il vangelo è guardare la vita con gli occhi dei poveri e lottare con loro

pace e inquietudine

 

Vieni, sediamoci ed iniziamo a guardare la nostra vita con gli occhi dei poveri. Togliamoci le lenti ricevute in dotazione dal Sistema. Deformano la realtà: non colgono i contorni della persona ma solo competenze ed attitudini professionali. E togliamoci pure le cuffie ricevute in dotazione dal sistema. Deformano la realtà: infatti, trasmettono, ininterrottamente, la narrazione necessaria alla giustificazione dell’indifferenza e dell’esclusione. Ascoltiamo prima, prendiamo visione e informiamoci, controllando le fonti, poi, verifichiamo i risultati e confrontiamoli con quello che ci hanno iniettato fin da piccoli. È un lungo cammino di disintossicazione, alla fine potremmo ritrovarci soli, ma scopriremo il dono promesso da Dio: la pace interiore. Che non ha nulla a che fare con l’impassibilità frutto di pratiche ascetiche, ma è quella sensazione di giustizia creatrice di senso per la nostra vita. Una pace interiore determinata dal perseguimento della giustizia che si accompagna, dunque, necessariamente, all’inquietudine profetica non certo al disimpegno dei defilati, anche se devoti.

«Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto gli orecchi, ma senza sentire»

(Isaia 42, 20)

Mettiamoci nei panni dei poveri, comprendiamo l’assenza di opportunità e la violenza di un’economia fondata sulla funzionalità, un’economia che assorbe uomini e restituisce mansioni, un’economia che non riconosce persone ma solo ruoli. Spogliamoci dei privilegi derivanti dalla condizione sociale, rifiutiamo le dinamiche di asservimento che contraddicono, totalmente, la natura gratuita del nostro essere. Rifiutiamo il servizio all’iniquità e non contribuiamo alla ferocia della reiterazione. Le strutture che producono oppressione (c.d. strutture di peccato) non nascono dal caso e non sono fenomeni naturali, ma camminano sulle gambe di chi sceglie la disumanizzazione e funzionano con le braccia di chi sceglie lo sfruttamento.

Condividiamo il rifiuto che subiscono i poveri e la negazione di un riscatto. Mettiamoci nella condizioni di comprendere la violenza dei “ti faremo sapere”, “ripassa domani”, “torna a casa tua”. Camminiamo con loro per trovare due spiccioli, fatichiamo con loro per una burocrazia fantozziana, proviamo con loro la tristezza di una mensa. Lottiamo non solo per loro ma con loro. Uniamo la nostra voce alla loro e diventiamo la voce di chi è stato ammutolito.

vieni, mettiamoci tra i poveri: non ritroveremo solo Dio ma anche la nostra umanità

da ‘altranarrazione’

per una chiesa profetica secondo il vangelo

 

il sogno di una chiesa profetica

la chiesa secondo il vangelo

ad imitazione di Cristo

 Chi non vede la profonda contraddizione tra il Vangelo, (l’esperienza e il messaggio del Signore Gesù) e l’azione della Chiesa-Istituzione o ha un atteggiamento ideologico o è semplicemente in malafede. E comunque in entrambi i casi dimostra di non voler bene né alla Chiesa-Istituzione né alla Chiesa-Comunità. Non si difende una organizzazione mettendosi i paraocchi sulle deformazioni ma aiutandola a realizzare la propria vocazione. E non si tratta solo dell’abominio dei casi di pedofilia e delle sciagurate coperture di una parte della gerarchia ma anche di tante altre forme di corruzione su cui si sorvola o si convive.  La ricerca di potere e prestigio, la monopolizzazione della testimonianza creano ostacoli e serrano i cuori. La spasmodica ricerca di compatibilità con sistemi politici ed economici antitetici con la compassione di Dio, con la solidarietà umana e con la stessa dottrina sociale della Chiesa scandalizza. Papa Francesco sta riconciliando la Chiesa con il Vangelo, ma non può fare tutto da solo. I membri della Comunità, non solo devono appoggiarlo nella sua azione, ma devono pretendere il cambiamento nei luoghi in cui agiscono. Con la responsabilità, non con l’adulazione, si costruisce il Regno di  Dio.

testo del card.Francesco Montenegro:

