il sogno di papa Francesco di un’Europa sanamente laica

la lettera del papa all’Europa:

sii te stessa, ritrova i tuoi ideali


nella lettera al cardinale Parolin sulla Unione Europea:
“Sogno un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma 

Il Papa all'Europa: sii te stessa, ritrova i tuoi ideali

L’Europa ha avuto e deve ancora avere “un ruolo centrale”: lo sottolinea papa Francesco in una lettera al cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in occasione di alcuni anniversari: il 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea, il 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Unione Europea e il 50° anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore Permanente al Consiglio d’Europa.

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL PAPA

“Tale ruolo – sottolinea il Pontefice parlando dell’Europa – diventa ancor più rilevante nel contesto di pandemia che stiamo attraversando. Il progetto europeo sorge, infatti, come volontà di porre fine alle divisioni del passato. Nasce dalla consapevolezza che insieme e uniti si è più forti, che l’unità è superiore al conflitto e che la solidarietà può essere uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita”.

“Nel nostro tempo che sta dando segno di ritorno indietro, in cui sempre più prevale l’idea di fare da sé, la pandemia – dice il Papa – costituisce come uno spartiacque che costringe a operare una scelta: o si procede sulla via intrapresa nell’ultimo decennio, animata dalla tentazione all’autonomia, andando incontro a crescenti incomprensioni, contrapposizioni e conflitti; oppure si riscopre quella strada della fraternità, che ha indubbiamente ispirato e animato i Padri fondatori dell’Europa moderna, a partire proprio da Robert Schuman“.

Il Papa lancia, quindi, un appello all’Europa affinché ritrovi sé stessa. “All’Europa allora vorrei dire: tu, che sei stata nei secoli fucina di ideali e ora sembri perdere il tuo slancio, non fermarti – scrive il Papa nel messaggio al Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, per condividere con lui delle riflessioni in occasione delle celebrazioni di alcuni anniversari – a guardare al tuo passato come a un album dei ricordi. Nel tempo, anche le memorie più belle si sbiadiscono e si finisce per non ricordare più. Presto o tardi ci si accorge che i contorni del proprio volto sfumano, ci si ritrova stanchi e affaticati nel vivere il tempo presente e con poca speranza nel guardare al futuro. Senza slancio ideale ci si riscopre poi fragili e divisi e più inclini a dare sfogo al lamento e lasciarsi attrarre da chi fa del lamento e della divisione uno stile di vita personale, sociale e politico”.

“Europa, ritrova te stessa! Ritrova dunque i tuoi ideali – prosegue il Papa – che hanno radici profonde. Sii te stessa!”

“Non avere paura della tua storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato. Non avere paura del tuo bisogno di verità che dall’antica Grecia ha abbracciato la terra, mettendo in luce gli interrogativi più profondi di ogni essere umano; del tuo bisogno di giustizia che si è sviluppato dal diritto romano ed è divenuto nel tempo rispetto per ogni essere umano e per i suoi diritti; del tuo bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la tradizione giudeo-cristiana, che si rispecchia nel tuo patrimonio di fede, di arte e di cultura”.

Sogno un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società” scrive ancora papa Francesco nella Lettera al cardinale Parolin.

“Sono finiti i tempi dei confessionalismi, ma – si spera – anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana. I cristiani hanno oggi una grande responsabilità: come il lievito nella pasta, sono chiamati a ridestare la coscienza dell’Europaper animare processi che generino nuovi dinamismi nella società. Li esorto dunque a impegnarsi con coraggio e determinazione a offrire il loro contributo in ogni ambito in cui vivono e operano”.

un papa che merita sognare – per una chiesa ‘altra’

ho sognato il papa

«Quando crollano i beni di un istituto religioso, io dico: “Grazie, Signore!”, perché questi incominceranno ad andare sulla via della povertà e della vera speranza nei beni che ti dà il Signore»

papa Francesco

Non mi capita spesso ma questo sogno desidero raccontarlo perché è speciale: è fatto ad occhi aperti.

C’erano molte persone raccolte in Piazza San Pietro, visibilmente emozionate.

Guardavano in alto, in attesa che il nuovo Papa si affacciasse dal balcone.

Si aprì, invece, il portone della Basilica e il pontefice neoeletto, senza scorta, uscì per salutare i fedeli presenti.

Gli porsero, poco dopo, un megafono per farsi ascoltare dai più lontani.

Prese a dire parole inaudite:

«Buonasera fratelli e sorelle! Desidero, innanzitutto, comunicarvi che oggi inizia un nuovo cammino per la Chiesa.

Il cambiamento consisterà soprattutto nella rinuncia ad ogni forma di Potere, ai privilegi e ai comportamenti che ci allontanano dalla vita reale.

Ci faremo guidare unicamente dal vangelo, riscopriremo il carisma profetico denunciando le strutture di peccato, ci schiereremo, senza indugio, dalla parte dei poveri, degli oppressi e di tutti quelli a cui viene negata una seconda possibilità.

Non faremo più calcoli, non guarderemo più alle convenienze sociali, non difenderemo più la Chiesa con mezzi umani, perché la Chiesa ha già il suo difensore: Cristo. Infatti a noi spetta imitare la sua prassi e condividere le sue opzioni. Quindi il nostro programma da oggi sarà quello indicato nel Vangelo di Luca – annunciare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi, predicare la misericordia di Dio – e in quello di Matteo al capitolo 25. Ascolteremo i poveri e solo quando avremo finito con loro daremo spazio ai c.d. Capi di Stato.

Consegneremo il Vaticano alle autorità civili, metteremo a disposizione della comunità tutte le ricchezze in esso contenute.

La Chiesa vivrà nel mondo e stabilirà la sua sede legale in tutti i luoghi in cui l’uomo soffre.

