la filosofa Marzano non la pensa come il filosofo Cacciari e neanche come il filosofo Fusaro
ma io dico sì all’utero in prestito
è un tabù come l’aborto anni fa
intervista a Michela Marzano a cura di Gianluca Roselli
in “il Fatto Quotidiano”
le persone dovrebbero pensare prima di parlare e giudicare. Ci vuole calma, serenità e rispetto. Siccome sono questioni etiche, tutti pensano di poter dire la loro. Molti vedono la pagliuzza negli occhi altrui e non la trave nei propri”
Michela Marzano, filosofa, scrittrice e deputata del Pd, difende Nichi Vendola e la sua scelta di ricorrere alla maternità surrogata
“Alt! Primo errore, è sbagliato chiamarla così…”
Qual è la definizione giusta?
La dicitura corretta è “gestazione per altri”. Questo bambino ha avuto la sfortuna di nascere proprio adesso, dopo l’approvazione delle unioni civili. E chi critica Vendola probabilmente preferirebbe che non fosse mai nato. Il punto fondamentale è che non c’è coincidenza tra il mettere al mondo un bambino e la maternità. Far nascere una creatura non significa essere madre. In questo caso si tratta di una donna che ha portato avanti una gravidanza per conto di altri. Altrimenti come dovremmo chiamare le donne che abbandonano i neonati?
Chiariamo meglio il punto.
La maternità è un ruolo, è la responsabilità che si assume nell’essere madre, che è colei che raccoglie la vita ed evita che essa scivoli nel vuoto del non senso. Per questo motivo in francese esistono due parole: geniteur, ovvero la madre biologica, la genitrice di un bambino; e parent, la madre vera e propria, colei che vuole e cresce un figlio. Sono due cose diverse. I bimbi hanno diritto ad avere padre e madre indipendentemente da chi esercita tali ruoli. Molti, anche a sinistra, hanno parlato di sfruttamento del corpo della donna. Questo è un falso problema. Lo sfruttamento c’è se la questione non è regolamentata, ma se avviene all’interno di un quadro legislativo preciso questo rischio viene meno. Vanno sempre valutate le condizioni all’interno delle quali un fatto accade. La gestazione per altri può anche essere un atto di grande generosità. Si è tirato in ballo la differenza di classe. I ricchi possono comprarsi tutto, anche i figli. Gli altri no. Diventa un discorso economico proprio perché nel nostro Paese non si può fare. E allora si è costretti ad andare all’estero e a spendere molti soldi. La stessa cosa si diceva quando l’aborto era illegale: solo le donne ricche possono abortire in sicurezza, mentre le altre rischiano la vita. Una volta diventato legale, la condizione si è parificata. Se in Italia l’utero in affitto fosse legale, la questione non si porrebbe.
Quindi dovrebbe potersi fare anche in Italia?
Sì, ma andiamo piano, perché qui non siamo riusciti nemmeno a portare a casa una legge sulle unioni civili decente. Io sono favorevole al matrimonio gay, ma avevo accettato il compromesso del ddl Cirinnà. Al compromesso del compromesso, però, non ci sto più. La norma è stata svuotata: di fronte a un piccolo passo giuridico in avanti, ne è stato fatto uno enorme indietro sul piano culturale. Togliendo l’obbligo di fedeltà si è sancito l’amore omosessuale come amore di serie B, promiscuo e volatile, quasi non degno. Poi è stata tolta anche la stepchild adoption e il risultato finale è pietoso.
Il Pd sostiene che la stepchild verrà ripresa all’interno di una legge più generale sulle adozioni…
Io due settimane fa ho presentato una proposta di legge proprio sulle adozioni, ma penso che non se ne farà niente. Se non c’erano i voti sull’articolo 5 adesso, mi devono spiegare perché dovrebbero esserci tra sei mesi o un anno. Il Pd sostiene che bisogna fare un passo alla volta… A me sembrano solo scuse. I voti in Parlamento c’erano, il Movimento Cinque Stelle non si sarebbe sottratto a una responsabilità così grande. Io annuncerò il mio addio al partito in aula, alla Camera, al momento del voto finale sulle unioni civili e passerò al gruppo misto. Poi, a fine legislatura, tornerò all’università. Con il mio gesto voglio trasmettere ai giovani il principio che non tradire e non tradirsi è possibile. Anche qui il problema è culturale e riguarda l’intero Paese: non c’è mai solo la strada che gli altri ci propinano, una scelta diversa è sempre possibile. Il mondo gay, però, sulle unioni civili si è diviso. Molti si sono espressi a favore dicendo: meglio questa riforma di niente… Aspettano questa legge da trent’anni, capisco il loro atteggiamento. Ma per abitudine si finisce per accettare qualunque cosa. È anche a questo che mi riferisco quando dico che in Italia ci vuole un profondo cambiamento culturale.