un invito al sinodo ad una maggiore audacia e discernimento

 

 

“Osate discernere con noi”

lettera aperta ai “Padri” sinodali

lettera del giornalista René Poujol pubblicata sul sito renepoujol (Francia) il 6 febbraio 2015

Cari Padri, eccoci ancora agli inizi di questo anno 2015 che conoscerà il completamento del sinodo sulla famiglia voluto dal nostro papa Francesco. Ne ho applaudito l’intuizione, felice di ritrovarvi la generosità dello sguardo del Concilio Vaticano II che ha segnato la mia giovinezza. Ho seguito da vicino i preparativi poi i lavori della prima sessione, applaudito alla franchezza dei dibattiti, tremato per le tensioni suscitate dalla relazione intermedia del cardinale Peter Erdo, mi sono disperato per il ripiegamento timoroso testimoniato dalla redazione finale dei Lineamenta che vi sono stati inviati in vista della sessione dell’ottobre 2015. So quanto saranno decisivi i prossimi mesi. Come invita a fare la Lettera del cardinal Baldisseri, segretario generale del sinodo, mi prendo quindi la libertà di inviarvi questa “lettera aperta” (1).Sono nato cattolico, da una famiglia molto credente, e lo sono rimasto fino ad oggi, non avendo mai trovato motivi sufficienti per rimettere in discussione questa appartenenza e scardinare la mia fede in Cristo. Cos’altro dire che, senza rischiare di cadere in una forma di esibizionismo, esprima tuttavia il mio impegno costante all’interno della Chiesa da mezzo secolo (2) e precisi quindi il luogo da cui vi parlo? Perché è proprio da questo mio profondo attaccamento ecclesiale che vorrei esprimervi, per il passato recente, la mia delusione, e per il futuro, che è nelle vostre mani, la mia fiducia e la mia speranza. .

Ho amato e apprezzato lo spirito della “relazione intermedia”

Della relazione intermedia, tanto criticata, ho amato e apprezzato proprio quello spirito di libertà che portava la Chiesa a decentrarsi da se stessa come la invita a fare papa Francesco. Sicura della Buona Notizia di cui è portatrice, per la coppia e la famiglia, poteva offrirsi uno sguardo ottimista e generoso sul mondo. Il testo ci invitava a “percepire le forme positive della libertà individuale”, a “riaffermare il valore e la consistenza propria del matrimonio naturale” e “riconoscere elementi positivi nelle forme imperfette” del matrimonio civile, della coabitazione e del concubinaggio, tipi di unioni in cui si potevano “vedere valori familiari autentici” quando vi trovavano spazio: “la stabilità, l’affetto profondo, la responsabilità verso i figli, la capacità di resistere nelle prove” (2). Ho trovato bella, a proposito dei divorziati risposati, l’idea che un approfondimento teologico possa aiutarci a superare la solo apertura fatta a quelle coppie di una “comunione spirituale”; così come ho apprezzato il riconoscimento che “le persone omosessuali hanno dei doni e delle qualità da offrire alla comunità cristiana” e l’invito a “prendere atto che esistono (tra loro) casi di sostegno reciproco fino al sacrificio”… (3). Come giornalista, ne ero stato testimone, negli anni 80 in cui molti malati di aids, abbandonati dalla loro famiglia (magari anche cattolica), morivano nella solitudine, avendo, nel momento di rendere il loro ultimo respiro, il solo sguardo amante di quell’uomo o di quella donna che condivideva la loro vita.

. Quando guardo attorno a me…

Ed ecco che la sintesi finale, adottata dai partecipanti al Sinodo romano, che oggi serve da documento preparatorio al Sinodo ordinario dell’ottobre 2015, a cui siete chiamati a partecipare,rivedeva le espressioni coraggiose della relazione intermedia. Come se, al termine dei lavori: “i padri sinodali (volessero) invece trovare i mezzi per riproporre la bellezza del matrimonio cristiano piuttosto che insistere sugli aspetti positivi delle situazioni problematiche”(4). Al punto da tornare a concentrarsi sull’uno rinunciando all’altro.

Cari Padri, quando guardo attorno a me: i miei stessi figli e figlie, nipoti, figliocci e figliocce, tutti in età per vivere in coppia, osservo una bella diversità di matrimoni religiosi o civili, di pacs (ndr.: unioni civili) o di semplice convivenza. Tra di loro, ce n’è perfino uno che ha osato la scelta radicale di una vita monastica… ortodossa! Dei loro figli, alcuni sono battezzati, altri no, alcuni hanno ricevuto in municipio un battesimo repubblicano. Quando guardo nella mia famiglia e tra i miei amici, vi scopro vecchie coppie sposate, come noi, ma anche persone sole, o in seconda unione dopo un divorzio. E, tra i nostri parenti o conoscenti omosessuali: coppie libere da qualsiasi legame giuridico, altre con un pacs, altre recentemente sposate. È in mezzo a loro che vivo. Con felicità e riconoscenza. Alla domenica, a messa, li presento tutti indifferentemente nella mia preghiera. Vedo ciò che testimoniano: fedeltà nella loro coppia, affetto reciproco e sostegno, responsabilità verso i loro figli, capacità di resistere nelle prove della vita, apertura agli altri… insomma, quelle qualità percepite come costitutive del matrimonio cristiano da coloro che accettano che Dio abbia qualcosa a che vedere con il loro amore! Sanno che provo per loro: rispetto, stima e affetto. E vorrei tanto farli partecipi della mia Chiesa.