Lasceremo i Palazzi ed andremo negli ospedali, nelle carceri, negli accampamenti dei disperati, nelle fabbriche, nei call center…

Liquideremo la Banca e la sostituiremo con l’unica Banca coerente con la testimonianza evangelica: quella della tempo e della solidarietà.

Da oggi investiremo solo in gratuità e confideremo solo nelle risorse provenienti dal Fondo chiamato ‘Provvidenza’.

Non useremo più elicotteri, ma ci sposteremo con i mezzi di trasporto che usano i poveri: quelli pubblici.

Incontrerete il Papa su un autobus o in una metro e la sua nuova abitazione sarà presso una parrocchia di periferia.

Sposeremo la causa degli ultimi perché lo richiede il Vangelo e perché la Chiesa ha bisogno di conversione.

Rinunceremo alle sovvenzioni statali per vivere la grazia della sobrietà e per condividere la condizione di chi non riceve simili aiuti.  

Saremo una Chiesa povera e dei poveri sia per testimoniare che l’Amore di Dio –che è l’essenziale – è gratuito, sia per denunciare l’iniquità dell’attuale sistema economico-sociale che per garantire il profitto a pochi avidi sfrutta i popoli e devasta l’ambiente.

Saremo radicali e ci inginocchieremo solo per pregare e non per ottenere qualcosa in cambio dai potenti. Saremo la voce dei poveri, la coscienza critica, avremo paura ma chiederemo a Cristo la forza per percorrere la sua stessa strada».

A questo punto mi sono svegliato, e rimango nell’attesa che tutto ciò diventi realtà.

una chiesa che sa chiedere perdono … a proposito della pedofilia e dei vescovi cileni

