siamo decisamente peggiorati! ci siamo incattiviti! – a proposito del suicidio di Seid Visin

Il vero messaggio di addio di Seid Visin è che siamo diventati peggiori

di Mario Giro

«Ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il
peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone»

Queste parole pesanti
come pietre le ha scritte Seid Visin, adottato da piccolo dall’Etiopia, tre anni fa. Due giorni fa si è tolto la vita e qualcuno le mette in relazione. Comunque sia sappiamo che il problema esiste: le sue parole contraddicono il film degli italiani brava gente. Contraddicono anche l’idea sovranista che una società chiusa e dell’autodifesa sia più sicura e giusta.
Non è così: per troppi anni abbiamo accettato la seminagione della zizzania dell’odio; ci siamo abituati a pensare che la minaccia veniva dall’esterno; ci siamo lamentati come se fossimo noi le
uniche vittime.
Oggi ci ritroviamo una società più dura, insensibile, all’interno della quale nuotano i serpenti del razzismo. Impressionano “gli sguardi scettici, prevenuti, schifati”: non le parole –che pur ci sono -ma gli sguardi.
Questo significa che nel profondo dell’Italia qualcosa si è rotto. Erano meglio, molto meglio le
nostre nonne: anche davanti allo straniero restavano umane e materne. Siamo peggiorati: a
quell’epoca, dopo la guerra e fino a qualche decennio fa, a nessuno sarebbe venuto in mente di
picchiare un disabile per strada, di insultare e tirare uova a un “ciccione” autistico, a sparare ai
“neri” o a schifare apertamente uno straniero.
Dobbiamo dircelo senza relativizzare: siamo peggiori. Su molte cose siamo migliorati: ci sono  meno omicidi di una volta, ad esempio. Ma in quanto a clima umano siamo decisamente peggiorati.
Ci giustifichiamo dicendo che avere i propri giudizi o pregiudizi non fa male agli altri. Invece no: fa male, fa molto male e Seid ce lo dice lucidamente. Certamente c’è una responsabilità delle destre che hanno manipolato politicamente la paura e il razzismo. Ma non è solo questo: tutti lo abbiamo in qualche modo accettato e tollerato. Tutti abbiamo pensato almeno una volta che gli immigrati erano troppi; tutti abbiamo consentito nel nostro vicino sguardi e pensieri razzisti e cattivi.
Una società incattivita si prepara al declino: questa è la vera crisi italiana che spiega quella
economica. Forse una volta si sarebbe detto che tale declino avrebbe provocato violenza e alla fine
la guerra. E’ ancora possibile che ciò accada: una società divisa e con pensieri di odio finisce
sempre male, si auto-avvelena. Ma anche se la guerra –quella vera- non scoppierà, ci sarà
certamente un’altra forma di conflitto diffuso che farà vivere peggio tutti. Nella sua lettera Seid
racconta la mutazione della società italiana di questi anni, vissuta sulla sua pelle. Narra anche di
come lui stesso ne sia stato contagiato. La vera pandemia italiana è lo scaricare le paure su capri
espiatori, che siano immigrati, stranieri, rom o altro.
Così perdiamo la nostra identità, invece che rafforzarla. Leggendo le lettere dei nostri soldati dal
fronte le troviamo più umane: durante la seconda guerra mondiale non parlavamo così nemmeno del
nemico. Altroché andare a Kasteloritzo a celebrare l’anniversario dell’Oscar a Mediterraneo: non
siamo più così. Siamo diventati antipatici e intossicati d’odio.




in memoria di Virgil Elizondo teologo della liberazione

Virgil Elizondo

teologo della frontiera

un commosso e fraterno ricordo del teologo Virgil Elizondo da parte di Rosino Gibellini pubblicato sul sito ‘Settimananews.it’:

di: Rosino Gibellini

Virgil Elizondo

Virgil Elizondo (28/08/1935 – 14/03/2016)

Fulminea si è diffusa la tristissima notizia di morte per suicidio (per un colpo d’arma da fuoco alla testa) del teologo ispanico degli USA, Virgil Elizondo, nella sua casa di San Antonio (Texas), nel primo pomeriggio di lunedì 14 marzo u.s. Aveva 80 anni. Pendeva su di lui, dal maggio 2015, una sentenza accusatoria di pedofilia per un fatto risalente al 1983, presentato in un processo da certo John Doe (che sta per anonimo).

La stampa riferisce anche testimonianze, secondo le quali l’accusa non avrebbe consistenza, ma lo avrebbe amareggiato e sconvolto, così da morirne «di crepacuore». Si attende ricostruzione di una morte tragica, arrivata improvvisa e inaspettata, dopo una vita intensa e operosa, e anche brillante, che gli aveva già meritato una via a lui intestata presso la cattedrale di San Fernando, che l’aveva portata ad essere – come è stato scritto – «l’anima della città».

Ho conosciuto Virgil Elizondo fin dal 1975 in occasione dell’Encuentro latino-americano de Teología, celebrato a Città del Messico nell’agosto 1975 sul tema Liberación y cautiverio [Liberazione e cattività], e fu subito amicizia. Amicizia che è andata rinsaldandosi in diverse occasioni e nelle più svariate città del mondo, in concomitanza dei congressi ecumenici di ASETT (Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo), ai quali ero invitato come osservatore ospite, e nelle assemblee generali annuali della rivista internazionale di teologia Concilium, dove Virgil Elizondo ha diretto per anni la sezione di “Teologia pratica” (con Norbert Greinacher), e successivamente la sezione di “Teologia della liberazione” (con Leonardo Boff). Nella sua qualità di teologo messico-americano ha sempre fatto da ponte tra la teologia del Nord e la teologia del Sud.

