia intensiva all’ospedale Bambin Gesù di Roma, la bambina è stata trasferita nel reparto in cui è ancora ricoverata. Rischia danni permanenti alla deambulazione a causa di una lesione vertebrale che ha toccato il midollo spinale.

Il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione

Qualche giorno dopo la sparatoria, i carabinieri hanno individuato l’uomo che ha sparato. Si tratta di un pensionato di sessant’anni, ex impiegato del senato, che ha ammesso di aver usato la sua carabina ad aria compressa, ma assicura di aver colpito la bambina per errore.

Il padre di Cirasela, Otet Alinna, non è convinto che si sia trattato di un errore: “Se fosse stato solo uno sbaglio, l’uomo sarebbe venuto in ospedale, ci avrebbe chiesto scusa. Io lo avrei capito”, dice Alinna. Invece i genitori di Cirasela hanno saputo che lo sparo era stato esploso da un appartamento al settimo piano di un palazzo solo qualche giorno dopo l’accaduto, all’inizio avevano pensato a qualcuno che aveva sparato da un’auto in corsa. Ora hanno paura che la salute di Cirasela sia compromessa per sempre.

Anche le altre famiglie rom che abitano nella zona e frequentano un parco alberato a pochi passi dall’accampamento temono che i loro bambini possano essere di nuovo attaccati da qualcuno. L’accusa contro l’uomo che ha sparato è di lesioni aggravate, ma per ora gli inquirenti escludono il movente razzista.

Per le associazioni che si occupano dei rom nella capitale, tuttavia, il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione. A Roma, anzi, ancora resiste il “sistema dei campi” per cui l’Italia è stata richiamata diverse volte dalle autorità europee. L’Italia è uno dei paesi dell’Unione europea dove abitano meno rom (tra le 120mila e le 180mila persone, lo 0,2 per cento della popolazione). Dagli anni ottanta, in alcune città italiane si è deciso di sgomberare gli accampamenti spontanei e di confinare i rom, i sinti e i camminanti all’interno di campi di container gestiti dallo stato, lontano dalle città. Roma è la città con più campi statali e in questi insediamenti vivono circa cinquemila persone. Oltre ai campi riconosciuti ci sono poi molti campi informali.

Da diversi anni una sessantina di persone vive nell’accampamento informale in cui stava Cirasela con i suoi genitori: sono famiglie di rom romeni arrivati in Italia dopo l’entrata della Romania nell’Unione europea nel 2007, lavoratori stagionali arrivati nella capitale con l’idea di rimanere per un breve periodo. Vivono in campi informali senza servizi, sempre a rischio di essere sgomberati, in particolare nel quadrante orientale della città in cui c’è una presenza storica della comunità rom.

I sette campi rom ufficiali a Roma -

i sette campi rom a Roma

 

Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, racconta come già lo scorso anno proprio in quell’insediamento fosse scoppiata una forte tensione tra gli abitanti del quartiere e le famiglie rom. Nel luglio del 2017 il campo era stato distrutto da un incendio partito da un centro sportivo nelle vicinanze. Le fiamme avevano costretto le famiglie a trasferirsi temporaneamente nel parco vicino e poi in altre piazzole lungo via Palmiro Togliatti. Quando poi è rinata l’erba nello spazio in cui sorgeva il primo accampamento, le famiglie sono tornate a viverci.

Tuttavia, nel corso dell’estate la permanenza delle famiglie nel parco giochi aveva infastidito gli abitanti dei palazzi limitrofi che avevano protestato con le autorità cittadine. Ma invece di trovare una soluzione per le famiglie rom in emergenza abitativa, le autorità avevano deciso di chiudere la fontanella di acqua potabile nel parco giochi in modo da rendere ancora più inospitale lo spazio. “Con le temperature estive molto alte e la situazione difficile delle famiglie la chiusura della fontanella è stato un accanimento, senza che fosse risolta la tensione che si era creata con gli abitanti dei palazzi”, dice Stasolla.

