il ‘phupping’: un segno preoccupante

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pregi e limiti, anche rischi e seri pericoli di una tecnologia non usata con equilibrio

si danno perfino casi di gruppi di ragazzi o famiglie che non parlano tra loro ma con i loro strumenti tecnologici, facendo foto, taggandosi, ecc., dando l’impressione di fare tutto meno che sentirsi vicini  …

il blog ‘pollicinoeraungrande’ dedica una bella riflessione su questo di grande interesse:

 

Smartphone, Phubbing, Nomofobia. Se ci sei batti un click!

( Lo stress da imparare a riconoscere)

Michele: Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo… no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate “Michele vieni di là con noi, dai” ed io “andate, andate, vi raggiungo dopo”. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo.

Nanni Moretti “Ecce Bombo”

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Apparire esistenti. Far in modo che si sappia che si è. Dare notizia di sé più che farsi conoscere. Questo sembra fare la differenza oggi. Il Michele di “Ecce Bombo” ( 1978) avrebbe il suo da fare, rendendo i suoi dubbi ancora più complessi e faticosi. Facebook, Twitter, Google+, Instagram, Pinterest, You Tube ma non solo, tutto sta diventando necessario e non accessorio perché ci si possa dire veramente esistenti. Avere uno smartphone poi per connettere la propria esistenza a questi network è il passo “naturalmente” conseguente. Nelle belle sere di estate, in vacanza, ho visto famiglie che non parlavano tra loro ma con i loro strumenti tecnologici, si facevano foto, si taggavano e commentavano, ma non sembravano esserci sul serio.

Parole d’ordine: aggiornare, commentare, postare. Il numero di amici e di “Mi piace” sul profilo Facebook sono la cartina tornasole del proprio potere sociale. Certo la tecnologia è stimolante per combattere una certa solitudine, accorcia le distanze dalle persone care e lontane, tiene informati. Ma poi? I momenti non li viviamo quasi più. Li fotografiamo e poi, dopo, li riguardiamo con malinconia. “Come dovevo essere felice!” si penserà, ma la verità è che non si era neppure presenti, si stava facendo la foto del momento che è altra cosa che il momento stesso. In persone cosidette ” a rischio” la dipendenza è facile da incontrare. Si sviluppa un vero e proprio legame morboso con il cellulare, non lo si lascia mai. Lo si custodisce con delicatezza, ci si sente persi senza. Intervistata sul proprio cellulare e sulla vita possibile senza “lui” una classe delle medie riteneva la cosa impensabile, terribile, impossibile. In una serie TV un adolescente vuole convincere l’amica che tra lui e la ragazza che gli piace le cose sono serie. “Ha aggiornato il suo status?” chiede lei. E una crepa vìola la certezza di lui.

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Quando si cominciano a prediligere gli scambi, le relazioni online, mediate dalla tastiera a quelle dirette, vive, allora dobbiamo fare attenzione che il nostro cellulare non abbia preso il posto di altro, che non lo si stia utilizzando per placare la sofferenza di una separazione, che non stia riempiendo un vuoto dovuto alla sofferenza di temersi fuori dal mondo se con questo non si sarà in continuazione connessi. E se da una parte viene asserita la pericolosità per la salute di una eccessiva esposizione a smartphone, tablet, I-Phones, si comincia anche a conoscere il timore per l’equilibrio psichico di milioni di persone che non possono stare senza neppure la notte, che prima di dire “Buongiorno” controllano i propri profili, che cercano in continuazione notizie sui propri amici, conoscenti, idoli. Il desiderio di essere presente in più parti, nel momento presente e in quello vissuto da altri, in una sorta di ubiquità che permetta di controllare tutto, tutto sapere, essere ovunque senza poi essere realmente da nessuna parte. Stiamo diventando pericolosamente tecno-dipendenti. Il termine tecnico, coniato da poco, è quello di “nomofobia” ossia la paura di essere sconnessi dal mondo, di essere fuori dalla rete perchè non si ha il proprio telefono con sè o si sia in un posto dove questi non abbiano campo sufficiente. Una paura che causa incidenti e mette in condizioni di rischio moltissime persone ogni giorno, pensiamo agli incidenti provocati da chi, pur di rispondere ad un sms o aggiornare un profilo, si metta a farlo mentre guida o è preso da delicate azioni con macchinari etc senza che le multe previste possano scalfire il bisogno di esserci.