. Quelle “periferie” in cui sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi

Sicuramente sono accampati in quelle “periferie” che papa Francesco ci invita a visitare e in cui, improvvisamente, sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi. A meno che non ci sia qualche anima da riportare all’ovile. “Bisogna accogliere le persone con la loro esistenza concreta, sapersostenere la loro ricerca, incoraggiare i l loro desiderio di Dio e la loro volontà di fare pienamente parte della Chiesa”(5). “Tutte queste situazioni devono essere affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in occasioni di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo…”(6). Ma, vedete, cari Padri, coloro di cui vi parlo, non esprimono necessariamente, oggi, un desiderio di Dio che li porterebbe a voler fare pienamente parte della Chiesa. Vivono e sono felici di vivere, apparentemente senza Dio e senza Chiesa. Eppure, come laico credente, camminando accanto a loro da molto tempo, per alcuni da sempre, ho il desiderio di continuare ad incarnare presso di loro quell’“arte dell’accompagnamento” costitutiva del mio battesimo, che presuppone “di imparare sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (7), quale che sia la sua appartenenza e il suo progetto di vita.

. Quando la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore degli uomini

Della situazione dei divorziati risposati, osservo che vi è ora proposto “un approfondimento ulteriore” (8) e della situazione delle persone omosessuali, la ricerca di un’attenzione pastorale che si riferisca all’insegnamento della Chiesa secondo il quale: “Non c’è nessun fondamento per assimilare o stabilire delle analogie, anche lontane, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio su matrimonio e famiglia”(9). Il che ci porta al paradosso che la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore delle persone quando ciò non corrisponde al suo modo di intendere il piano di Dio, senza neanche chiedersi se tale modo di intendere continui ad essere pertinente!

Cari Padri, a pochi mesi dall’evento che segnerà sicuramente la vita della nostra Chiesa, sento quanto è grande la vostra responsabilità e non dubito neanche per un attimo della vostra determinazione a volerla assumere in fedeltà alla Parola di Dio. So quanti e quali cambiamenti di civiltà abbiano effetti sulle nostre società e le lacerazioni che nascono dai nostri desideri contraddittori di libertà individuale e di servizio del Bene comune. Comprendo la vostra preoccupazione di ricordare alle giovani generazioni quanto il cammino d’amore, di fedeltà e di fecondità che viene loro proposto risponda al più profondo delle loro attese e che Dio può aiutarli ad assumerlo attraverso le prove della vita. Aderisco allo sguardo pastorale a cui invitano i Lineamenta affinché, nelle nostre comunità cristiane, nessuno si senta escluso, emarginato, disprezzato a causa del suo fallimento, della sua sofferenza, della sua differenza e del suo semplice desiderio di ritrovare la felicità.

. Trasformeremo il mondo se non lo amiamo? Ma gli altri, cari Padri? Tutti quegli altri che, per ragioni che sfuggono sia a voi che a me, si trovano oggi indifferenti alla Chiesa e alla sua religione? Tutti quegli altri in mezzo ai quali viviamo nel quotidiano perché sono i nostri figli, amici, vicini… non avremmo null’altro da offrire loro se non un impossibile invito alla conversione? Trasformeremo il mondo se non lo amiamo già così com’è, se non gli diciamo che è amato da Dio, se non sappiamo già rallegrarci con lui di più umanità, di più solidarietà, se decidiamo di riservare il nostro sguardo e il nostro cuore solo alle persone suscettibili di giungere nel grembo della santa Chiesa cattolica, apostolica e romana? E saremmo allora ancora fedeli al Vangelo di Matteo 25, allo spirito delle Beatitudini? Cari Padri, non voglio abusare del vostro tempo che è prezioso. La XIV Assemblea generale ordinaria del sinodo a cui siete invitati a partecipare ha come oggetto: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Osate discernere con noi, generosamente, in questo mondo contemporaneo tanto denigrato, la moltitudine e la diversità dei semi del Verbo, per farli crescere insieme, sapendo che spetta solo a Dio decidere le condizioni per entrare nel Regno. _______________

1. Un amico mi fa osservare che l’invito del cardinale è di rispondere ad alcune delle 46 domande formulate nei Lineamenta, non a “fare petizioni per far pressione” sul sinodo. È vero, ma non è questo il mio intento. 2. Ho presieduto, in gioventù, l’associazione degli studenti cattolici di Tolosa, prima di entrare come giornalista, dal 1974 al 2009, nel gruppo editoriale Bayard, anch’esso cattolico, di cui ho diretto per dieci anni la testata Pèlerin. Sono stato barelliere a Lourdes, catechista nella mia parrocchia, capo scout, responsabile dipartimentale poi membro dell’équipe nazionale degli Scout di Francia. Oggi membro del Consiglio delle Settimane sociali francesi, e della Conférence catholique des baptisés francophones (CCBF), sono oggi amministratore dell’Abbazia di Sylvanès (Aveyron), insieme origine della Liturgie chorale du peuple de Dieu, e centro del dialogo tra fede e cultura. Ho dedicato dei libri a tre preti, l’incontro con i quali ha profondamente segnato la mia vita: Mons. Jacques Delaporte, arcivescovo di Cambrai, il mio amico fratel André Gouzes op. e l’abbé Pierre. Mentre, ancora per due anni, partecipo alla missione del Segretariato generale del sinodo diocesano di Créteil, cerco di preservare un po’ di tempo per la scrittura di un blog dove mi presento come “giornalista, cittadino e ‘catho en liberté’”, blog essenzialmente dedicato alla vita della mia Chiesa e al suo dialogo con la società, e dove la presente lettera è inserita. 3. Relazione intermedia § 5, 18, 38 e 22 4. ibid.§ 48, 50 e 52 5.Imedia, ripreso il 16 ottobre sul sito di Famille Chrétienne 6. Lineamenta § 11 7. ibid § 43 8. ibid § 46 9. ibid domanda n° 38 10. ibid § 55




il sinodo osservato dal mondo protestante evangelico

sinodola discussione del Sinodo sulla famiglia sta segnando alcune importanti novità facilmente individuabili ancorché non debba ignorarsi  l’ambivalenza del riconoscimento di elementi positivi anche in altre forme di unione: il riconoscimento fatto dal vaticano II di elementi di santificazione e di verità anche al di fuori della chiesa cattolica, non è sfociato nel riconoscere come chiese, la comunità protestanti