Per il presidente della 21 luglio ci sono “responsabilità dell’amministrazione” perché l’insediamento di Palmiro Togliatti esiste da circa otto anni, è poverissimo e viene ciclicamente sgomberato, senza che sia trovata una soluzione definitiva per le persone che ci abitano, che finiscono per spostarsi di pochi metri lungo via della Serenissima per poi tornare dopo poco tempo nel vecchio insediamento.

Il presidente dell’Associazione 21 luglio conferma che sono circa 1.800 i rom che nella capitale vivono in campi informali in una situazione di emergenza abitativa, ma accusa anche l’amministrazione capitolina di non avere nessun piano per il superamento di questa situazione. Anzi negli ultimi mesi gli sgomberi sono aumentati e i rom che vivono in emergenza abitativa sono tornati a essere strumentalizzati in “una vera e propria operazione di propaganda” dell’amministrazione capitolina che ha l’appoggio del governo nazionale, accusa Stasolla.

Lo sgombero del Camping river

Esemplificativo di questa strategia è lo sgombero del Camping River, un campo rom a Prima Porta, nella zona settentrionale della città, avvenuto il 26 luglio, nonostante la Corte europea dei diritti umani ne avesse chiesto la sospensione. Circa duecento famiglie sono finite per strada, cacciate dall’unico campo rom della città in cui le condizioni di vita erano accettabili e dove c’era un alto tasso di scolarizzazione tra i bambini.

Il campo era da tempo sotto minaccia di sgombero, ma negli ultimi mesi la situazione aveva subìto un’accelerazione fino a quando la mattina del 26 luglio è andata in scena l’evacuazione e la demolizione del campo da parte delle forze dell’ordine, dopo un incontro tra il ministro dell’interno Matteo Salvini e la sindaca di Roma Virginia Raggi in cui il ministro ha garantito il suo sostegno politico all’operazione. Per motivare lo sgombero, l’amministrazione capitolina ha portato ragioni igienico-sanitarie. Mentre l’operazione era in corso il ministro Salvini ha twittato: “Finalmente si sgombera il Camping River”.

Ma il Camping River non era un campo spontaneo, era stato allestito dall’amministrazione comunale. Era un’ex rimessa di camper in cui nel 2005 la giunta di Walter Veltroni aveva allestito dei container per dare alloggio a duecento persone che erano state sgomberate da un insediamento informale nella zona dell’ex Snia, nel quartiere Prenestino. Nel campo erano in seguito state trasferite famiglie rom romene e dell’ex Jugoslavia. Nel 2010 al gruppo iniziale di famiglie si era aggiunto un altro gruppo di sessanta persone di origine kosovara appena sgomberate dal campo Casilino 900, nella periferia est della città.

Il campo sorgeva su un’area privata e il comune aveva sottoscritto una convenzione con il proprietario del Camping River Massimo Fagiolari che veniva pagato per i servizi che offriva tra cui la guardiania. “Dopo l’esplosione dell’inchiesta Mafia capitale nel 2014 (anche se il Camping River non è stato direttamente coinvolto), c’è stata una maggiore attenzione dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) perché nel caso del River c’era stata un’assegnazione diretta”, spiega Carlo Stasolla. Per questo, prima il commissario Francesco Paolo Tronca e poi la sindaca Virginia Raggi hanno indetto un bando per l’assegnazione della convenzione.

“Il bando sembrava fatto ad hoc per il Camping River, infatti l’organizzazione che lo gestiva fu l’unica a partecipare”, racconta Stasolla. Nella primavera del 2017 il bando fu però dichiarato inidoneo e poche settimane più tardi, il 31 maggio 2017, la sindaca Raggi presentò il piano rom, nel quale qualche giorno dopo incluse con una delibera specifica anche il Camping River. Nel progetto si annunciava che entro il 2020 sarebbero stati chiusi tre campi, quello della Barbuta, quello di Monachina e il Camping River, usando 3,8 milioni di euro stanziati dall’Unione europea.