“È il mio sogno che vi ho presentato già dal giorno del mio arrivo ad Agrigento e che non posso non riproporvi. Ho letto queste parole: «Tenetevi saldi ai vostri sogni, perché se i sogni muoiono, la vita è come un uccello dalle ali spezzate, che non può più volare». E io non mi stanco e non intendo stancarmi di sognare. Come desidero trovare complici disposti a sognare e osare. Sogno la nostra Chiesa agrigentina che non sta alla finestra, e non prende le distanze da ciò che succede per strada. Ma che cammina bella lungo le strade gridando la profezia e scandalizzando coi suoi gesti d’amore. Che oltre a essere esperta delle cose di Dio, lo è altrettanto delle cose dell’uomo. Una chiesa bella che comprende la solitudine e la sofferenza dell’escluso di oggi – il lebbroso di allora – e lo guarisce, come fece Gesù, non standosene a debita distanza ma toccandolo; che piange, senza vergogna, assieme alla mamma che accompagna il figlio defunto o che partecipa alla gioia dei due sposini di Cana e non vuole che la festa finisca male. Chiesa bella che evangelizza, ma sa che evangelizzare significa rendere concreto ciò che si annuncia. Chiesa bella, la nostra, che è preoccupata di custodire la verità, ma è anche impegnata a rivelare l’amore. Sogno la nostra Chiesa bella e pronta a offrire a tutti un Dio vivo, imprevedibile e giovane e Lo sente presente, accanto e che parla, un Dio che ama, ride, piange, che ha un pallino: i poveri, gli ultimi, i nessuno. Chiesa bella che stando per strada non porta solo i manuali della preghiera ma ha sempre con sé l’olio e il vino, che ha per bussola il Vangelo ed è attenta a non ritrovarsi, come il sacerdote e il levita, “dall’altra parte” della strada, cioè dalla parte sbagliata. Che sa scoprire il bene, anche poco, in ogni uomo (come Gesù lo vide nel ladrone), anche se è uno scarto della società. Chiesa bella perché, rifiuta di diventare pascolo di egoismi colorati di bontà, e preferisce percorrere sia la strada che da Gerusalemme va a Gerico (dell’uomo abbandonato per terra), sia quella di Emmaus (dei viandanti senza speranza), che esce dal tempio (dove si può anche pregare col cuore spento e senza speranza come Zaccaria), si ferma al pozzo (i luoghi degli uomini) della Samaritana), entra nella casa di Zaccheo, e si avvicina ai bordi della piscina di Betzata. Sogno una chiesa bella che sente la voce del Signore che la invita alla conversione e la sprona ad osare cose nuove e a farsi «comprensiva, amante dei fratelli, maternamente tenera, umile» (cfr 1 Pt 3,8)”.

(Dal Pontificale dell’Immacolata del card. Francesco Montenegro, 08/12/2016)

pubblicato da ‘altranarrazione’

una chiesa liberante non può che nascere dai poveri

la chiesa che nasce dai poveri

 

«La liberazione autentica sarà opera dello stesso oppresso, in lui il Signore salva la storia. La spiritualità della liberazione avrà come punto di partenza la spiritualità degli ‘anawim»

(Gustavo Gutiérrez)

 Il Vangelo è un elemento di contraddizione dove c’è oppressione e sfruttamento. Promuove la giusta indignazione, non addormenta le coscienze. Il Vangelo è il libro della liberazione e non legittima nessun schiacciamento  dell’uomo sull’uomo. Quando la chiesa-istituzione appoggia le classi dominanti significa che c’è qualcosa che non funziona. Cercare o mantenere una posizione di rendita vuol dire porsi fuori dalla testimonianza evangelica. La Chiesa, per vocazione, deve disturbare socialmente sia i governi che adottano politiche inique sia le classi sociali che ne traggono beneficio. Se si toglie l’aspetto profetico rimane solo la burocrazia: e gli effetti di tale deformazione sono noti.

testo di Gustavo Gutierrez:

“Il Vangelo letto a partire dal povero, dalle classi sfruttate e dalla solidarietà attiva con le sue lotte per la liberazione, porta alla convocazione di una Chiesa popolare; porta ad una Chiesa che nasce dai poveri, dall’emarginazione […] che nasce dal popolo, da un popolo che strappa il Vangelo dalle mani dei dominatori, che impedisce la sua utilizzazione come elemento giustificante di una situazione contraria alla volontà del Dio liberatore….”. L’Evangelizzazione sarà realmente liberatrice quando gli stessi poveri saranno i suoi portatori. Allora sì annunciare il Vangelo sarà pietra di scandalo, sarà un Vangelo non «presentabile in società» si esprimerà in modo poco raffinato, puzzerà….”.

(Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 27-28)

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

il ‘vangelo’, lo dice la parola, o è una buona notizia per i poveri o non è

l’annuncio

«Più che della sollecitudine dell’uomo per Dio, i profeti si occupano della sollecitudine che Dio nutre nei confronti dell’uomo»

(AJ Heschel)

«Non è possibile rimanere neutrali davanti alla situazione di povertà e alle giuste rivendicazioni che ne derivano da parte di coloro che ne soffrono: sarebbe prendere partito per l’ingiustizia e l’oppressione presenti tra di noi»
(G. Gutiérrez)

Gesù va ad annunziare ai poveri il lieto il messaggio(1). Cioè che Dio costruisce il Regno insieme a loro, che dona la sua salvezza attraverso di loro, che si identifica con loro e che capovolge i giudizi di sventura e di colpa formulati da quelli che se ne intendono.

Noi invece rinchiudiamo ermeticamente il Vangelo in aule universitarie, sale per le conferenze o nelle assemblee liturgiche. D’altronde c’è da difendere uno status quo, quindi l’ordine impartito è rassicurare non scuotere le coscienze.

Gesù va a proclamare ai prigionieri la liberazione. Cioè che Dio desidera l’uomo libero e che l’azione della sua grazia mira ad emanciparlo dai gioghi di ordine materiale o spirituale. Che Dio rimette in piedi chi cade e che non esiste abisso che Lui non conosce o che non frequenta.

Noi invece insegniamo prima a piegare il capo e poi a mantenerlo piegato. A disconoscere la nostra dignità di uomini per essere degli ineccepibili servitori del Sistema. In ginocchio davanti al vitello d’oro del benessere e non per chiedere a Dio il compimento delle sue promesse.

Gesù va a proclamare ai ciechi la vista. Cioè che Dio illumina e dissipa le nostre tenebre. Scioglie i nostri dubbi, guarisce le nostre ferite, consola le nostre malinconie. Che ci sostiene perché cammina con noi.

Noi invece insegniamo la legge e l’adempimento, le forme e i concetti. Costruiamo verità che risultano funzionali al nostro bisogno di affermazione ma non alla ricerca esistenziale e di senso.

Gesù va a proclamare agli oppressi la restituzione della libertà. Cioè che nel progetto di Dio la sopraffazione non trova spazio. Le relazioni corrono solo in orizzontale non in verticale. Che Dio non pensa a fortini con la sorveglianza armata ma a comunità solidali.

Noi insegniamo invece a convivere con l’oppressione spiritualizzandola in sacrificio gradito a Dio. Rinviamo indebitamente il senso di Giustizia di Dio all’aldilà. Pratichiamo conformismo allo stato puro.

Gesù va a predicare un anno di grazia del Signore,

noi un anno di interpretazioni giuridiche.

(1)Vangelo di Luca 4,18

pubblicato da ‘altranarrazione’

“non è l’uomo che è stato fatto per il ‘sabato’ ma il ‘sabato’ per l’uomo”

servire il vangelo o le strutture?

Nel Vangelo troviamo l’indirizzo di Dio. Possiamo sapere dove abita, che lavoro fa e cosa fare per aiutarlo. Dobbiamo però “rivedere” l’idea di Dio socialmente accettata e rinunciare alla recita del personaggio che ci siamo costruiti.  Dobbiamo accogliere un Dio che non viene per realizzare le nostre smanie ma il suo Regno che prevede opzioni precise e non negoziabili: la misericordia per le nostre miserie e la compassione per gli ultimi. Dobbiamo depositare le maschere e calarci con Lui nell’abisso scavato dal male.
Il Vangelo apre strade, percorsi per andare incontro a chi si è fermato; le strutture aprono sedi per ricevere quelli che si muovono. Il Vangelo non ha orari, agende, programmi; le strutture selezionano gli ingressi, accettano o respingono. Il Vangelo rende fratelli e sorelle; le strutture utenti. Il Vangelo risveglia e alimenta carismi; le strutture assegnano ruoli. Il Vangelo costruisce comunità; le strutture organizzano uffici.

