caro papa Francesco, questa volta ti scriviamo anche noi …
caro papa Francesco,
siamo un gruppetto di persone, composto da laici, religiosi e sacerdoti, che si è praticamente formato attraverso l’amicizia con i Rom e Sinti, una lunga amicizia frutto di frequentazioni e di vita vissuta dentro i loro campi.
In effetti i Sinti e i Rom sono stati i protagonisti del nostro incontro di fede e del cammino che stiamo portando avanti ancora nella Chiesa. Anche per questo, siamo molto riconoscenti ai Rom, perché è l’amicizia con loro che dà senso e arricchimento alla nostra esperienza.
A vario titolo siamo stati un’espressione dell’UNPReS (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti) della Migrantes, fino a quando, per una riforma infelice si è demandato alle diocesi, non solo la responsabilità pastorale, il che è più che giusto, ma si è abolito l’ufficio nazionale che sensibilizzava e richiamava l’attenzione su questo ambito, che aveva il compito di preparare specificamente gli operatori pastorali e far sorgere una pastorale specifica e coordinata a livello nazionale, anche questo legame si è in parte affievolito. Ci dispiace che questo lungo cammino di Chiesa si stia disperdendo, anche se rimane ancora il legame con le nostre Chiese e comunità di appartenenza che ci fa sentire inviati a vivere, annunciare e scoprire la bellezza del Vangelo con questo popolo che vive in gran parte nelle periferie e ai margini delle nostre città. Un tempo ci piaceva definirci come la “Chiesa che vive in carovana”.
Vorremmo scriverti tante cose, innanzitutto la simpatia che nutriamo verso di te, la tua parola e il tuo stile ci fa sentire in comunione e giustificano il nostro stare dentro e a fianco la vita dei Rom e Sinti.
Ci siamo interrogati varie volte sull’utilità di scrivere queste nostre impressioni. A distanza di qualche mese abbiamo deciso di farlo e di diffondere questo nostro scritto, nella speranza che possa essere compreso e accolto.
Quello che ci spinge a scriverti, con spirito fraterno, è il discorso che hai tenuto all’udienza con i Rom e Sinti in occasione dell’anniversario del pellegrinaggio a Pomezia di cinquant’anni fa. Pure noi eravamo presenti all’udienza e agli appuntamenti dei giorni precedenti e uno di noi ha partecipato anche a quello di Pomezia.
Sostanzialmente noi, nelle parole che hai rivolto ai Sinti e Rom non abbiamo ritrovato lo Spirito di quel cammino pluridecennale di una Chiesa (sia pur piccola e fragile) che vive a contatto con questo popolo. Una Chiesa che con uno sguardo di Fede, cerca e trova anche in questo popolo, il riflesso del Volto Misericordioso di Dio. Siamo convinti che la loro vita continua ad essere per noi un “luogo teologico”, dal quale veniamo anche noi “evangelizzati” da loro. E’ possibile “vivere il Vangelo con i piedi dentro queste periferie”, che in genere sono i campi Rom-Sinti. Lo stupore nello scoprire che c’è anche un “magistero” che fiorisce dalle periferie, da chi vive al margine della società. Non a distanza ma da dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La nostra “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porci come risolutori del “problema Rom”, anche per il fatto che per noi questo popolo non è affatto un ‘problema’, come lo è per i più, ma un’opportunità umana e spirituale. Desideriamo semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi dai nostri e di raccogliere con cura e attenzione la voce dello Spirito che sussurra, attraverso le vite dei Sinti e Rom, il Suo Magistero.
Alcuni di noi vivono ancora dentro dei campi Rom, c’è anche chi ha speso la sua vita in questi “mondi di mondi”, imparando a conoscerli e ad amarli per come sono, con i loro difetti e le loro ricchezze.
Condividendo la loro vita, ha significato per ognuno di noi dei cambiamenti, graduali ma arricchenti, non sempre facili o scontati. Siamo riconoscenti a loro perché ci hanno permesso di entrare nelle loro vite, ci siamo lasciati accompagnare da loro e questa fiducia ci ha permesso di vedere e leggere la realtà con occhi diversi, fino a scoprire, quasi con stupore e meraviglia che anche “il punto di vista” di chi vive nelle carovane, nelle baracche dei campi merita attenzione, rispetto e ascolto. Siamo testimoni di perle di Vangelo, nascoste nelle loro esistenze, che nonostante il disprezzo e il pregiudizio di cui sono spesso vittime brillano e illuminano dando senso anche alle nostre vite. Ma per notare questa loro ricchezza, è importante spogliarsi dei pregiudizi presenti e radicati nella maggioranza, e che purtroppo non mancano neanche in chi li avvicina a fin di bene. L’abbassamento può avvenire a condizione di saper perdere le nostre rigidità mentali, sociali e religiose. La condizione, almeno per noi è “stare dentro” questo mondo. Non può certo avvenire a distanza. A distanza le cose si vedono sfocate, notiamo solo quello che a noi disturba, difficile percepire le sfumature o i suoi contorni, si rischia di non comprendere in profondità la realtà, le sue dinamiche.