Dal 1 luglio al 30 settembre 2017 è partita la prima sperimentazione e si è cominciato proprio con il Camping River. L’ufficio rom, sinti e caminanti del comune di Roma aveva mandato una lettera a tutti gli abitanti del campo – che all’epoca erano più di quattrocento – fissando al 30 settembre la chiusura del campo e in contemporanea aveva cominciato le indagini patrimoniali sulle famiglie per capire chi avesse diritto a entrare nel piano rom. Era emerso che la maggioranza (370 persone) degli abitanti del campo aveva un reddito e un patrimonio inferiore ai diecimila euro all’anno e perciò aveva diritto a entrare nel piano che prevedeva alcune misure di sostegno come un buono affitto fino a ottocento euro al mese per due anni.

Dopo le elezioni si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative

Quando sono cominciati i colloqui con le famiglie si è compreso subito che in così poco tempo non era possibile trovare delle case in affitto, così la chiusura era stata spostata al 31 dicembre 2017. “Molte famiglie durante i colloqui chiedevano come potevano trovare un affitto dato che nessuno avrebbe mai affittato una casa a una famiglia rom senza reddito”, racconta Stasolla. E infatti nel corso dei mesi solo pochissime persone sono riuscite a firmare un contratto di affitto e a beneficiare del piano.

Tuttavia, dopo le elezioni di marzo 2018 la situazione è precipitata e si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative per gli abitanti del campo. “Il 26 aprile è cominciato il presidio permanente dei vigili al campo e quello di solito è il segnale che lo sgombero è imminente”, racconta Stasolla.

Il 13 luglio la sindaca Raggi ha firmato un’ordinanza in cui chiedeva alle famiglie del River di lasciare il campo entro 48 ore dalla notifica del provvedimento. Lo sgombero è arrivato la mattina del 26 luglio, le persone sono state fatte uscire dal campo, 38 di loro hanno accettato i posti in accoglienza messi a disposizione dalla Sala operativa sociale. Una soluzione che è temporanea (dura al massimo per due mesi) ed è destinata solo alle persone più vulnerabili come le donne con i bambini.

Le donne hanno dovuto però accettare di essere separate dai mariti e di entrare nei centri solo con i loro figli minorenni. Diciannove persone hanno accettato di partecipare ai programmi di rimpatrio volontario in Romania, ma la maggior parte degli sgomberati del Camping River ha dovuto trovare un’altra sistemazione temporanea a casa di amici oppure è rimasto a dormire per strada.

Per prendere le distanze da Salvini, Raggi ha spesso parlato di “terza via” per risolvere la situazione dei rom a Roma: né campi né sgomberi sembrava essere la posizione della sindaca. Ma di fatto nel progetto pilota del Camping River è avvenuto uno sgombero forzato senza che nessuna terza via fosse di fatto sperimentata.

“Se volessimo tirare le fila di tredici mesi di lavoro dell’amministrazione capitolina per superare il Camping River secondo la strategia d’inclusione rom restano, al di là delle violazioni dei diritti umani, i numeri: delle 359 persone ammesse alle azioni del piano rom, alla fine solo il 9 per cento è rientrato nei programmi di rimpatrio assistito o sostegno all’affitto”, sottolinea Carlo Stasolla.

“Il 52 per cento delle famiglie non ha trovato alcuna soluzione e ora è in strada, mentre al 30 luglio 2018 risultano 123 le persone collocate in strutture di emergenza, dove, come da accordi verbali, resteranno solo fino al 30 settembre 2018. Per questa accoglienza il comune di Roma dovrà spendere una cifra stimata di circa 400mila euro”, continua.

“Quello che più ci allarma sono le falsità raccontate ai cittadini durante lo sgombero, una serie di affermazioni che ci fanno pensare alla propaganda e dobbiamo sempre ricordare che di solito le politiche che sono sperimentate sui rom poi vengono applicate anche ad altri settori della società, a partire da quelli più marginali. Ora vedremo che succederà nei grandi campi di Monachina e Barbuta”, conclude Stasolla.

la pulizia etnica in Toscana

‘Nazione Rom’ sugli sgomberi:

“in Toscana si fa pulizia etnica!”