Affari di famiglia

di Luca Baratto

in “NeV” (Notizie Evangeliche) del 15 ottobre 2014

E’ ancora un giudizio in corso d’opera ma è innegabile che, pur con le dovute cautele e nella speranza di non essere smentiti sabato prossimo quando si concluderà l’assise dei vescovi, la discussione del Sinodo sulla famiglia sta segnando alcune importanti novità. L’impressione è che i lavori si stiano svolgendo in un’atmosfera di confronto aperto, con l’intenzione di affrontare la concretezza della vita familiare così com’è sperimentata dalle persone in carne ed ossa. Questo emerge in diversi punti della “Relatio post disceptationem”, redatta dal cardinale Peter Erdö per fare il punto sul dibattito fin qui svolto. La relazione esprime la necessità di pronunciare una “parola di speranza e di senso”, e di “accogliere le persone con la loro esistenza concreta”. Questo  indubbiamente riflette un tratto fondamentale del pontificato di Francesco: mettere in primo piano le persone, che vanno guardate attraverso lo sguardo di Cristo, con le loro storie e la loro umanità, e  solo dopo parlare di principi e di normative. Ciò che emerge con gran rilevanza dal dibattito sinodale è l’ammissione che anche unioni diverse dal matrimonio sacramentale possano contenere al loro interno alcuni elementi costitutivi di  quest’ultimo, che vanno riconosciuti ed evidenziati. Anche nei matrimoni civili e nelle convivenze si riscontrano unioni stabili, affetto profondo, responsabilità genitoriale, capacità di resistere nelle prove: “semi del Verbo sparsi oltre i confini visibili e sacramentali” della chiesa. Sulle persone divorziate si nota una grande attenzione pastorale, mentre sulla questione dell’eucaristia ai divorziati risposati mi sembra che il documento si limiti prudentemente a elencare le posizioni pro e contro. Nelle sue pagine finali, poi, il testo afferma che le persone omosessuali “hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana” e ciò rappresenta una sfida per la capacità di accoglienza della Chiesa stessa. Inoltre le unioni di persone dello stesso sesso sono portatrici di “mutuo sostegno fino al sacrifico … appoggio prezioso per la vita dei partner”. Tutte queste rilevanti affermazioni, fino ad oggi mai sentite con la stessa autorevolezza in contesti ufficiali, sono state possibili non solo dall’osservazione della vita concreta, ma anche in analogia con quanto scritto nella “Lumen Gentium”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II esplicitamente citata nella “Relatio”. In essa si afferma che sebbene “l’unica Chiesa di Cristo  sussiste nella Chiesa cattolica”, tuttavia anche “al di fuori del suo organismo si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità”. Per analogia, fermo restando la “pienezza sacramentale del matrimonio” è tuttavia possibile riconoscere “elementi positivi” anche nelle altre forme di unione. A suo tempo le affermazioni della “Lumen Gentium” generarono non solo speranza ma addirittura ottimismo capace di produrre frutti abbondanti nell’ambito delle relazioni ecumeniche. Tuttavia – lo vorrei ricordare – è anche e proprio in base a quelle stesse parole che ormai da decenni le chiese protestanti sono inchiodate, nella visione teologica cattolica, al loro status di “non chiese”: ricche di elementi evangelici ma costantemente mancanti della pienezza necessaria per essere definite chiese. Così la relazione del Sinodo, nel definire le unioni diverse da quella sancita dal sacramento del matrimonio – “il matrimonio naturale” – continua a usare il linguaggio della mancanza e dell’incompletezza, parlando di “forme imperfette”, limitate e insufficienti. Si tratta di venialità, di elementi secondari e trascurabili rispetto alle innegabili aperture che la discussione del Sinodo ha dischiuso? In parte lo potremo già capire meglio dal documento finale di sabato prossimo, dalla discussione che si aprirà nelle chiese locali e dalle decisione che nell’ottobre dell’anno prossimo prenderà l’Assemblea generale ordinaria verso la quale questo Sinodo è orientato




al sinodo un voto contro il papa?

 

Il Sinodo si spacca su gay e divorziati: rischio voto anti-Papa

Papa Francesco

di Franca Giansoldati
Avviso ai naviganti: burrasca in vista. Si sta avvicinando la tempesta perfetta. Il bollettino meteo dalle parti di San Pietro non è dei migliori, tutta colpa del documento sinodale contenente rivoluzionarie aperture verso i gay e i divorziati risposati. L’ala conservatrice non ha digerito molti di quei 58 punti e ora pure diversi moderati faticano a riconoscersi. Ai loro occhi è un salto in avanti rispetto alla dottrina, non rispecchiano la sintesi degli interventi fatti in aula la settimana scorsa. Insomma, problemi su problemi. I 191 padri sinodali da lunedì, due volte al giorno, si sono riuniti nei «Circoli minori», gruppi di studio linguistici in cui hanno dato libero sfogo al malumore. «Un testo così formulato non lo voterei; va modificato, mitigato in alcune sue parti» sostiene il cardinale Filoni, prefetto di Propaganda Fide, diplomatico di lungo corso. Da ieri ha preso a tirare una brutta aria.