IL SOGNO DI UNA CHIESA

di Raniero La Valle

Mentre molte cose accadono, quella che ci sembra più rilevante e ricca di futuro è la lettera del papa ai vescovi del Cile che non solo da ragione degli eventi inauditi che hanno investito la Chiesa cilena, ma è uno straordinario testo di ecclesiologia, che apre uno squarcio su quello che può essere la Chiesa, e anzi la religione di domani.
È una lettera di dieci pagine, che doveva rimanere segreta, per cui non è uscita sul sito del Vaticano; ma nella Chiesa di Francesco non c’è più nulla di segreto: certo la “Segreteria di Stato” continua a chiamarsi così, ma ormai tutto è gridato sui tetti, la fiaccola è sopra il moggio, e anche il lucignolo che rischia di spegnersi ora si vede. Sicché abbiamo assistito con enorme stupore a un papa che si è messo in gioco riconoscendo l’errore compiuto nel giudizio che aveva dato sullo scandalo della pedofilia in Cile, e poi all’intero collegio di quei vescovi che viene a Roma e per tre giorni ripensa col papa a tutto ciò che era accaduto, e infine si pente e chiede perdono, prima di tutto alle vittime, e poi rinunzia al potere, ciascun vescovo rimettendo nelle mani del papa il proprio mandato, senza nessuno a giustificare se stesso, tutti dal primo all’ultimo, trentaquattro.
È la prima volta che una Chiesa chiede perdono così: finora, anche per le sue colpe più gravi, la formula era che la Chiesa era santa e che semmai chiedeva perdono per il male commesso da qualche suo membro.
Per questo bisogna leggere la lettera del papa. Noi ve la mettiamo sul nostro sito in spagnolo, come è stata scritta  (CHE DIMINUISCA LA CHIESA PERCHÉ CRESCA LA FEDE) e come l’ha pubblicata la Televisione cilena, e cercheremo di darvene poi la traduzione italiana. Ma intanto la si può raccontare.
Per prima cosa bisogna dire che essa parte non da un problema di Chiesa, o di dottrina, ma da una ferita “aperta, dolorosa, complessa e sanguinante”, nella vita di tante persone, non necessariamente credenti, è “perciò” nella vita del Popolo di Dio. Tutte le vittime, tutte le persone sono Popolo di Dio. Ferita non curata come si doveva, e perciò bisogna subito voltare pagina, senza dare la colpa agli altri, perché tutti siamo implicati, dice il papa, “e io per primo”.
Ma come intervenire? Prima di tutto bisogna trovare la strada. E la strada è quella della conversione, perché bisogna cambiare, e non c’è cambiamento senza conversione, e bisogna farlo non separati, ma nella “collegialità” e “sinodalità”.
E qui c’è la chiave teologica della vera conversione richiesta alla Chiesa: “è necessario che lui cresca e io diminuisca”, secondo la parola di Giovanni Battista. La Chiesa del Cile (ma non solo lei) patisce infatti la tentazione di “soppiantare” il suo Signore. Di mettersi lei al posto di Dio. Di crescere tanto, che di Dio non c’è più bisogno, perché c’è lei. È avvenuto così lungo i secoli. Ma se la Chiesa basta a se stessa, non ha più altro da annunciare, viene meno la sua stessa missione, la sua forza profetica si perde. E se la Chiesa mette se stessa al centro dell’attenzione, invece di mettere il Signore che è “la via, la verità e la vita” e perde così “la memoria della sua origine e della sua missione”, anche il peccato della Chiesa viene al centro della scena, non si vede altro e non si parla d’altro; e così è successo proprio in questa crisi.
Il prezzo che si paga è allora molto alto, e mentre infuria lo scandalo, la cosa più urgente è “ristabilire la giustizia e la comunione”, non solo nell’immediato, ma a medio e lungo termine, perché il problema non è solo di affrontare i casi concreti, magari semplicemente rimuovendo i colpevoli (cosa necessaria ma non sufficiente), il problema è di andare alla radice e alle strutture che sono all’origine del male, il problema è di “recuperare la profezia”.
Sembra di capire che cosa cerca di dire il papa: nessun silenzio e nessuna debolezza di fronte allo scandalo, ma la conclusione di tutto non sta nella “tolleranza zero”, com’è per le cose del mondo, la conclusione sta nel recupero della profezia, in una Chiesa che torni ad essere Chiesa.
E qui si vede tutta la tenerezza e la profondità con cui papa Francesco pensa a questa Chiesa, la riconosce e le parla, come si parla all’amata.
Riconosce, proprio alla Chiesa cilena, di aver generato molti alla fede, di aver lottato per difenderla, e aver dato battaglia quando la dignità dei suoi figli non era rispettata o era semplicemente negata. Una Chiesa che ha saputo non mettersi al centro, ma “nei momenti oscuri della vita del suo popolo ha avuto il vigore profetico non solo di levare la sua voce ma anche di chiamare a raccolta per creare spazi di difesa di uomini e donne su cui il Signore l’aveva incaricata di vegliare”, ben sapendo che “non si poteva proclamare il comandamento nuovo dell’amore senza promuovere mediante la giustizia e la pace la vera crescita di ogni persona”. Il periodo cui il papa si riferisce è qui quello della dittatura, e perciò la citazione è di Paolo VI.
Ma, ad abbracciare tutta la sua storia, la vera forza della Chiesa cilena, è stata la pietà popolare, che “è una delle ricchezze più grandi che il popolo di Dio ha saputo coltivare”, con le sue feste, i suoi balli, la sua musica, i suoi vestiti, trasformando tante località del Paese “in santuari della pietà popolare, perché non sono feste che restino chiuse all’interno del tempio, ma riescono a rivestire a festa tutto il villaggio”. E perciò è una Chiesa che ha imparato come la fede si trasmette solo in dialetto, celebrando così, cantando e danzando, “la paternità, la provvidenza, la presenza costante e amorosa di Dio”. Una Chiesa che si fa prossima dei poveri, dei malati, dei senzatetto, degli orfani … Una Chiesa fatta di molti popoli, capace di promuovere le ricchezze e la buona vita di ciascuno, come negli anni Sessanta i vescovi del Sud fecero per la crescita del popolo Mapuche, dal quale c’è tanto da apprendere; una Chiesa profetica, capace di confessare (e qui Francesco cita il cardinale Silva Enriquez di Santiago, che fu uno dei fari del Concilio) “che nella nostra storia personale e nella storia del nostro Cile ci sono stati ingiustizia, bugie, odio, colpa, indifferenza”; per cui lo stesso arcivescovo invitava gli altri pastori e fedeli a essere “sinceri, umili, e a dire al Signore: abbiamo peccato contro di te! Peccare contro il nostro fratello, l’uomo e la donna, è peccare contro Cristo, che è morto e resuscitato per tutti gli uomini. Siamo sinceri, umili! Ho peccato, Signore contro di te! Non ho obbedito al tuo Vangelo!”. E aggiunge Francesco; “la coscienza cosciente dei suoi limiti e peccati la fa vivere in guardia dinanzi alla tentazione di soppiantare il suo Signore”.
E qual è l’antidoto? Il santo popolo fedele di Dio, che dal suo silenzio quotidiano in molte forme testimonia che il Signore non abbandona, sostiene e soffre con i suoi figli. Il santo paziente popolo di Dio, vivificato dallo Spirito, che è il volto più bello della Chiesa profetica che sa mettere al centro il suo Signore nella fatica quotidiana. “In questo popolo fedele e silenzioso sta il sistema immunitario della Chiesa”.
Così immunizzata, la Chiesa potrà ritrovare se stessa. Potrà affermare senza ambiguità che il discepolo non sarà mai il Messia. Guardarsi perciò da ogni forma di messianismo che pretenda ergersi come unico interprete della volontà di Dio. Non cadere, come tante volte è possibile, nella tentazione di un esercizio ecclesiale dell’autorità che pretenda sostituirsi alle diverse istanze di comunione e partecipazione e, ciò che è peggio, sostituirsi alla coscienza dei fedeli, dimenticando l’insegnamento conciliare secondo cui “la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nel suo recesso più intimo” (GS n. 16, che cita un discorso radiofonico di Pio XII). I falsi messianismi, dice il papa, pretendono cancellare l’eloquente verità che la totalità dei fedeli ha l’unzione dello Spirito. Mai un individuo o un gruppo privilegiato può pretendere di essere la totalità del Popolo di Dio e meno ancora credersi la voce autentica della sua interpretazione. Bisogna stare attenti alla “psicologia da élite” che può insinuarsi nella nostra maniera di abbordare le questioni. Essa produce dinamiche di divisione, separazione, circoli chiusi che sboccano in spiritualità narcisiste e autoritarie in cui, invece di evangelizzare, l’importare è sentirsi speciali, differenti dagli altri, mettendo così in evidenza che né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Messianismo, elitismo e clericalismo sono tutti sinonimi di perversione nell’essere ecclesiale e anche sinonimo di perversione – scrive il papa – è la perdita della sana coscienza di sapersi appartenere al santo popolo di Dio che ci precede e che, grazie a Dio, ci succederà.
La coscienza del limite ci salva dalla tentazione e pretesa di occupare tutti gli spazi, e specialmente un luogo che non ci appartiene, quello del Signore. Solo Dio è capace della totalità. “La nostra missione sarà sempre condivisa. La consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; ci libera dal diventare autoreferenziali, di crederci superiori. Ci libera da quella tendenza prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri”.
E la conclusione folgorante della lettera è: “Fratelli le idee si discutono, le situazioni si discernono, noi siamo qui riuniti per discernere, non per discutere”.
Discernere, ci sembra vuol dire smettere gli abiti vecchi, avanzare lo sguardo verso quello che sarà il futuro della Chiesa e della stessa religione nel mondo
(Fonte: ChiesadituttiChiesadeipoveri)

un sogno ad … occhi molto aperti

ho sognato il papa

«È uno scandalo che vi siano persone o istituzioni della Chiesa che non si interessano del povero e vivono tranquillamente»

Oscar Romero

 

 

Non mi capita spesso ma questo sogno desidero raccontarlo perché è speciale: è fatto ad occhi aperti.