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“Stamani a Cascina, Pisa, zona San Prospero, l’ultimo sgombero di famiglie Rom. Sul posto direttamente il Sindaco Susanna Ceccardi insieme a Polizia di Stato, Carabinieri e Polizia Municipale.  Alle famiglie sono state requisite le roulotte unica abitazione posseduta e non è stata garantita nessuna soluzione abitativa alternativa. Sono gli effetti dell’ordinanza emanata dal Sindaco recentemente eletto nelle liste della Lega Nord.

Prima di lei, il Sindaco di Portoferraio, seguito da tutti i Sindaci dell’Isola d’Elba, aveva emanato un’altra ordinanza fortemente contestata dalla Prefettura di Livorno. Altre famiglie Rom allontanate dal territorio senza nessuna soluzione abitativa offerta per i cittadini sgomberati. 

Anche a Livorno, negli stessi giorni, in Via del Levante, altre famiglie di etnia Rom, tutte poverissime venivano cacciate e le loro precarie abitazioni distrutte.

Nessuna alternativa abitativa veniva offerta dal Sindaco Filippo Nogarin eletto nella lista del Movimento 5 Stelle. 

Ieri a Viareggio, in Provincia di Lucca, altre famiglie di etnia Rom sgomberate da un casolare nei pressi di Torre del Lago. Nessuna soluzione alternativa offerta.

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A Firenze mentre ripartono le campagne mediatiche razziste e diffamatorie anti Rom, da parte delle testate giornalistiche, sulla Stazione Fs di Santa Maria Novella, il Sindaco Dario Nardella eletto nelle liste del Partito Democratico, continua a cacciare i poveri dalla città. Emblematico il caso di Piazza Santissima Annunziata, dove si è recentemente recato l’Assessore alla Sicurezza Federico Gianassi. Questi, coadiuvato dalla Polizia Municipale, ha sequestrato i vestiti di giovani e poverissime donne Rom, accusate di usare le fontane pubbliche per rinfrescarsi dalla calura estiva ed usarle come lavatoio. Donne, intere famiglie che non hanno una casa ne un posto dove dormire.

Cosa succede nella “rossa” Toscana? E’ evidente. Siamo di fronte ad un tentativo di pulizia etnica della regione, un tentativo messo in atto da tutti i partiti rappresentanti nell’arco istituzionale: Partito Democratico, Cinque Stelle , Lega Nord. Questo è il nuovo partito della nazione. Un partito razzista incapace di risolvere positivamente i problemi di sicurezza, di vita, di abitazione, di lavoro dei cittadini. I Rom sono infatti cittadini come tutti gli altri. La pulizia etnica in corso una grave violazione dei diritti umani. Un quadro di illegalità istituzionali di rara gravità.

Nel frattempo la Città Metropolitane di Firenze ha ricevuto dalla Commissione Europea, nel corso del 2015, la cifra economica di 893 milioni di euro per un programma denominato PON METRO, denaro pubblico  investito sulle 14 città metropolitane, tra cui il capoluogo toscano. Il programma è gestito nazionalmente dall’Agenzia di Coesione Territoriale.  Altro denaro è stato ricevuto dalla Regione Toscana attraverso i programmi denominati Fes, Fesr, Feasr 2014 – 2020.  

Si tratta complessivamente della somma economica di 32 miliardi di euro, il 20% dei quali destinati all’inclusione sociale dei poveri, dei Rom, Sinti e Caminanti. Dove è finito questo denaro? Come mai i programmi di inclusione non vengono attuati dalle istituzioni fiorentine, toscane e nazionali?

In data 24 giugno 2016, Marcello Zuinisi legale rappresentante ANR si è rivolto alla Stazione dei Carabinieri di Viareggio ed alla Procura della Repubblica denunciando alcuni dei responsabili istituzionali della frode europea in corso in Italia: Matteo Renzi, Maria Elena Boschi ed Enrico Rossi sono tra questi.

