Rita e Carla – una vita intera condivisa e vissuta tra i sinti ei rom

Torino
La comunità delle Suore da quarant’anni vive tra i sinti e rom

una presenza ecclesiale profetica

una testimonianza di Pio Caon:

Sono passati quasi 40 anni da quando la Comunità delle Suore Luigine di Alba ha deciso di vivere direttamente tra i Sinti e Rom nelle periferie torinesi.
La loro prima dimora è stata una vecchia carovana.
Era la fine degli anni 80. Poi a seguire altre sistemazioni in roulottes e baracche. Infine, in questi ultimi anni, una modesta casetta in muratura, nell’accampamento di Via Germagnano.
Una presenza di Chiesa profetica : accoglienza e rispetto del diverso.
Ogni giorno le suore hanno sperimentato, nell’incontro con i Sinti e Rom, il desiderio di rappresentare il Gesù che accoglie, che non allontana, che ascolta, perdona e non condanna.
Una presenza che non separa i buoni dai cattivi, i giusti da chi sbaglia.
Quarant’anni vissuti all’insegna dell’ accoglienza e della concreta attenzione con chi vive la sofferenza dell’emarginazione, con chi si trova in carcere, con chi è legato alle dipendenze, con chi vive situazioni di dolore e fatica.
Condivisione della cultura, lingua e tradizione del popolo sinto e rom
Vivendo tra i Sinti e Rom, le suore hanno fatto propria e rispettato la cultura nomade assumendone in pieno sfaccettature, valori e contraddizioni.
” Comunità – ponte ” tra due culture e mentalità.
La loro presenza è stata quella che il ministero missionario richiede: partecipare pienamente alla vita di un popolo vivendone le medesime condizioni sociali e culturali per poi rendere sensibili le comunità civili e cristiane a partire dal loro incontro.
Le suore infatti, oltre a vivere la vita nomade, hanno partecipato attivamente alla vita ecclesiale torinese. Le loro dimore hanno accolto indistintamente cattolici, ortodossi, mussulmani, atei.
Le porte delle loro baracche sono state aperte a tutti coloro che si avvicinavano, dal nomade al sedentario, ricco o povero, dal Sindaco di una grande città al cittadino comune, dal Vescovo all’ ultimo cristiano. Chiunque entrava nella loro carovana ne usciva beneficiato. Ciascuna persona ha sperimentato l’accoglienza, il dialogo, il confronto e la fiducia.
Chi si è seduto alla loro tavola non è uscito senza un caffè, un thè, un pasto o semplicemente un assaggio del loro cibo o un bicchiere d’acqua. Ma soprattutto attingendo dalla loro esperienza e arricchendosi della loro testimonianza.
Quarant ‘ anni all’insegna della sobrietà
Fin dall’inizio suor Carla e suor Rita hanno avvertito l’esigenza di vivere tra Sinti e Rom con uno stile di vita essenziale, esigente e sobrio.
Hanno sperimentato la povertà come scelta di libertà che riduce il consumo, le cose e i beni.
Il loro stile di vita silenzioso condannava l’ostentazione della ricchezza, sia dei Rom sia dei gagè, quando questa si esprimeva in beni di lusso, privilegi o scelte di potere.
Le diversità possono vivere insieme
La presenza di queste suore nel campo, in questi quarant’anni, lascia a chi le ha conosciute e a tutta la comunità civile e religiosa un grande messaggio: l’incontro con il diverso è possibile.
La loro vita è un segno concreto di speranza. Eppure non sono mancati momenti di tensione che hanno messo in crisi la loro scelta quando tra i nomadi sono esplosi momenti di rabbia e frustrazione scatenati da chi ha perso ogni prospettiva nel futuro e si abbandona alla violenza.
Nel campo non sempre le istituzioni sono presenti e la giustizia non è assicurata.
Ma ogni volta le suore hanno saputo ricominciare, come l’erba che si piega al vento, anche se a volte il prezzo da pagare è stato alto.
Le vostre idee camminano
Dalle righe di questo giornale vorremmo dire grazie alla Comunità delle Suore perché le loro idee camminano e vanno oltre l’esperienza, che la loro presenza ha fatto riflettere i Sinti e Rom perchè si sono sentiti amati, che la loro scelta ha incoraggiato tanti sedentari a mettersi in gioco e molti cristiani a verificare la via del confronto e dell’impegno, senza lasciarsi prendere dallo scoraggiamento.
Suor Rita e Suor Carla ci hanno insegnato che realizzare un “sogno” è ancora possibile
Pio Caon