C’erano molte persone raccolte in Piazza San Pietro, visibilmente emozionate. Guardavano in alto, in attesa che il nuovo Papa si affacciasse dal balcone. Si aprì, invece, il portone della Basilica e il pontefice neoeletto, senza scorta, uscì per salutare i fedeli presenti. Gli porsero, poco dopo, un megafono per farsi ascoltare dai più lontani. Prese a dire parole inaudite:

«Buonasera fratelli e sorelle! Desidero, innanzitutto, comunicarvi che oggi inizia un nuovo cammino per la Chiesa. Il cambiamento consisterà soprattutto nella rinuncia ad ogni forma di Potere, ai privilegi e ai comportamenti che ci allontanano dalla vita reale. Ci faremo guidare unicamente dal Vangelo, riscopriremo il carisma profetico denunciando le strutture di peccato, ci schiereremo, senza indugio, dalla parte dei poveri, degli oppressi e di tutti quelli a cui viene negata una seconda possibilità. Non faremo più calcoli, non guarderemo più alle convenienze sociali, non difenderemo più la Chiesa con mezzi umani, perché la Chiesa ha già il suo difensore: Cristo. Infatti a noi spetta imitare la sua prassi e condividere le sue opzioni. Quindi il nostro programma da oggi sarà quello indicato nel Vangelo di Luca – annunciare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi, predicare la misericordia di Dio – e in quello di Matteo al capitolo 25. Ascolteremo i poveri e solo quando avremo finito con loro daremo spazio ai c.d. Capi di Stato. Consegneremo il Vaticano alle autorità civili, metteremo a disposizione della comunità tutte le ricchezze in esso contenute. La Chiesa vivrà nel mondo e stabilirà la sua sede legale in tutti i luoghi in cui l’uomo soffre. Lasceremo i Palazzi ed andremo negli ospedali, nelle carceri, negli accampamenti dei disperati, nelle fabbriche, nei call center… Liquideremo la Banca e la sostituiremo con l’unica Banca coerente con la testimonianza evangelica: quella della tempo e della solidarietà. Da oggi investiremo solo in gratuità e confideremo solo nelle risorse provenienti dal Fondo chiamato ‘Provvidenza’. Non useremo più elicotteri, ma ci sposteremo con i mezzi di trasporto che usano i poveri: quelli pubblici. Incontrerete il Papa su un autobus o in una metro e la sua nuova abitazione sarà presso una parrocchia di periferia. Sposeremo la causa degli ultimi perché lo richiede il Vangelo e perché la Chiesa ha bisogno di conversione. Rinunceremo alle sovvenzioni statali per vivere la grazia della sobrietà e per condividere la condizione di chi non riceve simili aiuti. Saremo una Chiesa povera e dei poveri sia per testimoniare che l’Amore di Dio –che è l’essenziale – è gratuito, sia per denunciare l’iniquità dell’attuale sistema economico-sociale che per garantire il profitto a pochi avidi sfrutta i popoli e devasta l’ambiente. Saremo radicali e ci inginocchieremo solo per pregare e non per ottenere qualcosa in cambio dai potenti. Saremo la voce dei poveri, la coscienza critica, avremo paura ma chiederemo a Cristo la forza per percorrere la sua stessa strada».

A questo punto mi sono svegliato, e rimango nell’attesa che tutto ciò diventi realtà.

da ‘altranarrazione’

sogno un mondo, un’Europa e una chiesa diversi … il sogno (impossibile?) di p. Agostino Rota Martir

 

la pentecoste di Idomeni

Ogni giorno siamo raggiunti e sconvolti dalle notizie che ci vengono da Idomeni, un piccolo villaggio greco, al confine con la Macedonia, dove migliaia di profughi sono intrappolati dalla diplomazia Europea.

p. agostino

epa05199233 A refugee child stands by the border fence in the refugee camp at the Greek-Macedonian border near Idomeni, Greece, 07 March 2016. Media and humanitarian organizations estimate that the number of migrants stuck at the Greek-Macedonian border crossing has swelled to 14,000. Macedonia has closed its borders to the wave of refugees wanting to pass through its territory to reach richer nations in western and northern Europe, straining bilateral ties with Greece. The Greek Foreign Ministry has threatened Macedonia with unspecified serious consequences if it does not let the refugees pass through. EPA/KAY NIETFELD