SORPRESE
Il testo della discordia – stilato in gran parte da monsignor Forte e presentato dal relatore cardinale Erdo – ha sollevato un vespaio. Il Papa osserva silenzioso e preoccupato. A Santa Marta, nella messa mattutina, da giorni martella sul concetto che «non si può sempre rimanere chiusi nei propri sistemi, che occorre aprirsi alle sorprese di Dio». Già, le sorprese. Tante. Innanzitutto le contestazioni aperte, inaspettate, spontanee, istintive rivolte al cardinale Baldisseri specie durante la pausa caffè per come ha organizzato e sta conducendo il Sinodo sulla Famiglia. Un (autorevolissimo) cardinale tedesco ha commentato tranchant, rivolgendosi ad un gruppo di padri sinodali: «Dal letame non nasce nulla» riferito al testo in questione. Un altro porporato, stavolta moderato, scuotendo la testa sconsolato: «Ha un impianto confuso». Clima pesante, difficile da gestire, sicchè Baldisseri ha autorizzato padre Lombardi, il portavoce, a leggere una dichiarazione pubblica che suona come una frenata in corsa: «In seguito alle reazioni e al fatto che la natura del documento non è stata spesso correttamente compresa, si precisa che è solo una piattaforma di lavoro riassuntiva degli interventi e del dibattito della prima settimana, ora passato alla discussione». Uno dei primi padri a fare fuoco è stato Stanislaw Gadecki, presidente della conferenza episcopale polacca: «Con questo documento ci si allontana dall’insegnamento di Giovanni Paolo II, in esso si vedono persino le tracce dell’ideologia antimatrimoniale». L’americano Burke, ultra tradizionalista, da giorni va ripetendo che la fede non si decide con dei voti e che non è possibile adottare una prassi (sul matrimonio e sui gay) scollata dalla verità del magistero. «Questa non è una assemblea democratica dove i vescovi si radunano per cambiare la dottrina a maggioranza». Sulla stessa linea il sudamericano Fox Napier che prende le distanze dal testo: «Non possiamo assumerci la responsabilità per una relazione che non abbiamo scritto e stiamo ancora discutendo: ci sono cose che appaiono controverse al momento, ecco perchè serve la discussione nei circoli linguistici».

LA CONTA
Intanto proprio nei «Circoli minori» si lavora alacremente agli emendamenti. Saranno parecchi. Esattamente come i rischi. Se gli emendamenti non verrano inseriti nel testo la sorpresa più grande potrebbe arrivare dalla votazione in aula. Al momento la maggioranza non sembra favorevole. E la conta potrebbe rivelarsi fatale. Un brutto test per Papa Bergoglio.




i vescovi cambiano linea sulla famiglia

 

sinodo

 

il sinodo dei vescovi spariglia le carte

di Marie-Lucile Kubacki
in “www.lavie.fr” del 14 ottobre 2014

Sorpresa a Roma: spinti da papa Francesco, che ha liberato la parola, i vescovi cambiano linea sulla famiglia. pubblica a Roma il 13 ottobre. Contiene quasi tutte le questioni scottanti: divorziati risposati, convivenze prima del matrimonio, accoglienza degli omosessuali nella Chiesa. Ed un tono radicalmente nuovo. una svolta a 180° da Giovanni Paolo II Certo, è solo una sintesi a metà percorso e i padri sinodali devono ancora “approfondire” le piste citate, come ha dichiarato il cardinale Peter Erdo, arcivescovo di Budapest e relatore generale del sinodo, che, una settimana prima degli incontri, presentava una sintesi pre-sinodale diametralmente opposta. Ma il tono è dato, e sembra che l’appello del cardinale Walter Kasper che, su richiesta di papa Francesco, aveva aperto la riunione preparatoria un anno fa, invitando ad un “cambiamento di paradigma”, sembra essere stato ascoltato.

o niente non è saggio”. Non si parte più dalla verità e dalla dottrina per andare verso la gente, si parte dalla gente, in qualunque situazione si trovi, per accompagnarla verso la verità della Chiesa e        

del Vangelo. È quello che già accade in molti luoghi. Ma è la prima volta che l’istituzione, a così alto livello, riconosce così chiaramente lo stato di fatto. senso, al termine di un “cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal vescovo diocesano –, e con un impegno chiaro in favore dei figli”. Distinguendo tuttavia le “vittime” della separazione dagli “autori”.

relatio, alcuni padri sinodali hanno “deplorato la quasi-assenza della parola peccato, e ricordato quanto Cristo abbia fortemente condannato il pericolo di cedere alla mentalità del mondo”. Il presidente della conferenza episcopale polacca, Stanislaw Gadecki, ritiene personalmente la relatio “inaccettabile” per diversi vescovi.