Un video ci porta a riflettere sul tema. Si chiama ” I Forgot my Phone” ( la protagonista l’ha quindi dimenticato, badiamo, non ne è priva, condizione che sembrerebbe impensabile anche alla regista). Pubblicato il 22/08/2013 ha al momento più di cinque milioni di visualizzazioni con commenti diversi. Ci fa vedere come ci si sente “diversi” senza il proprio strumento con sè, pronto a farci entrare nel mondo.

Istantanea – 25082013 – 19:09:46

La tecnologia è una gran cosa e come tutte le gran cose ha un gran potere e questo, come ogni supereroe sa lascia nelle proprie mani una grande responsabilità. Responsabilità di usarlo nel giusto mondo e non abusandone fino a trasformarlo in un pericolo. Invece molto spesso, sempre più spesso, lo smartphone non è più solo strumento ma fautore di ogni significato, “decide” cosa vale la pena fare, indica come dover apparire, il posto da frequentare, gli amici da desiderare e quelli da etichettare, allontanare, facendo da cassa di risonanza molto spesso inconsapevole del suo stesso potere, anche distruttivo. Se non si è al passo, non si è, si è fuori e fuori è un posto doloroso, solitario, devastante sopratutto per i più giovani. Bisogna avere una certa capacità interiore nel discernere dove sia il limite con la moderna tecnologia, per continuare ad usarla e non farsi usare.

Primo passo sarebbe uscire fuori da qualunque spazio ci rinchiuda appena possibile. Non aggiornare il proprio profilo ma respirare fuori da casa, uffici, negozi. Un po’ di aria fresca potrebbe essere la rivoluzionaria novità per evitare lo stress che questo stile di vita può portare è a diversi livelli. Pensiamo solo al continuo stimolo a cui sottoponiamo il nostro cervello, che pure fantastica macchina qual è, finisce con l’affaticarsi qualora non ci sia un momento di pausa per lui e pausa è pausa. Il Web, le foto, le e-mail, gli sms, sono un continuo metterlo in azione, inserire informazioni, chiedere risposte senza che possa poi riprendersi dal tanto lavoro. Abbiamo parlato anche in altri post di come, allontanarsi dalla tecnologia possa essere un toccasana per il nostro benessere, migliorando anche la nostra creatività. Una continua richiesta di preseImnmagine tratta dal sito Stop Phubbing nza porta alla lunga a minore capacità di sottostare allo stress che questo comporta. Si diventa con più facilità vittima di nervosismo, diventa difficile fronteggiare emozioni che possono nascere proprio dall’eccesso di attività dovuta al perenne chiedere di essere presente, onnipresente. Abbiamo davvero bisogno di rispondere in tempo reale a tutto? Di dare la buonanotte su tutti i nostri profili sempre? Di fotografare e commentare ogni passo del nostro bambino o menù della domenica? Tutte le email di lavoro sono urgenti e fondamentali?

E intanto, due iniziative sono da riportare in merito a questa novella dipendenza da tecnologia. La prima è in Sudcorea , a Seoul, dove nascono già i campi estivi per insegnare ai ragazzi che non esiste solo internet. In questi spazi si cerca di motivare con canti, giochi e attività a tirar fuori i giovani da una conclamata dipendenza da smartphone che sembra colpire un adolescente su 5. La seconda iniziativa che è interessante sapere è quella che accade in Australia, da una idea di Alex Haigh, un ragazzo di ventitré anni, che ha creato la campagna ” Stop Phupping”, messa in atto, appunto, per limitare il Phubbing, definito nello stesso sito come lo snobbare qualcuno in contesto di socialità guardando al proprio cellulare invece di dargli attenzione. Nel sito si può inviare anche una email ad un amico o ex che abbia snobbato, fino alla rottura, la persona inviante.

Lungi dal demonizzare la tecnologia, Facebook, Smartphone o altro, si vuole solo portare l’attenzione su un tema che sarà sempre più prioritario negli anni e che dobbiamo imparare a gestire. Non di meno, questo post è scritto online e chi lo legge lo farà su un pc, Mac, tablet etc etc. La differenza è ancora data dall’educazione del singolo alla consapevolezza e alla misura. Non dimentichiamolo. Buona rete a tutti.




“UN SAPERE PRÊT-À-PORTER” di MAURIZIO FERRARIS da La Repubblica del 21 aprile 2013

"UN SAPERE PRÊT-À-PORTER" di MAURIZIO FERRARIS da La Repubblica del 21 aprile 2013.