UN ARTICOLO DI 8 MESI FA SUL SITO DEL FATTO È DIVENTATO IL PIÙ CONDIVISO DI SEMPRE.
Cnr, blitz degli animalisti. “Distrutti anni di ricerca su Parkinson e autismo”. Non è cronaca di ieri, ma il titolo di un articolo de ilfattoquotidiano.it di otto mesi fa. Da una settimana è il pezzo più letto del sito ed è diventato l’articolo più condiviso su Facebook. Un cortocircuito che mette insieme il potere della Rete con il dibattito sulla sperimentazione animale nato dopo il caso degli insulti a Caterina Simonsen, la giovane affetta da quattro malattie rare, diventata bersaglio o paladina a seconda che si legga la storia dal versante animalista o da quello di chi con gli animali cerca, attraverso la sperimentazione, di curare malattie oggi incurabili.
“ARGOMENTO VIRALE” si dice nel gergo 2.0. E chissà se la protagonista di questa storia poteva immaginare cosa sarebbe accaduto dopo il 21 dicembre, giorno in cui tutto è iniziato. Caterina, studentessa di Veterinaria nell’ateneo di Bologna, quattro giorni prima di Natale posta su Facebook una sua foto. Ha il respiratore artificiale, ma ride. E scrive, nero su bianco: “Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un, seppur breve, futuro. Sono stata adolescente”. La sua bacheca viene presa d’assalto dagli animalisti più intransigenti, che non le risparmiano insulti e ‘auguri a morire’. Il motivo? Aver difeso e sponsorizzato la sperimentazione animale “strumentalizzando” la sua esperienza personale. È la settimana di Telethon, sono i giorni del caso Stamina e delle polemiche sulla discussa cura di Davide Vannoni.
La vicenda di Caterina crea discussione. Al suo fianco si schierano in tanti, compreso il neo segretario del Pd Matteo Renzi. Tutti in Rete, sempre in Rete. Con fotomessaggi, con un hashtag su Twitter (#iostoconcaterina), con la campagna #denunciateancheme a cura della pagina Facebook “A favore della sperimentazione animale”.
DALL’ALTRA PARTE della barricata, invece, ci sono gli animalisti più convinti, tra questi anche l’onorevole berlusconiana Michela Vittoria Brambilla. Nasce #iostocongiovanna (dal nome di una ragazza, anch’essa malata gravemente, che un anno fa fece un video contro la sperimentazione) in risposta all’hashtag a favore di Caterina. La Brambilla lo promuove sulla sua pagina Facebook. E anche lei viene sommersa. Da applausi e insulti. E da un link sulla sua bacheca. Si tratta dell’articolo del Fatto . È stato pubblicato il 29 aprile scorso. Lo postano “anti-animalisti”, qualche biologo, alcuni ricercatori. Che lo condividono, lo ritwittano, lo fanno diventare virale. Risultato? L’articolo diventa il più letto de il fattoquotidiano.it . Più degli avvenimenti politici, più dei casi di cronaca, compreso il grave incidente di Michael Schumacher, breaking news in tutto il mondo. I numeri: 200 mila visualizzazioni (170 mila nell’ultima settimana), 102 mila condivisioni (numeri aggiornati alle 19:30 di ieri ), per un articolo mai più apparso nella home page del sito. Impossibile capire quali circuiti abbia intercettato né chi lo abbia fatto volare sui social network (il 90 per cento dei lettori arriva da Facebook). Inutile, perché non c’è una operazione pianificata e non c’è né inizio né governo. Solo l’attenzione trasversale che la storia di Caterina e il dibattito sulla sperimentazione animale sono riusciti a convogliare. Fenomeno virale.
SUL WEB lo è tutto ciò che riguarda gli amici a 4 zampe. Vale come paradosso al contrario il caso di Dudù, il cane di Silvio Berlusconi e della sua compagna Francesca Pascale, con tanto di pagina facebook, appelli contro i botti e persino attacchi hacker. L’ex premier, del resto, in occasione del lancio dei nuovi circoli di Forza Italia (8 dicembre) era stato chiaro, seppur tra il serio e il faceto: avrebbe lanciato un sito dedicato al suo cane. L’impresa non è andata a buon fine a causa dello sgambetto di Diego Volpe Pasini, imprenditore allontanato dal centrodestra, che ha subito comprato il dominio Forzadudù.