Assistiamo e partecipiamo al loro dolore, amarezza e rabbia, respinti da una Europa che si rinchiude sempre più dentro la propria fortezza, che innalza e giustifica muri, fili spinati e respingimenti; in nome di che cosa?
Assistiamo a distanza alla violenza e ai pestaggi che subiscono i migranti, lasciati vivere sotto tende in mezzo al fango, con il consenso e la benedizione dei potenti, seduti in comodi e luccicanti palazzi di Bruxelles e dalle cancellerie dei governi europei.
Assistiamo con sgomento al loro smarrimento, alla loro delusione, alle loro grida disperate e al loro pianto, alla privazione delle libertà, alla disumanità perpetrata con calcolo e freddezza. Non è questa l’Europa che vogliamo e sogniamo. Idomeni è un piccolo spazio in Europa, potrà essere insignificante per le cancellerie europee, ma non per le nostre coscienze e a maggior ragione per chi si professa cristiano, seguace (in cammino) di Gesù, l’inviato del Padre.
Papa Francesco, dopo aver visitato l’isola di Lampedusa domani si recherà in quella di Lesbo in Grecia..Altro segno profetico, di misericordia e di denuncia.Idomeni bambini
In questo momento di smarrimento sogno una Chiesa in cammino verso Idomeni, insieme a tanta società civile, una Chiesa che non teme di mischiarsi e confondersi, che vive e annuncia il Vangelo anche “con i piedi”, che non ha paura di attraversare queste trappole di frontiere, anche per dire che c’è un’altra Europa, quella dei popoli, delle associazioni, dei religiosi, dei missionari, delle parrocchie, che non esita a venire incontro per dire che, seppure nella nostra impotenza, siamo con loro, ci sentiamo fratelli e sorelle nella nostra stessa umanità e che loro sono per noi i benvenuti. Sogno questa Chiesa in cammino, accogliente e fiduciosa, che sente anche la responsabilità di guarire questa nostra cara Europa: intossicata di egoismo, più intenta ad escludere e scartare in nome della sicurezza e per altri interessi di parte, o per calcoli meschini.
migranti siariani
Immagino quanto deve essere bella questa Chiesa in cammino, sotto la tenda, anche in piccoli gruppi, attraversamenti, con percorsi diversi, con destinazione Idomeni e simbolicamente raggiungere altri campi profughi sparpagliati ovunque: una Chiesa in silenzio, orante, ecumenica, in uscita, capace anche di lasciarsi accogliere: “Non prendete nulla per il viaggio..” (Lc. 9, 3-5), con uno stile di umiltà e provvisorietà, con poche cose con sè, proprio come fa ogni migrante in fuga. Una Chiesa in uscita, non tanto per portare aiuti, ma seguire le orme dei migranti, lungo gli stessi sentieri percorsi dai loro piedi.
Una Chiesa in cammino verso Idomeni , fermarci lì, anche per un solo giorno, per guardare e ascoltare questi volti segnati da prove e dolore e lasciarci evangelizzare dalla loro vita.
Idomeni profughi
Ecco, immagino quanto sarebbe vera e luminosa la Pentecoste nella tendopoli di Idomeni! Una Chiesa semplicemente presente, anche se provvisoria oltre che per ridare speranza ai profughi, forse saprà essere anche un grido forte di denuncia in nome del Vangelo, all’indirizzo di quella Europa arroccata e bloccata da paure.
Sogno una Chiesa che non si limita ad assistere a distanza, ma che cammina, in uscita per attraversare i confini, che supera le barriere per avvicinare e lasciarsi toccare, che non teme di tenere i piedi nel fango se necessario, pur di ascoltare il cuore di chi oggi è vittima di guerra, di povertà, di violenza e che si sente scartato..una Chiesa capace di vivere la loro compagnia.
Rimarrà un sogno? Però a volte Dio si muove lungo i nostri sogni e passo dopo passo, il suo Regno prende forma nella nostra storia.
p. Agostino Rota Martir
Campo Rom di Coltano (PI) – 15 Marzo 2016
 

una chiesa da … sogno!

piazza_san_pietro-vaticano

La Chiesa che vorrei

mi piacerebbe una chiesa radicalmente diversa, mi piace sognarla povera, a fianco dei poveri, senza potere se non quello della parresia evangelica, dalla parte dei deboli, degli impoveriti, libera da ogni legame con poteri forti, e liberatrice da ogni forma di schiavitù perché il vangelo o è questo o non è, inoltre la vorrei pluralista, democratica, non clericale, con forte partecipazione del femminile …
mi piace ‘sognare’ così, non di quei sogni che E. Bloch chiamava ‘ad occhi chiusi’ e che danno grande libertà alla fantasia, ma di quelli che egli ancora chiamava ‘ad occhi aperti’ dove si vive la piena lucidità della partecipazione, della corresponsabilità, della creatività condivisa che si ispira ad una progettualità esclusivamente evangelica …
 mi piace costatare, soprattutto nei momenti nei quali hai la sensazione di essere pressappoco solo o in scarsa compagnia a fare di questi sogni, che in realtà questi sono più condivisi di quanto immagini, e che è ancora vero che:
“sogno che si sogna da soli può essere un’illusione
sogno che si sogna assieme è sogno di soluzione
allora: andiamo a sognare insieme, compagni, a sognare leggero, a sognare comunitariamente” (dall’America Latina)
uno di questi ‘sognatori’ è il prete ‘di frontiera don Pierluigi di Piazza, fondatore del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud), che intervistato dal giornalista del Manifesto e di Adista così delinea il suo ‘sogno’, non di un’altra chiesa, ma di una chiesa ‘altra’

 

 

“senza paura verso il futuro” 

Luca Kocci intervista don Pierluigi Di Piazza

Quella che sogna don Pierluigi Di Piazza – prete “di frontiera”,  – è una Chiesa povera e senza potere, libera e liberatrice, non clericale, femminile, democratica e pluralista.

Per delinearla, nel suo libro appena pubblicato da Laterza (Compagni di strada. In cammino nella Chiesa della speranza, pp. 152, euro 12), ha scelto lo stile narrativo, del racconto di viaggio, insieme ad alcuni compagni di strada, credenti, non credenti e credenti in altre fedi – Margherita Hack, don Tonino Bello, don Puglisi, mons. Romero, il Dalai Lama, don Gallo, Eluana e Beppino Englaro e altri ancora –, che sono profeti e testimoni. Ciascuno “incarna” un valore, evangelico e laico allo stesso tempo: Margherita Hack, per esempio, la laicità ma anche l’etica dei non credenti. «Sono convinto – spiega don Di Piazza – della necessità di affermare e di praticare la laicità, la laicità autentica, libera dal confessionalismo, dall’integralismo e dal laicismo, perché ci possono essere forme di assolutismo in entrambe le posizioni, quindi di dipendenza, di chiusura, di ostilità. Invece la vera laicità libera la fede alla sua autenticità, come la vera fede favorisce e incoraggia la laicità. Mi sento laico, credente sempre in ricerca e prete. Per questo mi sono trovato a condividere l’etica dichiarata e vissuta da Margherita Hack sulla giustizia, l’accoglienza, la pace, i diritti civili, il superamento di ogni forma di discriminazione, esclusione e razzismo, l’attenzione e la premura per tutti gli esseri viventi, animali, piante e i diversi organismi. Margherita Hack diceva, in sintonia con me, che la fede è fede e che non si può dimostrare né che Dio esiste né che non esiste. Il rispetto quindi deve essere reciproco fra persone diverse per ispirazione ed itinerario, ma unite dal comune obiettivo di contribuire ad un mondo più giusto ed umano».
Poi c’è don Gallo, immagine di una Chiesa evangelica e schierata accanto agli ultimi…