come calpestare spudoratamente la sofferenza di due suore generose per demonizzare il popolo rom

 ogni giornalista lo sa: un messaggio si fa passare mettendo un titolo ad effetto anche se non rispondente al vero e una conclusione che ribadisca il messaggio desiderato (come il calcio dell’asino!): è perfetto a questo scopo l’articolo di ‘secoloditalia’ sulle due suore che a Torino dopo una vita dedicata ai rom, ricevendone reciprocamente stima e affetto, lasciano ora il campo per una situazione di grave abbandono da parte delle istituzioni amministrative e dell’ordine pubblico: articolo che strumentalizza spudoratamente  questa situazione per far passare il messaggio che le due suore tirino i remi in barca deluse e frustrate dal popolo rom che pensavano redimibile e invece si rendono conto – finalmente . che tutto era e resta “inutile”! La conclusione  dell’articolo non è che la ciliegina che dà il tocco di completezza al messaggio!
di seguito l’articolo uscito su ‘secoloditalia’:

anche le suore si arrendono:

“non aiuteremo più i rom, è inutile…”

Anche le suore si arrendono: “Non aiuteremo più i rom, è inutile…”

La loro storia mette tristezza e allo stesso tempo fa riflettere. Dopo 38 anni di volontariato nei campi rom di Torino, due suore, ormai anziane ma ancora attivissime, hanno deciso di ritirarsi, di non aiutare più i nomadi in quell’ambiente diventato pericoloso e ingestibile. Troppa prepotenza, arroganza, bugie su bambini mandati a scuola e invece tenuti al pascolo, risate contro i volontari, considerati intrusi. La vicenda, raccontata dalla Stampa, riguarda le suore Luigine, religiose, sorelle, 78 e 77 anni, dedite per una vita ad aiutare i sinti e i rom, negli ultimi quindici anni in via Germagnano, nel campo più importante di Torino.

“Troppe prepotenze e nessun ruolo dei genitori”

«Lì vivono 30 famiglie con la residenza, da cinque-sei anni quel campo vive un momento brutto. Le pietre lanciate di notte contro la roulotte di un poveretto da ragazzi, sono il segno che mancano i genitori, che non c’è più autorevolezza. La scuola è trascurata, i ragazzi non ci vanno, i genitori non insistono. Il pulmino che li portava non c’è più e per le famiglie è difficile accompagnarli: se li mettono sul furgone capita che appena usciti dal campo prendano la multa. Poi, l’impressione è che il diploma di terza media venga dato con una facilità che non è educativa”, è la sintesi del pensiero delle due suore raccolto dalla Stampa. Ma cos’è accaduto di così grave da far allontanare le due religiose? “Cinque-sei anni fa è arrivata gente che minacciava, bruciava le case, poi le occupava. Ora piazzano i camper dentro l’area, se ci sono controlli se ne vanno. Alcune famiglie in regola se ne sono andate. Noi – tengono a ribadire – non siamo andate via per i rom, ma per l’abbandono: nonostante questa situazione che colpisce i deboli, là non vanno più né vigili, né cooperative. I volontari vengono derisi. Ci avevano detto, in caso di necessità di chiamare la polizia, finito l’orario dei vigili, ma in sei mesi non è mai arrivata”.