 ANR chiede il rispetto della legge e dei programmi e la fine della pulizia etnica: non si combattono i poveri ma si combatte la povertà e le cause che la determinano. Questo l’unico modo per uscire dalla crisi che attanaglia Firenze, la Regione Toscana e l’intero paese”.

la UE protesta con Renzi per gli sgomberi dei rom

Milano, 19 febbraio 2016 – 15:45

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il consiglio Ue scrive a Renzi:

 

“no agli sgomberi violano gli accordi”

il commissario per i diritti umani Nils Muižnieks scrive al premier:

« Preoccupa l’aumento degli allontanamenti forzati nella Capitale»

«Caro Presidente, sono seriamente preoccupato dalle notizie sugli sgomberi di famiglie rom in diverse località italiane, soprattutto a Roma e Milano»

Così cominciala lettera che il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks ha indirizzato al premier Matteo Renzi, per chiedere il rispetto delle procedure internazionali. «Ogni sgombero effettuato senza le dovute garanzie procedurali e senza l’offerta di soluzioni abitative alternative adeguate rappresenta una seria violazione degli obblighi internazionali da parte dell’Italia. Con dispiacere osservo la continuazione delle politiche del passato».

Le violazioni

In effetti, non è la prima volta che il commissario lettone prende carta e penna contro l’Italia. Nel novembre del 2013, dopo una visita a Roma, aveva già scritto all’allora sindaco Ignazio Marino sempre per denunciare le condizioni di vita di rom e sinti. Non solo: come ricorda Muižnieks a Renzi, il Consiglio d’Europa ha già contestato all’Italia due violazioni (relative al 2005 e al 2010) dell’articolo 31 dell’European Social Charter a causa delle «inadeguate condizioni abitative e degli sgomberi forzati di rom e sinti».

 

L’allarme a Roma

Nella lettera Muižnieks si dice «particolarmente allarmato dall’incremento del numero degli sgomberi forzati a Roma, dove ben 64 allontanamenti sono stati condotti dopo il 13 marzo del 2015 (giorno dell’annuncio del Giubileo della Misericordia, ndr) secondo quanto sostiene l’Associazione 21 Luglio». Sgomberi che, in molti casi, «vengono portati avanti senza una notifica formale o sufficiente preavviso e, fatto ancora piu’ grave, senza un reale dialogo con i diretti interessati – scrive ancora il Commissario -. Ho ricevuto notizie di famiglie rom diventate homeless visto che non è stata offerta loro nessuna alternativa oppure che l’unica soluzione offerta è stata il ricollocamento e segregazione nei campi per soli rom».

Basta con la logica dei campi

Proprio la onlus 21 Luglio – che si occupa di difendere i diritti delle comunità rom e sinti della Capitale e che ha lanciato l’appello internazionale #PeccatoCapitale per chiedere lo stop degli sgomberi durante il Giubileo – aveva accompagnato Muižnieks in giro per i campi nomadi romani, quelli «regolari» e quelli del tutto abusivi. «Durante la mia visita ho potuto osservare in prima persona le condizioni al di sotto degli standard in cui vivono i rom nei dintorni di Roma, sia negli insediamenti informali che nei “villaggi attrezzati” autorizzati. La segregazione che caratterizza questi ultimi – si legge nella lettera – mina seriamente le possibilità per gli abitanti di ricevere istruzione, avere accesso al lavoro, interagire con persone non rom e integrarsi nella società. Per questo, i “villaggi attrezzati” non possono essere considerati delle alternative abitative adeguate nel contesto degli sgomberi forzati».

espulsioni dei rom: la condanna dell’Onu

Onu

Francia e Bulgaria cessino espulsioni forzate Rom

sgomberi anche in altri Paesi Ue tra cui Italia, Ungheria

 

(ANSA) – GINEVRA 

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein ha espresso grave preoccupazione per le espulsioni forzate di Rom e nomadi in diversi Stati europei e in particolare i recenti episodi di sgombero in Francia e Bulgaria. In Francia “sta diventando sempre più evidente che esiste una politica nazionale sistematica di espulsioni con la forza dei Rom”, ha detto Zeid in un comunicato reso noto oggi a Ginevra.