Resta però l’obiettivo: convogliare l’animalismo militante e provare a racimolare qualche voto in più in vista delle prossime elezioni
riflessioni di V. Mancuso a proposito della sperimentazione animale a partire dagli insulti che una studentessa di veterinaria affetta da una malattia rara per aver usufruito della sperimentazione animale per sopravvivere
a seguire le brevi ma forti e appropriate riflessioni si A. Serra contro un fanatismo ecologico che si veste di disumanità e violenza:
QUEL GIUSTO EQUILIBRIO FRA IL CUORE E LA MENTE
Vito Mancuso
Caterina Simonsen, studentessa di veterinaria all’Università di Bologna da tempo seriamente malata, qualche giorno fa su Facebook ha scritto così a favore della sperimentazione animale in ambito medico: «Ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale, senza la ricerca sarei morta a 9 anni». Ha aggiunto di studiare veterinaria «per salvare gli animali», di essere vegetariana, e nel suo profilo mostra una foto che la ritrae mentre bacia il suo criceto di nome Illy.
Nel giro di qualche ora ha ricevuto centinaia di messaggi offensivi, tra cui una trentina di questo tipo: «Era meglio se morivi a 9 anni brutta imbecille, io sperimenterei su persone come te»; oppure: «Se per darti un anno di vita sono morti anche solo 3 topi, per me potevi morire pure a 2 anni». Penso sia lecito chiedersi dove siamo finiti e che ne sia ormai della solidarietà umana.
Come Caterina Simonsen, anch’io ho scelto di non mangiare più carne, è una scelta che mi fa sentire solidale con la vita, che reputo sacra in ogni sua manifestazione, umana e animale. Anzi, penso che la vita sia sacra già a livello vegetale e che di per sé non si dovrebbero mangiare neppure le patate e le cipolle che sono tuberi e possono generare vita, e infatti i monaci giainisti non le mangiano cibandosi solo di frutti. Ma non basta, occorrerebbe chiedersi se un albero voglia darci i suoi frutti, che non ha certo prodotto per noi, e se raccoglierli non implichi una forma di violenza, per lo meno di quella legata al furto. Non a caso Gandhi scriveva che «il consumo dei vegetali implica violenza», aggiungendo però subito dopo: «Ma trovo che non posso rinunciarvi ». Da qui il profeta della non-violenza concludeva che «la violenza è una necessità connaturata alla vita corporea ». La nostra vita, in altri termini, per esistere si deve nutrire di altra vita che deve necessariamente sopprimere. Per questo nessuno è innocente e nessuno è in grado di stabilire con certezza dove si debba attestare il rispetto per la vita.
Tale conclusione sull’alimentazione vale anche per la cura medica: anche qui c’è un’inevitabile dose di violenza, come mostra già il nostro sistema immunitario del tutto simile a un esercito di professionisti senza scrupoli. Si potrebbe obiettare che i batteri eliminati dai globuli bianchi e le cavie su cui viene condotta la sperimentazione nei laboratori non sono la stessa cosa perché i primi sono aggressori e gli altri no, ma io penso che anche i batteri che entrano nel nostro corpo siano innocenti perché fanno solo il loro mestiere senza nessuna intenzione di aggredirci. In realtà la violenza è intrinseca in ogni sistema di difesa: se vuole continuare a vivere, nessun vivente può uscire indenne dalla catena di violenza di cui è impastata la vita, e per questo nessuno ha il diritto di tirare la prima pietra condannando chi mangia carne o chi sostiene la ricerca mediante sperimentazione animale.
Tuttavia dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita alcuni esseri umani desiderano emanciparsi, e questo è un nobile ideale che a mio avviso va sostenuto. Nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l’uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Sto dicendo che gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Nessun animale carnivoro infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso.
A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata. L’uomo al contrario ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa, e oggi alcune avanguardie stanno lottando per allargare tali ideali ad altri esseri viventi. Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita.
Ponendosi in tale prospettiva di estensione degli ideali di non-violenza anche al mondo animale, Gandhi scriveva: «Aborrisco la vivisezione con tutta la mia anima. Detesto l’imperdonabile macello di vita innocente nel nome della scienza e della cosiddetta umanità, e considero del tutto prive di valore le scoperte scientifiche macchiate di sangue innocente». Per questo, al di là delle ignobili offese a Caterina Simonsen che meritano solo l’oblio, io ritengo che nella campagna animalista contro la sperimentazione sugli animali vi sia qualcosa di importante. Si tratta dell’appello a estendere a tutti i viventi l’imperativo categorico della vita etica, formulato da Kant alla fine del Settecento solo in prospettiva antropocentrica: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai solo come mezzo». Oggi si tratta di giungere a trattare «sempre come fine e mai solo come mezzo» non solo l’umanità, ma, per quanto è possibile, tutto ciò che vive: gli animali, le piante, i mari, le montagne, il pianeta, il cosmo… tutto dovrebbe essere visto in una prospettiva non utilitaristica ma vorrei dire contemplativa, in cui si contempla la natura delle cose rispettandole per quello che sono e cessando di calcolare solo l’utile che ne viene a noi, per una filosofia ecologica di cui il nostro tempo e il nostro spazio hanno urgente bisogno.