Paul Tillich, il teologo tedesco-americano, sintetizzava la sua esperienza di vita, che dall’Europa lo aveva condotto negli Stati Uniti d’America, in un breve libro, On the Boundary (1966), [Sulla linea di confine], nel quale scriveva: «Il confine è il posto migliore per acquisire conoscenza». Da questa esperienza nasceva il metodo della correlazione tra rivelazione cristiana e cultura, che ha trovato espressione e applicazione nella grande Teologia sistematica. Se la teologia di Tillich è una teologia on the boundary, la teologia ispanica-americana, che in Virgil Elizondo ha il suo iniziatore e il suo più noto rappresentante, è una teologia crossing borders, di “attraversamento dei confini”, che si fa interprete di una nuova realtà umana in fase di espansione. Devo qui segnalare che il libro offerto in suo onore nel 2000, reca il titolo Beyond Borders [Al di là dei confini].

Ricordo anche d’aver ricevuto in dono negli anni Settanta il testo dattiloscritto della tesi dottorale di Virgil Elizondo, sostenuta e difesa all’Institut Catholique de Paris, che recava il titolo un po’ misterioso per un europeo, Mestizaje, testo che sarebbe poi confluito nel libro Galilean Journey (1983), riedito ampliato nel 2000. Questo libro, oltre a descrivere il viaggio di Gesù dalla Galilea, culturalmente meticcia, a Gerusalemme, la città della croce e della resurrezione, indicava con la categoria di Mestizaje la promessa, di cui erano portatori i messico-americani. Il concetto di meticciato diventava così una chiave ermeneutica per rileggere il Vangelo, ma anche per reinterpretare la dinamica della cultura; come ha espresso Jacques Audinet nella prefazione dell’opera: «Elizondo punta a una nuova frontiera. I suoi pensieri lo portano naturalmente a trattare di un meticciato globale».

L’opera di Virgil Elizondo più letta in Europa è L’Avenir est au Métissage (1987), che riprende con scansione biografica l’opera maggiore, e che ha servito a far conoscere alla teologia europea questa nuova complessa categoria culturale e teologica. Il presidente del Senegal e scrittore, Léopold Sédar Senghor, ha sottolineato la convergenza del discorso teologico di Virgil Elizondo con la visione di Teilhard de Chardin, che prospettava per l’alba del terzo millennio la «civilisation de l’Universel». L’edizione americana del libro reca il titolo: The Future is Mestizo: Life Where Cultures Meet (1988) [Il futuro è meticcio: la vita dove le culture si incontrano].

Con la sua attività di membro del Board of Directors della rivista internazionale di teologia Concilium, edita in sette lingue, Elizondo ha contribuito, com’è nella vocazione della american-hispanic theology, a costruire un ponte culturale tra teologia del Nord e teologia del Sud. Tra gli articoli scritti su Concilium merita una particolare menzione il testo: The New Humanity of the Americas (1990) in cui si esprime al meglio lo spirito, meticcio e universale ad un tempo, di Virgil Elizondo, il suo sogno e la sua visione di una nuova umanità delle Americhe come paradigma di una nuova umanità del mondo.

Su questo sfondo del meticciato, dell’incrocio di vita e cultura, si colloca il suo bel libro su Maria, dal titolo: Guadalupe. Madre della nuova creazione (1997/2000), che era stato anticipato da La Morenita: Evangelizer of the Americas (1981) [La Morenita: Evangelizzatrice delle Americhe], che è una delle interpretazioni più profonde dell’apparizione di Nostra Signora di Guadalupe a Juan Diego sul Tepeyac nel 1531 agli inizi delle Americhe. Nostra Signora di Guadalupe non è solo un’altra apparizione mariana. L’icona che ci ha lasciato sulla tilma dell’indio Juan Diego è la sua viva presenza, che esprime riconoscimento, accoglienza, compassione e protezione, e segna l’inizio di un processo di meticciato, come crogiuolo di popoli e culture.

Come scrittore di spiritualità si può ricordare: La via della croce. La passione di Cristo nelle Americhe; e Il Dio delle sorprese.

Fondatore del MAAC, Mexican-American Cultural Center di San Antonio (Texas), città americana bilingue, Virgil Elizondo era un sacerdote attivo nella pastorale, già rettore per oltre un decennio dell’antica cattedrale di San Antonio; direttore artistico della televisione San Antonio, Texas, che aveva una vasta audience negli USA e nel Centro America; e dal 2000 anche docente alla Notre-Dame University (Indiana, USA), dove è stato aperto un centro studi per la cultura ispanica.

La rivista Time aveva fatto il nome di Elizondo come uno degli “innovatori spirituali” del nuovo millennio.

Addio! Virgilio. Riposa in pace. È un addio, nel lutto e nella preghiera, con affetto e gratitudine per la profonda e generosa amicizia. Mi mancherai.




La realtà schiaffeggia il potere (Massimo Gramellini).

La realtà schiaffeggia il potere (Massimo Gramellini)..