Gli sgomberi forzati di rom e nomadi sono continuati negli ultimi anni in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, ma anche in Albania, Repubblica Ceca, Francia, Grecia,Ungheria, Romania, Russia, Serbia, Turchia e Regno Unito, afferma l’Onu.

In Francia, lo sgombero forzato di oltre 150 abitanti del bidonville del Samaritain a La Courneuve il 28 agosto si è svolta senza un preavviso di almeno 24 ore al giorno e un riparo è stato offerto solo a una manciata di famiglie. L’Alto Commissario ha osservato che gli eventi a La Courneuve sono solo l’ultimo di una serie di espulsioni forzate di migranti rom in Francia dal 2012 ed altre sarebbero previste.

In Bulgaria, lo scorso 7 settembre, le autorità hanno proceduto all’espulsione dei Rom del campo di Kremikovtzi (Gurmen) e secondo fonti della società civile, nessuna sistemazione alternativa è stata offerta. Un totale di 41 persone, tra cui 21 bambini risulterebbero senza casa, riferisce l’Onu.

un popolo nel mirino … capro espiatorio delle nostre paure

Rom e Sinti, tra sgomberi forzati, parole d’odio e falsi miti

di Andrea Scutellà

‘il rapporto dell’Associazione 21 Luglio’ : “aumentano gli sgomberi per il Giubileo”

 in Italia abita lo 0,25% dei Rom; solo il 3% di loro è nomade. In 40mila vivono nei campi. C’è chi in Tv li definisce “feccia della società”: ma i bambini hanno un’aspettativa di vita è inferiore di 10 anni e all’Università non arrivano mai

Roma – È il 9 luglio 2014, in riva al fiume Aniene. Trentanove  persone di etnia Rom subiscono uno sgombero forzato dal loro accampamento, in via di Val d’Ala. Supportate da Amnesty International e dall’Associazione 21 Luglio chiedono una sistemazione alternativa. “Dopo ore di intense trattative – riporta una nota dell’Associazione 21 Luglio – ai rom viene offerta l’accoglienza all’interno dell’ex Fiera di Roma”. Il 30 novembre, però, arriva la notifica di uno sgombero imminente. I 15 nuclei familiari verranno rimpatriati in Romania. Salvo trovarsi, di nuovo, a fine febbraio 2015, in riva al fiume Aniene. “Lo sgombero forzato ha avuto un costo totale di 168.400 euro, senza che sia stata trovata alcuna risposta adeguata alle famiglie coinvolte”. Ecco un chiaro esempio di “Gioco dell’Oca”, che 21 Luglio denuncia nel suo primo rapporto nazionale: presentato proprio l’8 aprile, nella giornata internazionale dedicata ai Rom, Sinti e Camminanti.

Giubileo in vista: aumentano gli sgomberi. “Dopo l’annuncio del Giubileo, nel periodo compreso tra il 13 e il 30 marzo – spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio – si è passati da una media 2 sgomberi al mese a 6 a settimana. C’è un libro di Tano D’Amico sull’evento del 2000, che si intitola Il Giubileo nero degli zingari. Alle istituzioni suggerirei di evitare questo rischio”. Una preoccupazione condivisa da Riccardo Magi, presidente dei Radicali italiani e consigliere comunale di Roma. “Il rischio – precisa – è quello di cedere a interventi di decoro o pulizia della città in netto contrasto con le politiche sociali”. L’esempio della comunità di via Val d’Ala è dietro l’angolo. “Gli sgomberi, lasciando la situazione invariata, muovono tre cose – conclude Stasolla -: i rom, i soldi e i voti”. Cacciare una comunità rom, infatti, è di sicuro appeal elettorale.

A Milano si sgombera per l’Expo. “Lo sgombero come metodo è legittimo” precisa Carlo Stasolla “ma diventa forzato quando non si rispettano i parametri stabiliti dalle organizzazioni internazionali”, cioè quando manca un preavviso sufficiente e le giuste alternative alla vita in strada per le famiglie. A Roma, lo scorso anno 34 sgomberi forzati hanno coinvolto circa 1.135 persone, secondo i dati forniti da 21 Luglio. A Milano, invece, 191 sgomberi hanno riguardato oltre 2.200 persone. Secondo le Associazioni Naga e Errc vengono chiamati “allontanamenti medio-grandi” quelli eseguiti per opere legate all’Expo e “micro-allontamenti” quelli “frutto della pressione di cittadini” che spesso non rispettano “la normativa vigente”.