Francesco si smarca da Benedetto XVI

Ci si potrebbe accontentare di spiegare questo ribaltamento con una volontà di parlare diversamente, di non far fuggire i cattolici delle periferie rivolgendosi a loro in termini dissuasivi. apostolica Evangelii Gaudium, suo programma di pontificato. Dichiarava allora: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita sulle strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di attaccarsi alle proprie sicurezze”. Così, là dove Benedetto XVI faceva della carità una conseguenza della verità, Francesco sembra voler partire dalla carità per condurre verso la verità

 




al sinodo è in ballo una nuova chiesa

piazza_san_pietro-vaticanoIl sinodo. Una nuova chiesa

di Marco Marzano
in “santalessandro” – settimanale diocesi di Bergamo – (http://www.santalessandro.org) del 12 ottobre 2014

 

L’oggetto del confronto, talvolta molto aspro, in atto in questi giorni al Sinodo della famiglia non è solo la questione della riammissione dei divorziati all’eucaristia o l’atteggiamento della Chiesa verso l’omosessualità e le coppie di fatto. In gioco c’è il futuro dell’intera istituzione, il suo assetto interno e il suo rapporto con il mondo e la società moderni. Se a prevalere fosse infatti l’opinione di coloro che rifiutano ogni cambiamento nella dottrina e nella prassi pastorale, si accentuerebbe nel futuro la fisionomia di Chiesa che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno di fatto incoraggiato durante i loro pontificati: un’organizzazione sostanzialmente autoritaria e monarchica, con un capo (il papa) che decide tutto e per tutti, sposando sempre e comunque la fedeltà ad una tradizione considerata come un feticcio immutabile. Un’organizzazione nostalgica dell’epoca presecolarizzata, lontana dallo spirito dei tempi, dal “mondo”, dalla sensibilità e dagli orientamenti profondi delle grandi masse dei contemporanei, destinata inevitabilmente a svolgere, nella nostra società, il ruolo di raccogliere ed assistere non solo le ridotte truppe dei fedelissimi della tradizione, ma anche molte delle “vittime” della modernità, coloro che non ce l’hanno fatta a convivere con la cultura della libertà e della scelta e che per questo cercano rifugio in mondi artificiali e “protetti” come quelli delle sette, anche di quelle cattoliche. Un cattolicesimo che potremmo definire “di resistenza”, “difensivo”, settario perché inevitabilmente separato e in conflitto con la cultura del suo tempo, orgogliosamente geloso della propria minoritaria diversità, di un’alterità rigidissima e irriducibile rispetto al resto dell’umanità. All’estremo opposto di questa forma di Chiesa sta il cattolicesimo che anche Papa Francesco sembra intenzionato, pur con molta gradualità, a promuovere: un’istituzione maggiormente democratica, nella quale non vi è, malgrado l’enorme pressione mediatica in questa direzione, un “uomo solo al comando”, ma nella quale si discute, ci si divide, ci si confronta, si cerca di accantonare la sicumera e l’arroganza di chi giudica e ci si mette in ascolto del prossimo, accettando anche, come inevitabile conseguenza, di dare di sé, come Chiesa, un’immagine meno monolitica e più frammentata, meno ordinata e più plurale. In questa settimana, anticipata dal gigantesco e inedito sondaggio sul tema del sinodo tra i fedeli di tutto il mondo, la “filosofia dell’ascolto” è divenuta realtà, e non solo negli infuocati dibattiti tra gli illustri partecipanti all’assemblea, un fatto comunque senza precedenti nella chiesa-caserma dell’ultimo mezzo secolo dove il dissenso era inammissibile e inesistente, ma anche nelle voci autentiche che sono giunte dalla grande periferia della Chiesa, dalla base cattolica. Non si erano mai sentite in un sinodo pronunciare parole come quelle dei cattolici brasiliani Arturo ed Hermelinda, sposati da quarantuno anni e con tre figli: “i metodi contraccettivi naturali – hanno detto i due responsabili regionali dell’Equipe di Notre Dame – sono buoni, ma nella cultura attuale ci sembrano privi di praticità, tanto che anche le coppie cattoliche nella grande maggioranza non rifiutano l’utilizzazione di altri metodi contracettivi”. Un’altra coppia, gli australiani Pirola, ha raccontato di loro amici che hanno un figlio gay e hanno accettato di conoscere e di accogliere in famiglia il suo compagno. I Pirola hanno poi candidamente ammesso di trovare sconcertanti i documenti della Chiesa dedicati alla famiglia: “Sembrano provenire – hanno detto i due coniugi – da un altro pianeta, sono redatti in un linguaggio difficile e non così terribilmente rilevanti per le nostre esperienze. Molte espressioni sono antiquate e presentano concetti che non necessariamente invitano le persone ad avvicinarsi a Cristo e alla Chiesa”. Parole dure, taglienti come una lama che si infila nel costato per molti di coloro che le hanno udite nell’assemblea. E tuttavia un esercizio di quella parresia che il papa ha invocato all’apertura del
Sinodo, di quel pronunciare verità scomode che a prima vista sembra ferire e sconvolgere, ma che in definitiva consiste in un gesto di amore per gli altri, uno dei più grandi che si possano compiere. E in quella sala forse il segno dell’inizio di un tempo nuovo per la Chiesa Cattolica.




il principio ‘misericordia’ nei lavori del sinodo

tra matrimonio indissolubile e misericordia

di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 12 ottobre 2014

 

Bianchi

 

 

 