Se si sono arrese loro, figuriamoci chi non ha l’aiuto della fede…

fonte: secoloditalia

le ‘suore luigine’ lasciano a Torino il campo rom ma non i rom

le suore lasciano i campi rom

“troppi prepotenti, costrette a mollare dopo trentotto anni”

le religiose:
“in via Germagnano serve la presenza delle forze dell’ordine e degli educatori”

suor Rita e suor Carla sono suore Luigine, una congregazione nata nel 1915 ad Alba

dal 1979 sono vissute prima tra i sinti e poi tra i rom della ex Jugoslavia

maria teresa martinengo

«vi chiudiamo dentro, così non andate via. Se ve ne andate questo campo non sarà più come prima»,

ha detto un capofamiglia rom a Rita e a Carla. Ma loro, le suore Luigine che hanno vissuto 38 anni nei campi nomadi di Torino, con le lacrime agli occhi un mese fa hanno lasciato la loro casetta di via Germagnano. «Avremmo voluto restare, ma la nostra età e le condizioni del campo non lo permettevano più», raccontano le religiose, sorelle, 78 e 77 anni. Una frase a testa, con serenità e malinconia insieme, le suore Luigine che ai sinti e ai rom hanno dedicato la vita, dando una mano con i bambini, con le medicazioni, con la burocrazia, raccontano.  

PRESENZA AMICA  

«La nostra è stata e continua ad essere, perché siamo già tornate più volte, una presenza di amicizia, condivisione di vita». Dal 1979 in via Lega, tra i sinti, poi all’Arrivore, gli ultimi quindici anni in via Germagnano. «Ma il campo comunale di via Germagnano, dove vivono 30 famiglie con la residenza, da cinque-sei anni vive un momento brutto. L’abbiamo detto in Comune: l’abbandono in cui versa è un segnale negativo per i rom prima di tutto». Le suore, che raramente si sono espresse in tutti questi anni, ammettono che «le pietre lanciate di notte contro la roulotte di un poveretto da ragazzi, sono il segno che mancano i genitori, che non c’è più autorevolezza». La scuola è trascurata. «I ragazzi non ci vanno, i genitori non insistono. Il pulmino che li portava non c’è più e per le famiglie è difficile accompagnarli: se li mettono sul furgone capita che appena usciti dal campo prendano la multa. Poi, l’impressione è che il diploma di terza media venga dato con una facilità che non è educativa».   

TROPPI PREPOTENTI  

Rita e Carla hanno pianto. «Saremmo rimaste, ma non aveva più senso stare in un posto di cui non si cura più nessuno. Per un po’ ci siamo fermate a pensare alla proposta che i sinti di via Lega, di fronte a via Germagnano, ci hanno fatto. Ci volevano di nuovo con loro, si sarebbero accollati la spesa per comperarci una casa mobile. Ma alla nostra età non avrebbe avuto senso. Così abbiamo accettato la casa che don Ciotti ci ha offerto», spiega Rita. «Certo – aggiunge la sorella, guardandosi intorno nell’appartamento dove si trovano provvisoriamente – per noi come per i rom è difficile abituarci a una casa. Il campo è un’altra vita. Al mattino presto là c’era sempre qualcuno che gridava se volevamo un caffè…».  

I problemi sono arrivati dai prepotenti. «Cinque-sei anni fa è arrivata gente che minacciava, bruciava le case, poi le occupava. Ora piazzano i camper dentro l’area, se ci sono controlli se ne vanno. Alcune famiglie in regola se ne sono andate. Noi – tengono a ribadire – non siamo andate via per i rom, ma per l’abbandono: nonostante questa situazione che colpisce i deboli, là non vanno più né vigili, né cooperative. I volontari vengono derisi. Ci avevano detto, in caso di necessità di chiamare la polizia, finito l’orario dei vigili, ma in sei mesi non è mai arrivata».  

LAVORO PER LE DONNE  

Per Rita e Carla un’altra estate là non sarebbe più stata possibile. Se avessero lasciato la casetta per qualche settimana di riposo, al ritorno probabilmente avrebbero trovato brutte sorprese. Per far sì che il Comune potesse assegnarla a una famiglia in regola e bisognosa, e non venisse, al contrario, occupata da prepotenti, le suore sono rimaste fino all’ultimo: «Mentre uscivamo – ricordano – è entrata una giovane coppia in attesa di un bimbo». Così anche le famiglie vicine in regola sono state protette. «C’era chi ci diceva: se la vostra casa se la prendono “quelli là” noi dovremo andare via». Rita e Carla le loro idee per restituire a via Germagnano un po’ di dignità le hanno spiegate in Comune: «Presenza delle forze dell’ordine, subito, lavoro educativo nel campo. E lavoro per le donne». 

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