È impossibile evangelizzare le strutture, visto che il Vangelo si arresta nel punto esatto in cui inizia la struttura. Fuori il Vangelo dentro lo statuto e le regole fatte a misura d’uomo. D’altronde il Vangelo è rinuncia o perdita di ogni status symbol, è abbassamento e non prevede l’esaltazione di se stessi utilizzando Dio. Le strutture costituiscono a tutt’oggi un’insuperabile pietra d’inciampo per molti. Occorre recuperare l’immediatezza dell’esperienza di fede, come relazione con Colui che non si stanca di attenderci sulle vie dell’Amore.

pubblicato da ‘altranarrazione’

contro una ‘lettura estetico-intimistica’ del vangelo

vangelo e politica

Il vangelo è un testo specificatamente politico. Intendendo con tale termine: l’atto di scegliere, di schierarsi affinché le problematiche della convivenza vengano decise secondo giustizia. Di sicuro invece il Vangelo non prevede tifo calcistico per un partito o peggio ancora l’appoggio per garantirsi dei privilegi anche quando il partito stesso si definisce cristiano/cattolico (e soprattutto quando profana, con le sue scelte scellerate, la croce inserita nel simbolo). Seguire Cristo ha poco a che fare anche con certi racconti bucolici che ci vengono propinati: fiorellini, tramonti e gite in montagne varie. Seguire Cristo è essenzialmente un’opzione. Significa camminare dove ha camminato Lui: negli stessi abissi e nelle stesse sofferenze. Significa morire come lui: senza applausi e consensi ma da reietti. I borghesi hanno l’idolo della legalità, i cristiani seguono un condannato a morte per sovversione. Per i seguaci di Cristo la legge della carità viene prima di tutte le leggi dell’Impero. I seguaci di Cristo, come il buon samaritano, si fermano a soccorrere i disperati, ad ospitarli a proteggerli anche se l’Impero lo vieta. I seguaci di Cristo non fanno come Pilato ma distinguono ciò che è resistenza e ciò che è repressione. I seguaci di Cristo si schierano con gli oppressi e non con il manganello anche nel caso abbia il permesso dell’Impero. Seguendo il loro Maestro i cristiani credono che le leggi siano fatte per l’uomo e non l’uomo per le leggi(1) e che quando è necessario “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”(2). I seguaci di Cristo costituiscono un problema per mammona (il potere) perché scelgono di contrapporsi e non di allearsi. Chi non agisce così, invece, si domandi chi segue.

(1)“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!” (Vangelo di Marco 2,27)

(2) Atti degli Apostoli 5,29

 da ‘altranarrazione’

cari politici, giù le mani dal vangelo, tanto lo usate solo per i vostri interessi!

“politici, leggete il vangelo e confrontatelo con le vostre scelte”

parroco di Bologna scrive a 12 politici

A don Tarcisio Nardelli,  parroco del Cuore Immacolato di Maria nel quartiere Borgo Panigale, a Bologna, il video della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni in cui veniva auspicata una “rivoluzione del presepe”, non è andato proprio giù. Già prima di Natale aveva mal digerito  la mancata approvazione della legge sullo Ius soli e così, durante le feste natalizie, ha scritto una sua riflessione sui simboli cristiani, che ha spedito, insieme a una copia del Vangelo, ai rappresentanti di ogni schieramento politico: da Paolo Gentiloni a Pietro Grasso, a Matteo Renzi, alla stessa Meloni, a Luigi Di Maio, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin,

«Perché tu lo legga e possa confrontare le tue scelte politiche con la parola di Gesù». «Non ho la pretesa che tutti, anche chi è ateo, lo leggano – ha spiegato don Tarcisio all’agenzia Dire, secondo quanto si legge sull’edizione bolognese di Repubblica (13/1) – ma chi chiede il voto dei cattolici dovrebbe tener conto del Vangelo. Ho paura che oggi però siano in pochi…».