Subito dopo l’elezione di papa Francesco, il cardinal Ravasi dichiarò: «C’è un respiro nuovo che aspettavamo». Oggi, dopo venti mesi di pontificato, possiamo dire che si è creato un altro clima nel tessuto ecclesiale: un clima di libertà di parola nel quale con parresia ogni cattolico, vescovo o semplice fedele, può lasciar parlare la propria coscienza e dire quello che pensa, senza essere subito messo a tacere, censurato o addirittura punito, come avveniva negli ultimi decenni. Questo non significa clima idilliaco, perché conflitti anche aspri sono presenti in seno alla Chiesa – come testimoniato già negli scritti del Nuovo Testamento – ma se questi sono vissuti senza scomuniche reciproche, se ciascuno ascolta le ragioni dell’altro senza fare di lui un nemico, se tutti hanno cura di mantenere la comunione, allora anche i conflitti sono fecondi e servono ad approfondire e a meglio dar ragione delle speranze che abitano il cuore dei cristiani.
Purtroppo si può constatare che ormai ci sono «nemici del Papa»: persone che non si limitano a criticarlo con rispetto, come avveniva con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ma si spingono fino a disprezzarlo. Un vescovo che dichiara ai suoi preti che l’esortazione apostolica Evangelii gaudium «avrebbe potuto scriverla un campesino» esprime un giudizio di disprezzo, ma profeticamente dichiara che quella lettera è leggibile e comprensibile anche da un povero e semplice cristiano della periferia del mondo. Così, al di là delle intenzioni, quelle parole sprezzanti costituiscono un elogio. Alcuni giungono anche a delegittimare l’elezione di Bergoglio in un conclave che non si sarebbe svolto secondo le regole, altri sostengono che vi siano ancora due papi, entrambi successori di Pietro ma con compiti diversi… Conosciamo da tempo costoro come persone inclini a inseguire le proprie ipotesi ecclesiastiche anziché l’oggettività della grande tradizione cattolica nella quale vale il primato del vangelo.
Certamente la composizione di questo sinodo, il nuovo modo di procedere nei lavori, l’invito del Papa a parlare chiaro, con coraggio anche criticando il suo pensiero o manifestando un parere diverso, la richiesta di franchezza negli interventi hanno creato un’atmosfera sinodale inedita rispetto a tutti i sinodi precedenti. Papa Francesco vuole che l’assise sia vissuta nello spirito della collegialità episcopale e della sinodalità ecclesiale e non sia una semplice celebrazione: e Francesco ha tutta la saldezza per dire che comunque il sinodo si svolge secondo la grande tradizione cum Petro et sub Petro, cioè con il Papa presente e al quale, in quanto successore di Pietro, spetta personalmente il discernimento finale. Quanto al tema del sinodo, è incandescente perché è in gioco non tanto una disciplina diversa riguardo al matrimonio, alla famiglia e alla sessualità, bensì il volto del Dio invisibile, un volto che noi cristiani conosciamo solo nel volto di Gesù Cristo, colui che ci ha narrato, spiegato, fatto conoscere Dio. È in gioco il volto del Dio misericordioso e compassionevole, come sta scritto nel suo Nome santo dato a Mosè e come è stato raccontato da Gesù, suo figlio nel mondo, il quale non ha mai castigato i peccatori, non li ha mai puniti ma li ha perdonati ogni volta che li ha incontrati, spingendoli così al pentimento e alla conversione. È indubbio che al cuore del confronto e dell’approfondimento sinodali ci sono parole di Gesù che non possono essere dimenticate né tanto meno manomesse. Nei vangeli, infatti, di fronte al divorzio – permesso da Mosè ma condannato, non lo si dimentichi, dai profeti… – Gesù non sceglie la via della casistica ma risale all’intenzione del Legislatore e Creatore e nega ogni possibilità di rottura del vincolo nella storia d’amore tra un uomo e una donna: «Nell’in-principio non fu così… I due diventeranno una sola carne… L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto!». Linguaggio chiaro, esigente, radicale perché nel rapporto tra uomo e donna legati nell’alleanza della parola data, è significata l’alleanza fedele tra Dio e il suo popolo: se una fedeltà viene smentita, anche l’altra
non è più credibile. Messaggio esigente e duro, che i presbiteri dovrebbero annunciare alle loro comunità mettendosi in ginocchio: «È una parola del Signore, non nostra, a chiedere questa fedeltà. Noi ve la ripetiamo perché è nostro dovere farlo, ma ve la annunciamo in ginocchio, senza presunzione né arroganza, perché sappiamo che vivere il matrimonio fedelmente e nell’amore rinnovato è difficile, faticoso, impossibile senza l’aiuto della grazia di Dio…». Ma se questo è l’annuncio evangelico che non può cambiare, resta vero che nella storia, e particolarmente oggi, questo vincolo nelle storie d’amore non è sempre assunto nella fede, nell’adesione alla parola di Cristo e, comunque, a volte si deteriora, si corrompe e muore. Sì, tra coniugi occorre stare insieme fino a quando uno rende più buono l’altro, ma se questo non avviene più, dopo ripetuti tentativi, allora la separazione può essere un male minore. Ed è qui che a volte può iniziare una nuova storia d’amore che può mostrarsi portatrice di vita, vissuta nella lealtà e nella fedeltà, nella condivisione della fede e dell’appartenenza viva alla comunità cristiana. Per quanti vivono in questa condizione non è possibile celebrare altre nozze né contraddire il sacramento del matrimonio già celebrato, ma se compiono un cammino penitenziale, se mostrano con l’andare degli anni saldezza nel nuovo vincolo, non si potrebbe almeno ammetterli alla comunione che dà loro la possibilità di un viatico portatore di grazia nel cammino verso il Regno? Secondo la dottrina cattolica tradizionale l’eucarestia è sacramento anche per la remissione dei peccati. Il cardinal Martini si chiedeva: «La domanda se i divorziati possono ricevere la comunione andrebbe rovesciata: come può la Chiesa arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti?». La risposta a queste domande può venire solo dal Papa, dopo aver ascoltato la Chiesa attraverso il sinodo. Si rifletta inoltre su un dato: perché preti, monaci, religiosi che emettono una pubblica promessa a Dio al cuore della Chiesa, pur avendo abbandonato la vocazione ricevuta e contraddetto i voti pronunciati – voti che san Tommaso d’Aquino diceva che la Chiesa non può mai sciogliere – possono partecipare pienamente alla vita anche sacramentale della Chiesa, mentre chi si trova in altre situazioni di infedeltà ne è escluso? Questa appare come ingiustizia di una disciplina fatta da chierici che vivono più o meno bene il loro celibato e non conoscono la fatica e le difficoltà del matrimonio… Cosa si attende allora dal sinodo un cattolico maturo nella fede? Che si confessi ancora e ancora l’indissolubilità del matrimonio, ma lo si faccia manifestando la misericordia di Dio, andando incontro a chi in questa esigente avventura è incorso nella contraddizione all’alleanza e invitandolo a camminare nella pienezza della vita ecclesiale. Il Dio cristiano ha un volto in cui la misericordia è immanente alla giustizia: è un Dio compassionevole che in Gesù ha camminato e cammina con chi è ferito, con chi è malato… è un Dio che vuole che tutti si convertano e vivano.