«Don Gallo mi fa pensare soprattutto all’uomo di fede nel Dio di Gesù di Nazareth, al suo essere prete con convinzione ostinata e con libertà sorprendente dentro la Chiesa. La memoria viva del suo insegnamento è il suo essere stato e continuare ad essere un riferimento di luce, di accoglienza, di confronto fra le persone più diverse: credenti di diverse fedi religiose e non credenti, eterosessuali omosessuali, transessuali, carcerati, prostitute, persone dipendenti dalle sostanze, emarginate, discriminate, scartate. Ha saputo guardare la vita e le storie delle persone dalla strada, dal marciapiede e per questo restare sempre partigiano, come lo era stato nella lotta di Liberazione, cioè di parte, schierato, come ha vissuto e ci ha proposto Gesù».
Un capitolo è dedicato ad Eluana e Beppino Englaro, con cui hai condiviso un pezzo di strada, anche perché la parte finale della loro storia si è svolta ad Udine…

«Ho ricordato Eluana e Beppino per la necessità di liberare la storia delle persone dalle strumentalità del moralismo, della politica, della religione, perché l’incontro vero con la storia delle persone possa significare ascolto, rispetto, dialogo ricerca di strade possibili per poter contribuire a vivere, soffrire e morire nel modo più umano possibile».

E i “principi non negoziabili”?

«Negli ultimi anni la Chiesa, una Chiesa politica, e certa politica hanno fatto a gara a sostenersi nel dichiarare i principi non negoziabili, espressione che pare scomparsa con l’arrivo di papa Francesco, il quale ha affermato che l’espressione non gli piace, perché i valori sono tali e basta. Inoltre è grossolana nei contenuti e nel linguaggio: “non negoziabili” si riferisce ad una sorta di trattativa mercantile, sconveniente se riferita alla vita delle persone. E ancora più grave se si pensa che la Chiesa dovrebbe incontrare le persone con le loro storie diverse, ascoltare, curare, accompagnare, esprimere condivisione e incoraggiamento. La non negoziabilità annulla ogni possibilità di dialogo. Le questioni della bioetica, dell’inizio e del fine vita chiedono informazione e formazione, riferimenti etici profondi, rispetto della libertà delle persone, anche nell’accettare o rifiutare le cure, nel decidere riguardo alla morte. E questo non si pone contro Dio, ma si esprime alla sua presenza con una libertà consapevole e serena, con la fiducia e l’affidamento della vita, non solo di quella biologica, a lui, fonte e accoglienza della vita».

Fra i tuoi “compagni di strada” c’è anche Tonino Bello…

«È stato un uomo e un vescovo, poeta e profeta, in cammino con il suo popolo e al suo servizio. Si è liberato dal potere clericale, maschilista e autoritario, dal compito di funzionario della religione e per questo ha espresso il potere e la forza dei segni: nel muoversi, nel vestire, nell’incontrare, nel condividere, nell’aprire le porte del palazzo vescovile per accogliere, nel denunciare e nel proporre con forza e nell’incontrare con tenerezza. Continua a comunicarci una profonda spiritualità che anima l’audacia e la concretezza delle scelte, del linguaggio e dei gesti».

Che vescovi vorresti per la Chiesa?

«Vescovi insieme profeti e pastori, perché le due dimensioni non sono contrapposte ma complementari. La forza della profezia dovrebbe guidare il pastore perché non diventi un funzionario di un’istituzione religiosa, perché annunci con libertà e franchezza la Parola e ne viva la coerente testimonianza; perché si senta in mezzo al popolo di Dio, non al di sopra; perché esprima segni di semplicità, di sobrietà, rinunciando a titoli onorifici, al palazzo vescovile, all’automobile di rappresentanza. Un vescovo che incontri, ascolti, condivida esperienze e percorsi, un uomo appassionato del Dio di Gesù di Nazareth e delle persone, delle loro storie, accogliente, non preoccupato dell’organizzazione, ma della sensibilità del cuore e dell’atteggiamento di vicinanza e di prossimità. Anche nella scelta dei vescovi il criterio non dovrebbe essere quello di fedeltà all’istituzione religiosa, ma di fedeltà al Vangelo, di coerenza nella vita, di segni leggibili riguardo alla giustizia, all’accoglienza, alla pace, alla misericordia, alla verità, alla salvaguardia del creato, di tutti gli esseri viventi».
Il Concilio attraversa e permea ogni pagina del libro. Dopo 50 anni, a che punto siamo?

«Lo spirito del Concilio ci sta davanti, l’impegno per il suo compimento dovrebbe vederci coinvolti, soprattutto su due dimensioni fondamentali: la Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia, di cui papa, vescovi, preti, religiosi e religiose sono una piccola parte con compiti specifici, non di superiorità e di distanza, ma di condivisione, di servizio. E poi il rapporto fra Chiesa e mondo: non di superiorità, di sospetto, di giudizio preventivo, bensì di attenzione, ascolto, apprendimento, dialogo, e poi orientamento, indicazione, insegnamento sempre rispettoso, di forte denuncia e giudizio su tutte quelle situazioni che opprimono, offendono e umiliano la dignità delle persone».
L’ultimo capitolo ha come titolo “Una Chiesa che non ha paura e che guarda al futuro”. I gesti e le parole di Francesco sono di incoraggiamento? Quale Chiesa sogni?