Attenzione però alla saggezza del grande filosofo: dicendo «mai solo come mezzo», Kant ricordava che un elemento di strumentalità è sempre connaturato al vivere, nel senso che ognuno di noi in alcune circostanze è anche un mezzo per la vita degli altri. Ciò ci dovrebbe portare a quel saggio equilibrio del cuore e della mente che mette al riparo da ogni radicalismo fanatico e che porta ad appoggiare la liceità etica della sperimentazione animale laddove davvero non vi sia altra possibilità per sconfiggere le malattie degli uomini e degli stessi animali.
A. Serra e la sua solidarietà a Caterina:
Solidarietà e affetto per Caterina, la studentessa di Bologna (facoltà di Veterinaria, e non è un dettaglio) massacrata di insulti e minacce di morte da sedicenti “animalisti” per avere osato dire che senza la sperimentazione sugli animali non sarebbe sopravvissuta alla sua grave immunodeficienza. Mi domando spesso perché, tra i fanatici incapaci di affrontare qualunque discussione, i sedicenti animalisti occupino un posto così rilevante. Chi ama la natura, la frequenta, la ammira, ci vive in mezzo, cerca di sentirsene parte, sa che la natura è complessa; non è schematica, la natura, non è ideologica. Quando sento parlare i portavoce più fanatici e sprovveduti del sedicente animalismo mi viene da pensare che gli umani, dopo avere soggiogato e manipolato la natura con goffa avidità, oggi tendono a farne un nuovo tabù. Ma tutti i tabù sono retrogradi e irrazionali; e tutti i tabù nascono dal senso di colpa, che è sempre un pessimo consigliere. Il rispetto per gli animali (boicottando, per esempio, gli allevamenti intensivi) è una manifestazione di pensiero evoluto. L’animalismo isterico una devoluzione patologica della cultura umana
anche O. Beha ha riflettuto sull’atteggiamento degli animalisti i reazione al ‘caso di Caterina Simonsen’, esprimendosi in questo modo:
Test sugli animali e barbarie di fine anno
Ci si affaccia sul 2014 in piena barbarie regressiva. Di segnali ce ne sarebbero tanti, guardandosi intorno e ovviamente anche oltre i confini nazionali, ma scelgo il caso di Caterina Simonsen, la studentessa padovana di veterinaria in cura in ospedale che ha diffuso un messaggio per il quale è stata poi aggredita. Il messaggio suonava così succintamente: “Sarei morta se non ci fossero i test sperimentali sugli animali perché soffro di malattie rare”.
Sul web si sono scatenati gli animalisti contro di lei, arrivando ad augurarle la morte tout court. Quindi un seguito di attestati di solidarietà alla ragazza e polemiche di non grande spessore. Ebbene, il primo, immediato livello di barbarie è quello di chi augura la morte a Caterina e di chi senza farlo si associa idealmente a tale augurio. Pensate a un figlio da curare, per il quale fareste tutto, e meditate, barbari. Il secondo livello è quello di continuare a opporre ricerca scientifica e sperimentazione animale come toccasana a vivisezione e altre pratiche barbare o semibarbare. Qui siamo alla contrapposizione tra il figlio da curare e il tuo cane da far secco per sperimentare, una specie di “tifo” tra un umano e un animale che è esso stesso barbarie.
Il terzo livello è quello della comunicazione. Perché mai o troppo raramente si è parlato e si parla con chiarezza dei vari aspetti della questione? Perché gli italiani che secondo qualunque ricerca si informano soprattutto grazie alla tv (o per colpa della) non hanno mai potuto approfittare di trasmissioni serie che rendessero pubblici i risultati di scienza e tecnica nel mondo, ormai oltre una sperimentazione animale considerata per esempio negli Usa perlomeno impropria e arretrata nel confronto tra specie diverse? Stesso discorso riguardo a etica e normative sul pianeta. Perché? Perché siamo barbari, e come scriveva Shakespeare a proposito di Polonio nell’Amleto, “c’è del metodo in quella follia”, e mi riferisco a chi da tutto ciò ricava montagne di denaro. Buon Anno, a Caterina e a tutti coloro che se lo meritano, possibilmente oltre queste secche.
(Oliviero Beha)
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