Il sistema dei campi e i flussi di denaro in aumento. “Dal 2000 l’Italia è stata definita il Paese dei campi”. L’Associazione 21 luglio nel suo rapporto denuncia con forza “la politica segregante volta a gestire e a mantenere un sistema abitativo parallelo per soli rom, ovvero su base etnica“. Un sistema che è costato alla sola città di Roma circa 22 milioni di euro nel 2013, secondo “Campi Nomadi spa”, un documento prodotto da 21 luglio nel 2014, che aveva anticipato la collusione tra politiche sociali e malaffare emersa con l’inchiesta Mafia Capitale. L’Associazione annuncia un “Campi nomadi bis” in uscita il 6 maggio, focalizzato sullo scandalo dei centri di raccolta “temporanei” dei rom. Stasolla non si sbottona troppo sui flussi di denaro diretti verso i campi, ma anticipa che “non sono diminuiti, anzi sono aumentati rispetto al passato”.

La longa manus della Cooperativa 29 giugno. Il solo “villaggio” di Castel Romano, su cui era stesa la longa manus della Cooperativa 29 Giugno, sarebbe costato, secondo le stime di 21 Luglio, oltre 5 milioni di euro. Ancor più preoccupante diviene il fatto se paragonato “con quanto il Governo italiano ha dichiarato di avere destinato a politiche di inclusione rivolte ai rom nel documento presentato in sede di Revisione Periodica Universale presso le Nazioni Unite (senza specificare l’arco temporale): 19.830.000 euro”.

?Dall’emergenza all’inclusione.? Erede della sciagurata stagione della “emergenza nomadi” (2008-2011)  –  che permise di agire in deroga a diverse leggi nella gestione dei campi  –  la Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti  (2012) “ce l’ha chiesta l’Europa” ed è imperniata su 4 cardini: alloggio, salute, impiego e istruzione. La stagione “emergenziale” si è conclusa a suon di sentenze, considerata illegittima dal Consiglio di Stato nel 2011, con conferma della Cassazione nel 2013. Ad oggi, nonostante i buoni propositi, l’attuazione del nuovo piano vive di ritardi e confusioni.

I rischi della discrezionalità dei Comuni. La discrezionalità degli enti locali non solo nei confronti delle istituzioni nazionali, ma anche nei rapporti reciproci, per l’applicazione dei provvedimenti “può condurre a situazioni in contrasto con la Strategia”, sottolinea 21 Luglio. “I Comuni possono attivare misure proprie a prescindere dagli orientamenti delle Regioni (…) come di fatto avviene”. Le politiche figlie delle vecchie logiche emergenziali, come la costruzione di nuovi campi, sono costate dal 2012 ad oggi, secondo i calcoli di 21 luglio, circa 13 milioni di euro. Inoltre l’attivazione dei tavoli regionali, fulcro del piano, procede a rilento: a febbraio 2015 erano operativi appena 10 su 20 previsti. Regioni con una consistente percentuale di popolazione rom, come Lombardia e Veneto, sono ferme al palo. Il tavolo del Lazio, invece, pur istituito, non è ancora stato convocato.

Numeri di una percezione sballata. Gli organismi internazionali hanno spesso sottolineato come in Italia manchino adeguati strumenti di monitoraggio per valutare l’inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti. I pochi numeri che ci sono, frutto di stime e non di censimenti, bastano a confutare alcuni luoghi comuni. Non solo l’Italia non è “invasa” dai rom, ma, tra i paesi europei, è quello che ne ha le percentuali più basse: appena lo 0,25% sul totale dei residenti. Metà di loro ha la cittadinanza italiana. Le stime del Consiglio d’Europa oscillano tra le 120mila e le 180mila persone, di cui 40mila vivono nei “campi nomadi”. A proposito di nomadismo, c’è un altro mito da sfatare: appena il 3% dei rom continua a viaggiare, secondo il Rapporto Conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia diffuso dalla Commissione Diritti Umani del Senato nel 2011.