il sinodo: un test decisivo per un nuovo modo di essere chiesa

 

La prima resa dei conti per il guastatore Francesco

di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 7 ottobre 2014

 

papa-francesco

È molto più di un’assemblea sui problemi della famiglia, il Sinodo dei vescovi iniziato ieri in Vaticano. È il primo test della linea di papa Francesco di porre la Chiesa di fronte al mondo contemporaneo come “ospedale da campo” per sanare le ferite esistenziali degli uomini e delle donne dell’epoca attuale, al di là dei confini strettamente confessionali. L’opposto di una Chiesa, che condanna in nome di un’astratta dottrina

A un anno e mezzo dalla sua elezione Bergoglio si trova confrontato con i presidenti delle 193 conferenze episcopali del mondo, i 23 rappresentanti delle Chiese orientali, i 25 capi dei dicasteri della Curia romana.
I loro interventi, i loro silenzi, le loro sfumature daranno la misura del consenso intorno al pontefice argentino. Un guastatore militante come il ciellino Antonio Socci ha lanciato – giusto alla vigilia della riunione – il finto scoop di presunte irregolarità commesse al conclave. Una palla. Perché era a tutti noto che una votazione, in cui risultava una scheda in più, era stata immediatamente annullata e si era passati alla seguente. Ma l’obiettivo era di alimentare la campagna di delegittimazione ai danni di Francesco in corso da mesi. Riferisce Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant’Egidio, che un cardinale ha commentato tempo fa: “Francesco ha riempito le piazze e le chiese. Ha svolto la sua funzione. Ora può anche andare prima di rovinare la Chiesa”. Il clima in certi settori del Vaticano e della Chiesa universale è questo. Nelle prossime due settimane potremo vedere se la strategia di Francesco si affermerà oppure se un coacervo di resistenze e di paure tenterà di frenarla. L’assemblea parte con una brutta innovazione, in controtendenza alle aperture e alla trasparenza di questo pontificato. Non saranno distribuite – come da oltre quarant’anni – le sintesi degli interventi in aula. Conferenze stampa quotidiane daranno il senso di ciò che avviene, ma senza nomi e cognomi. Su un altro piano sarà un Sinodo completamente diverso dagli altri. Francesco vuole trasformare l’assemblea in un corpo autenticamente consultivo, che si affianchi in nome della “collegialità” (principio sancito dal concilio Vaticano II) all’azione di governo del pontefice. Perciò il Papa ha chiesto interventi scritti preliminari, incentrati sui singoli punti del documento preparatorio (divorzio, contraccezione, aborto, convivenze, unioni di fatto, coppe omosessuali, bambini all’interno di unioni omosessuali, poligamia, ruolo ecclesiale e sociale della famiglia, eventualità di concedere la comunione ai risposati) e discorsi in aula finalizzati a redigere un documento-base in vista di una seconda assemblea di vescovi sulla famiglia, convocata fine 2015. E’ la mossa politica di Francesco. Creare un clima di dibattito vivace come al tempo del Concilio. Lasciare un altro anno di tempo perché tutte le articolazioni ecclesiali possano mobilitarsi partecipando alla discussone – sulla scia del sondaggio universale lanciato dal Papa l’anno scorso – e dare infine a vescovi la facoltà di presentare nel 2015 una serie di proposte pastorali concrete su tutti i temi scottanti. Le polemiche della vigilia sono state accolte positivamente da Francesco proprio in nome della sua intenzione di favorire un clima simile al concilio Vaticano II e al proposito di “aggiornamento” di Giovanni XXIII. Cinque cardinali, guidati dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Mueller – a cui si è aggiunto il ministro delle Finanze vaticane Pell – hanno contestato duramente l’ipotesi di concedere la comunione ai divorziati risposati. Bene così, ha commentato in privato il Papa. Ieri ha scandito in aula: “Parlate chiaro. Nessuno dica: questo non si può dire… si penserà di me così o così”. Francesco ha raccontato un episodio. Dopo l’ultimo concistoro di febbraio (in cui il cardinale Kasper ha posto l’ipotesi della comunione anche ai divorziati risposati dopo un percorso di pentimento) “un cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto al Papa…”.
Questo non va bene, ha sottolineato Francesco. Parlare “senza pavidità e ascoltare con umiltà” è stata la sua esortazione. Due segnali importanti sono venuti alla vigilia. Il cardinale Tettamanzi (ex arcivescovo di Milano, indicato nel 2006 in un sondaggio segreto come candidato preferito alla presidenza della Cei) si è pronunciato a favore della somministrazione dei sacramenti ai divorziati risposati come “segni delle misericordie di Dio”. Mentre il cardinale Kasper ha sottolineato sull’ “Avvenire” che la Chiesa rispetta le convivenze gay “stabili e responsabili”. Sono due delle novità, che potrebbero emergere alla fine del percorso snodale. Lo stesso cardinale Erdo, relatore al Sinodo, ha detto ieri che i divorziati risposati fanno parte della Chiesa e si può studiare la prassi delle Chiese ortodosse (che ammettono seconde unioni). Erdo ha anche riproposto un ruolo maggiore per le donne.