Scusaci se te lo diciamo con franchezza, il tuo discorso rivolto ai Sinti e Rom ci è sembrato un pò distante, perché abbiamo sentito riproporre più o meno gli stessi schemi della maggioranza che osserva le cose a distanza, spesso si limita fare discorsi moralistici: dovete cambiare, scuola, minori, legalità, integrazione..ma senza accompagnamento, senza abbassamento. In altre occasioni e contesti, invece sei riuscito a immergerti, capire le situazioni e fare una lettura altra, coraggiosa e non per niente scontata. Ecco questa lettura “altra” ci è sembrata assente nel tuo intervento, eppure il cammino della Chiesa che vive in carovana, da Pomezia ad oggi, ci ha reso sensibili a questa lettura altra e alta.
I campi Rom e Sinti sono quelle ‘periferie’ di cui ci parli e solleciti la Chiesa a prestare attenzione e ascolto.
E’ un’immagine che ci piace tanto, stimolante ed arricchente: per noi i campi Rom sono un “luogo teologico” da contemplare innanzitutto, perché sovente “lo Spirito Santo precede l’arrivo e l’azione dei missionari” ( Evangeli Nuntiandi).
Sì certo, siamo ben consapevoli delle difficoltà, delle ferite che ci sono all’interno, come ci sono, in modi diversi, in ogni gruppo sociale; alcune sono ben visibili, altre più nascoste e spesso passano inosservate, inascoltate. Contempliamo e celebriamo la vita, fatta di resistenze, di attenzione, di lotta, di fatiche, di paure, di violenza, di prevaricazioni, di riconciliazioni, di gioie, di attaccamento alla vita, nonostante tutto, di sogni e di delusioni.. Come tutte le periferie, sono spazi dove il bello e il brutto convivono insieme, si attraversano, si contagiano, ma per noi rimangono spazi di Vita, perché riconosciamo che anche nei loro campi, ci sono manifestazioni di vita buona. Quasi mai questo emerge, si fa risaltare invece solo ciò che è brutto, si sottolinea esclusivamente la devianza o il maltrattamento di pochissimi. Eppure, questa periferia, la vita dei Rom, ha qualcosa da insegnare nella Chiesa e con essa alla società. Così è successo a noi.
Tempo fa hai usato l’immagine (bellissima!) del pastore con l’odore delle pecore. L’abbiamo sentita adatta alla nostra esperienza , calzante con la nostra vita a fianco dei Rom e Sinti. Il loro “odore” è anche un po’ il nostro, e il nostro si è trasmesso un po’ a loro e spesso questo disturba non pochi, sia dentro la Chiesa che nella società. C’è chi vorrebbe spruzzare del deodorante sulle pecore, per coprire il loro odore, e renderlo simile al nostro presunto profumo, più presentabile ai nostri occhi (nasi).
Sono molti oggi che avvicinano queste periferie dei Rom con in mano i “deodoranti”, sentendosi incaricati, inviati a decidere cosa devono fare, cosa devono cambiare, decretando anche i tempi e le modalità. Quasi sempre ciò avviene sulle loro teste, senza alcun coinvolgimento e partecipazione dei diretti interessati. La nostra esperienza invece, proprio perché cerchiamo di contemplare la vita che pulsa nei campi, ci dice che i Sinti e Rom sanno cosa è il meglio per il loro futuro, quali strade intraprendere e cosa cambiare.
Vediamo il rischio che non pochi si avvicinino alle periferie solo perché sono colpiti dal degrado, animati solo della volontà di voler cambiare gli altri attraverso i loro occhi; molti si avvicinano, entrano anche nei campi, ma fanno fatica ad accompagnare, ad abbassarsi e sedersi a mani vuote nelle loro esistenze per comprenderle meglio. E’ triste questo: non trovare la strada per saper riconoscere i valori che l’altro ci può comunicare.
Un’ultima nota riguarda il silenzio di una triste realtà che coinvolge migliaia di Rom in Italia e non solo, senz’altro toccava la maggioranza di quelli che erano presenti all’udienza: la realtà degli sgomberi e il suo uso politico. Ci saremmo aspettati almeno un accenno di condanna per il fatto che, sull’altare della sicurezza e del consenso elettorale, vengono scartati interi nuclei famigliari, buttati per strada e abbandonati a se stessi, privati dei loro diritti riconosciuti anche dalla Legge: tanto sono “zingari”!
“Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.”
(papa Francesco ai movimenti popolari dell’America Latina)
Caro Papa Francesco ti abbracciamo forte, sappi che la nostra fiducia in te non è per nulla scalfita, ma ci preme farti conoscere anche questo lungo e arricchente cammino pastorale che stiamo portando avanti, anche grazie ai Sinti e Rom che ci accolgono e sostengono con la loro fiduciosa amicizia.
Ti auguriamo ogni bene e mentre ti chiediamo la benedizione del Signore, sappi che preghiamo per te, insieme a tanti Sinti e Rom che ti ammirano e ti guardano con amicizia.
suor Carla e suor Rita Viberti (campo Rom Torino)
p. Luciano Meli (Lucca)
don Piero Gabella (Brescia)
don Agostino Rota Martir (campo Rom Pisa)
Marcello Palagi e Franca Felici (Carrara – Avenza)
Marzo 2016