«Certamente le parole e i gesti di Francesco incoraggiano tanti preti insieme a tante persone che in questi anni sono stati sospettati e criticati per il loro impegno nella società, per un rinnovamento di fondo della Chiesa. Sta spostando il baricentro dalla dottrina alla testimonianza, dall’istituzione alle relazioni, dalla preoccupazione organizzativa all’atteggiamento interiore».
Quali sono le prime riforme da fare?

«Innanzitutto la scelta di camminare con i poveri e di presentarsi come Chiesa povera, essenziale, sobria. Poi la scelta di una maggiore democrazia. Da parte di alcuni si dice che la Chiesa non è una democrazia, in parte è vero perché dovrebbe essere una comunione, che però di fatto dovrebbe partire dall’attuazione delle elementari forme di partecipazione e di democrazia, per poi tendere all’ulteriorità della comunione. Infine la realizzazione di una Chiesa pluralista che riconosce le diversità culturali e simboliche delle diverse comunità sparse su tutta la Terra. Un pluralismo di teologie e liturgie. E ancora una Chiesa che riprende in modo profondo e pacato alla luce del Vangelo e con il contributo delle scienze umane le dimensioni dell’affettività, dell’amore e della sessualità nelle loro diverse esperienze ed espressioni. È questa la dimensione fondamentale della vita delle persone: riguarda i rapporti donna-uomo, la famiglia, i separati, i divorziati; l’omosessualità e la transessualità, la pedofilia; il celibato obbligatorio da sciogliere per la credibilità del celibato stesso e per una Chiesa con preti celibi, sposati e con donne prete. Sempre, continuamente e prima di tutto il riferimento a Gesù di Nazareth e al suo Vangelo: da qui si parte e qui si ritorna, altrimenti la Chiesa diventa un’istituzione fra le altre, con una copertura esteriore di religiosità».

 

sogno una chiesa

il ‘sogno’ di una chiesa meno clericale

 

grosse fragole

il teologo domenicano, F. Boespflug, professore di storia delle religioni a Strasburgo, delinea il suo ‘sogno’ di una chiesa meno clericale, che dia spazio effettivo alla donna, che metta al primo posto la parola e riveda le sue decisioni rispetto a tante bocche che ha duramente tappato