a proposito del sinodo appena aperto

Il compimento del Concilio

Papa Francesco celebra la messa nella Basilica di San PietroLa posta in gioco del Sinodo è molto grande: riguarda la Chiesa in se stessa, in quanto verificherà l’effettiva leadership di cui gode papa Francesco presso i vescovi e i cardinali, e riguarda ancor più la capacità del cattolicesimo di tornare a parlare alla coscienza contemporanea

 Per quanto concerne il primo aspetto occorre considerare che questo pontificato, a un anno e mezzo dal suo inizio, si trova per la prima volta di fronte a una prova decisiva: quella di vedere o no confermato dall’assise sinodale lo stile completamente nuovo da esso impresso all’azione della Chiesa, e quindi inevitabilmente anche alla sua identità. Con papa Francesco infatti si è passati da un papato dal profilo sostanzialmente dottrinario (secondo cui il papa è colui che spiega, insegna, corregge, e così governa) a un papato dal profilo esistenziale e spirituale (il papa è colui che capisce, condivide, soffre e gioisce con, e così governa), ma non è per nulla chiaro se questa trasformazione radicale sia apprezzata e voluta dai vescovi e dai cardinali. Al di là della retorica delle dichiarazioni ufficiali, quanti di essi sono disposti a seguire fino in fondo Francesco passando da una Chiesa in cattedra a una Chiesa “ospedale da campo”, a lasciare i privilegi del potere e a prendere “lo stesso odore delle pecore”? Se si dovesse tenere oggi il Conclave, quanti cardinali elettori rivoterebbero Bergoglio? …

Che vi sia una dura opposizione al rinnovamento papale da parte dell’ala intransigente della Chiesa cattolica è sotto gli occhi di tutti: ne fanno parte cardinali importanti tra cui il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Gerhard Müller, vescovi, teologi, responsabili di movimenti ecclesiali, opinionisti come l’ateo devoto Giuliano Ferrara, il saggista Antonio Socci che è giunto a mettere in dubbio la legittimità dell’elezione di Bergoglio. Si tratta di posizioni isolate oppure della punta di un grosso iceberg che costringerà la caravella papale a una mutazione di rotta? Probabilmente dopo questo Sinodo si avranno le idee più chiare su quanto pesano tra le gerarchie cattoliche gli oppositori di papa Francesco.

C’è però un aspetto ancora più importante in gioco nel Sinodo. In esso infatti non ne va solo del destino di un singolo papato, ma del cattolicesimo in quanto tale nella sua capacità di comunicare con profitto alla coscienza contemporanea secondo quel processo di rinnovamento iniziato da papa Giovanni XXIII con il Vaticano II (1962-1965) e purtroppo rimasto incompiuto. Il VaticanoII rinnovò l’autocomprensione della Chiesa in ambiti importanti come la libertà di coscienza, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la liturgia, la morale sociale, in genere il rapporto della Chiesa con la storia e la cultura. Non riuscì però a estendere tale rinnovamento anche all’ambito della morale individuale e familiare perché Paolo VI (subentrato nel 1963 a Giovanni XXIII) sottrasse all’assise conciliare la possibilità di dibattere sulle questioni sessuali avocando a sé l’intera materia e pubblicando nel 1968, a tre anni dalla chiusura del Concilio, la famigerata enciclica Humanae vitae. Con essa, sia nel contenuto sia nel metodo, la Chiesa ritornò al preconcilio.

Ne è sorta una Chiesa a due velocità: perfettamente in grado di coinvolgere la parte migliore della coscienza contemporanea quando si tratta di questioni sociali ed economiche, del tutto destinata all’isolamento quando si tratta di questioni sessuali e bioetiche. A questo proposito nella sua ultima intervista il cardinal Martini affermò: “Dobbiamo chiederci se le gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale: la Chiesa in questo campo è ancora un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?” (Corriere della Sera, 1 settembre 2012), domanda a cui Martini aveva risposto con le dure critiche all’Humanae vitae nel suo libro Conversazioni notturne a Gerusalemme.

I padri sinodali sono chiamati a prendere atto del fatto che la morale ufficiale della Chiesa cattolica in ambito sessuale e familiare è ormai una “caricatura”, lo è anche per la gran parte dei cattolici praticanti (come ha mostrato il sondaggio pre Sinodo voluto dal Papa). Si può ancora continuare a sostenerla per amore di tradizione, ma si deve essere consapevoli che ciò significa collocarsi fuori dal mondo, e quindi rendersi incapaci di esercitare l’azione fecondatrice di cui il mondo ha tanto bisogno. Tale estraneità al mondo infatti non è certo riconducibile alla posizione profetica di chi si pone fuori dal mondo per capirlo meglio e operare su di esso con più efficace misericordia; coincide piuttosto con ciò che veicola il senso ordinario dell’espressione: essere fuori dal mondo = non capire nulla della realtà. Chi oggi sostiene ancora il no ai sacramenti per i divorziati risposati, il no alla contraccezione, il no ai rapporti prematrimoniali, il no alla benedizione delle coppie gay, è fuori dal mondo nel senso che non ne capisce l’evoluzione. E con ciò si priva della possibilità dell’azione peculiare che il Vangelo chiede a chi vi aderisce, cioè l’amore.

Vito Mancuso, la Repubblica 6 ottobre 2014