Baraccopoli e magazzini. I luoghi in cui abitano i rom rientrano spesso nella definizione di baraccopoli stabilita dall’Un-Habitat delle Nazioni Unite. Gli abitati “sono spesso delimitati da recinzioni” e “videosorvegliati”, si legge nel rapporto di 21 Luglio. Sono “al di fuori del tessuto urbano e distanti dai servizi primari, come scuole, ospedali e supermercati” tantoché “l’isolamento spaziale spesso si traduce in isolamento sociale”. Le “condizioni igienico-sanitarie” sono “critiche” e le “unità abitative sono temporanee, solitamente bungalow, container o roulotte”. Il “Best House Rom”, il discusso centro di raccolta temporaneo di Roma senza luce e aria naturale in cui vivono 300 rom ormai da 2 anni, è accastato come magazzino. La segregazione sulla base dell’origine etnica, inoltre, potrebbe costare all’Italia l’ennesima procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.

I minori rom. Oltre il 60% dei rom presenti in Italia hanno meno di 18 anni, secondo Opera Nomadi. Di questi “almeno 15mila” sarebbero “a rischio apolidia”. La condizione, cioè, di inesistenza di fatto per la burocrazia italiana, che ha ripercussioni gravissime sulla vita quotidiana: l’impossibilità di avere un pediatra o un medico di famiglia, di iscriversi a scuola, di contrarre un prestito, un mutuo, di prendere la patente di guida, di iscriversi alle liste di collocamento. Di vivere, insomma.

Un bambino ha  possibilità di laurearsi prossime allo zero. Un bambino che vive in un “campo nomadi” in Italia, secondo le stime raccolte da 21 Luglio, ha possibilità prossime allo 0 di intraprendere un percorso universitario e neanche l’1% di frequentare le scuole superiori. Tra la scuola primaria e la secondaria di primo grado abbandonano il 50% dei minori rom e sinti. Circa il 95%, invece, getta la spugna tra le medie e le superiori. Infine un bambino appartenente alle minoranze zigane ha un’aspettativa di vita di 10 anni inferiore rispetto a un collega gagè. E dire che i progetti di scolarizzazione dei rom, nel solo Comune di Roma, sono costati 3,2 milioni nell’anno solare 2014.

E tocca pure sentire quello della Lega: “Sono la feccia della società”. “I rom sono la feccia della società” dice in diretta Tv l’europarlamentare della Lega Nord, Gianluca Buonanno. Un’affermazione dell’arguto deputato che ha scatenato l’applauso del pubblico di Piazza Pulita, immediatamente stigmatizzato dal conduttore Corrado Formigli. Nel 2014 altri 442 discorsi d’odio  –  calco dell’inglese hate speech  –  hanno afflitto il dibattito pubblico italiano, “di cui 204 ritenuti di particolare gravità”. L’87% dei questi discorsi sono stati pronunciati da uomini politici. Ne risulta un bombardamento quotidiano da parte di alcune forze politiche contro i Rom, i Sinti e i Camminanti.

Sentimenti antizigani. Non deve stupire, allora, il triste primato risultato dal sondaggio del Pew Research Centre, secondo cui l’85% degli italiani esprime sentimenti antizigani. Per ogni Buonanno che parla c’è una folla pronta ad applaudire. Una volta acclamata, la parola, non fatica a trasformarsi in azione: da parte dell’istituzioni  –  Borgaro, provincia di Torino: un sindaco Pd e un assessore ai trasporti di Sel hanno pensato a una linea bus dedicata esclusivamente al servizio tra il campo rom e il capolinea  –  della società civile  –  “È  severamente vietato l’accesso agli zingari” recitava il cartello appeso all’ingresso dell’esercizio commerciale romano  –  e dei singoli individui, probabili autori dei numerosi incendi che hanno interessato molti “campi nomadi” nel 2014.

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