Ho un sogno: una Chiesa meno clericale

di François Boespflug*
in “www.lavie.fr” del 9 ottobre 2013

Se dovessi citare una sola priorità per la riforma in corso nella mia Chiesa, sarebbe quella di una Chiesa meno clericale nei suoi modi di fare e di parlare, di cui papa Francesco mostra l’esempio quasi ogni giorno con gioia e che dà al suo messaggio un ritorno di giovinezza, di vitalità, di semplicità evangelica e di pertinenza profetica. dare uno spazio effettivo alle donne Questo cambiamento passa innanzitutto dalla fine del monopolio clericale (o diaconale), in ogni caso maschile, sul diritto di predicare nell’ambito della liturgia, e dal diritto, per le donne formate per questo ministero (attraverso una qualificazione in bibbia, teologia e liturgia) di esercitarlo. Semplicemente non è più tollerabile dalla coscienza comune né veramente vivibile in questi tempi di crisi delle vocazioni sacerdotali il fatto che continui a dominare ancora per molto, senza la minimo prospettiva di cambiamento, la disciplina di ferro che regna in questo ambito a partire dalla riforma gregoriana. Non c’è alcun argomento teologico convincente, eccetto quello della tradizione (benché Maddalena abbia meritato il titolo di “apostola apostolorum” e ad ogni modo, come insegna san Tommaso d’Aquino, l’argomento della tradizione è il più debole di tutti dal punto di vista razionale) perché sia mantenuta questa regola, nel senso dell’adagio paolino, “che le donne tacciano nella Chiesa”. Questa affermazione, e le conseguenze che ne sono state tratte, non sono più accettabili. Altre Chiese cristiane hanno voltato pagina, non senza coraggio, e stanno alquanto meglio, e si farebbe bene a meditare sul loro esempio approfittando della loro esperienza. Sarebbe una scelta di classe che la Chiesa di Roma avesse il coraggio di consultare la Chiesa anglicana… In ogni caso, ci si può aspettare molto da una evoluzione in questo ambito ed è perfino permesso pensare che i benefici dell’apertura alle donne della predicazione liturgica produrranno frutti positivi, numerosi ed imprevedibili. Manca qualcosa all’esercizio attuale di questo ministero, che passerà tramite le donne e sarà ridato alla Chiesa tramite loro, e solo tramite loro. Si tratta di un provvedimento è di tale natura da far evolvere l’esercizio del sacerdozio stesso. Su questo piano come su tutti gli altri, dove tale evoluzione avviene, quando avviene davvero, l’incontro del maschile e del femminile ha la grande opportunità di essere feconda. È molto dannoso che la predicazione del vangelo non abbia ancora potuto beneficiare di questa sorta di fattore di umanizzazione completa che permette la condivisione del compito tra uomini e donne, come si constata che lo procura l’accesso delle donne a funzioni di responsabilità nelle imprese e in altre istituzioni. Non è affatto necessario, secondo noi, condizionare questo provvedimento all’accesso delle donne al diaconato o al presbiterato. Ogni cosa a suo tempo. Mettere al primo posto la parola Poiché la vita della Chiesa si nutre della Parola di Dio e della liturgia, metterei nella riforma al secondo posto la riabilitazione della parola durante la messa e suggerirei al papa di redigere una enciclica vigorosa sull’alleanza strutturale indispensabile, nella celebrazione dell’eucaristia, della tavola della parola e della tavola del pane, alleanza insegnata e sostenuta dal Concilio Vaticano II nel solco del rinnovamento patristico, ma che è oggi malata dell’esaltazione della presenza reale a detrimento della parola viva – un’esaltazione che risale senza dubbio alla Controriforma, se non oltre, e giunge non solo all’ostensorio, ma all’interruzione della celebrazione alla consacrazione per adorazione e alla correlativa sospensione dell’omelia. Quindi una enciclica sull’omelia sembra urgente e prioritaria, accompagnata forse da una riflessione ecclesiale di grande portata, coraggiosa e ambiziosa, sulla crisi della predicazione nella Chiesa. Bisogna finirla con una teologia dell’eucaristia che oppone sacramento e omelia come l’essenziale e l’accessorio. La maggior parte delle disaffezioni alla messa domenicale provengono non tanto da un
dubbio relativamente alla presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati quanto da una invincibile noia ripetuta di settimana in settimana: mentre la testa e il cuore soffrono la fame, puntare tutto sull’ostia soltanto per colmo di mancanza di nutrimento dello spirito è un controsenso teologico ed antropologico. È quindi la teologia della messa che occorre correggere in un senso che tenga conto della ricezione concreta della liturgia da parte dei fedeli e delle condizioni sine qua non della loro partecipazione prolungata e resistente, tranquilla e convinta. riabilitare i teologi Infine sogno una rivalorizzazione globale e decisa dello studio, dovere religioso numero uno degli ebrei e presto, se non si sta attenti, ultima delle preoccupazioni dei cattolici; una dichiarazione solenne sull’importanza della lettura assidua, della perizia paziente, della vita intellettuale in generale, della ricerca e del mestiere di teologo in particolare, nella vita della Chiesa. Certo è bello che l’azione cattolica, la militanza, il volontariato, la carità creativa sotto tutte le sue forme, da un lato, la preghiera, il gusto della condivisione comunitaria, la devozione, la vita interiore e la contemplazione dall’altra, abbiano conosciuto dei bei giorni da diversi decenni, in particolare grazie all’Azione Cattolica, a diversi rinnovamenti (liturgici, biblici, patristici, ecc.), al Concilio Vaticano II (1962-1965), a quello che è stato chiamato movimento carismatico (dal 1972) e all’impegno dei cristiani in diversi campi d’azione umanitari. Ma è profondamente negativo, nefasto, controproducente che la fiducia e la stima per coloro che dedicano la loro esistenza all’acquisizione di una vero saper-fare in materia di riflessione critica sulle condizioni e sui mezzi della vita cristiana e della testimonianza cristiana, abbiano conosciuto un tale crollo che ormai è corrente sentir dire e perfino leggere che non ci sarebbero più intellettuali cristiani. I teologi di mestiere (sì, sì: di mestiere!) sono sempre meno sollecitati a dare la loro opinione e le loro analisi non solo negli organi di stampa non confessionali, ma perfino nella stampa di obbedienza cristiana; così come è negativo che tanti vescovi immaginino di non doversi più consigliare con i saggi e soprattutto con i ricercatori appassionati della Chiesa (condizione necessaria, non sufficiente) e ben informati in materie come morale, finanza, politica, media, questioni interreligiose, faccende di immagini e arte, come se la loro ordinazione episcopale li avesse colmati ipso facto e durevolmente dei sette doni dello Spirito Santo. Questa tendenza larvata anti-intellettualistica nuoce sia alla qualità del dibattito nella Chiesa, che non è in buona salute, e alla pertinenza delle prese di posizione dei cristiani nei media.
Nel caso felice che i tre desideri che ho appena formulato si realizzassero, per quanto minimamente, ne conseguirebbe la de-clericalizzazione del linguaggio dell’omelia, della catechesi, delle dichiarazioni episcopali, e del tono dei preti e del loro abbigliamento. E prego lo Spirito Santo di diffondere generosamente sulla Chiesa il parlar franco, che può aiutare le evoluzioni in questo senso.
Utinam!
*François Boespflug domenicano, professore di storia delle religioni alla Facoltà di teologia cattolica di Strasburgo, autore di diverse opere religiose, tra cui Le prophète de l’islam et ses images, une question tabou (Bayard).

accendi in noi un fuoco

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O Spirito di Dio, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in noi quelli stesso fuoco che ardeva nel cuore di Gesù mentre egli parlava del Regno di Dio. Fa che questo fuoco si comunichi a noi, così come si comunicò ai discepoli. Fa che non ci lasciamo sopraffare o turbare dalla moltitudine delle parole, ma che dietro di esse cerchiamo quel fuoco che si comunica e infiamma i nostri cuori. Tu solo, Spirito Santo puoi accenderlo e a te dunque rivolgiamo la nostra debolezza, la nostra povertà, il nostro cuore spento, perché tu lo riaccenda del calore, della santità della vita, della forza del Regno. Donaci di comprendere il mistero della vita di Gesù. Donaci la conoscenza della sua persona, quella sublime conoscenza per la quale san Paolo lasciare perdere tutto. pur di comunicare alle sue sofferenze, e partecipare alla sua gloria

card. Martini

il sogno

vietato calpestare i sogni

solo l’essere umano sogna nel sonno e nella veglia mondi nuovi, dove esistono rapporti sempre più fraterni ed un nuovo cielo e una terra nuova.

solo l’uomo crea utopie. Le utopie non sono meccanismi di fuga facile dalle contraddizioni del presente. Esse appartengono alla stessa realtà dell’uomo come essere che continuamente progetta, disegna il futuro, vive di promesse e si alimenta di speranze.

sono le utopie che impediscono all’assurdo di impadronirsi della storia.

L. Boff

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