Don Tarcisio non si è fermato qui, nel suo gesto di protesta. Ha anche promesso ai suoi parrocchiani di non toccare più questioni politiche fino alla data delle elezioni:

«Non solo le banche in fallimento, il testamento biologico, l’abbassamento delle tasse, la permanenza o l’uscita dall’euro saranno argomento di battaglia e propaganda elettorale senza esclusione di colpi», ha detto, «ma anche il mite presepe inventato da San Francesco… Se Gesù è nato in una stalla come non vedere che oggi nasce nelle povere capanne dell’Africa, nei campi di sterminio in Libia e nei barconi che cercano di attraversare il Mediterraneo”.

Se Gesù è dovuto scappare in Egitto, prosegue,

«come faccio a non accogliere tutti coloro che a causa di guerra, violenza, terrorismo, fame, carestia non hanno futuro nei loro Paesi e fuggono cercando pace e speranza di vita tra noi?».

Don Tarcisio invita poi i politici ad andare oltre i simboli.

 «È vero, sono importanti. Ma non fermiamoci lì, bisogna capirne anche il significato». Il crocifisso sui muri, spiega, non è più importante degli uomini o dei popoli che oggi sono crocifissi»

dalle guerre o dalla povertà, e lo stesso vale per il presepe.

Allo stesso tempo, però, don Tarcisio bacchetta anche chi vuole cancellare a ogni costo i simboli religiosi:

«La civiltà e la cultura che dobbiamo proporre è quella del dialogo, in cui io mostro i valori in cui credo e l’altro mi mostra i suoi. Lui farà fatica a capire, ma anch’io faccio fatica a capire la fede islamica. Questo però non è un motivo perché sia io che lui facciamo silenzio sulle nostre fedi. Dobbiamo educarci a un dialogo libero, rispettoso e gioioso».

il messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 un cristiano autentico non può essere razzista

rifugiati migranti

‘ero straniero e mi avete accolto’

la grande attualità del messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 

L’AUTORE –Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici;Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

 

“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.
“Prima noi”, poi, eventualmente, se proprio ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero all’estraneo che attenta al nostro benessere economico, ai valori civili e religiosi della nostra società e alle nostre sacrosante tradizioni. “Loro” sono gli stranieri, i barbari. In ogni cultura chi proviene da fuori, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile e che nel mondo greco passò a significare quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile, indigeno.
Nonostante nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero (“Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, Es 22,21), Gesù si è trovato a vivere in una realtà dove il forestiero andava evitato, e persino dopo la morte veniva seppellito a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).
In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).
Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi più lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, “una vedova a Sarepta di Sidone” (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero: “Naamàn, il Siro” (Lc 4,27).Prima noi? Gesù, manifestazione vivente dell’amore universale del Padre, vuole condividere i pani in terra pagana così come ha fatto in Israele (Mt 14,13-21). La resistenza dei discepoli di portare anche agli stranieri la buona notizia, viene dagli evangelisti raffigurata nell’incontro di Gesù con una donna straniera, cananea (fenicia) che invoca la liberazione della figlia da un demonio (Mt 15,22). La donna, succube dell’ideologia nazional religiosa che faceva ritenere i pagani inferiori ai Giudei, si accontenterebbe di poco, anche delle briciole (“Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori”, Mt 15,27). Nella tradizione biblica i figli di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c’è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri cani, animali ritenuti impuri e portatori del demonio. Per questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione.Sarà una donna, per giunta pagana, a impartire una lezione ai discepoli del Cristo. Costei ha infatti compreso che non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi insieme, e allo stesso tempo, dell’unico pane che alimenta la vita. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose.La reazione di Gesù è di grande ammirazione: “Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28), e ai pagani Gesù non concederà le briciole, ma anche in terra straniera ci sarà l’abbondante condivisione dei pani, segni della benedizione divina (Mt 15,32-39).
L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo, che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11; Gal 3,28).La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

il commento al vangelo della domenica

“NON ABBIATE PAURA “

commento al vangelo della dodicesima domenica del tempo ordinario (25 giugno 2017) di Ermes Ronchi:

Matteo 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri. Ogni volta, di fronte a queste parole provo paura e commozione insieme: la paura di non capire un Dio che si perde dietro le più piccole creature: i passeri e i capelli del capo; la commozione di immagini che mi parlano dell’impensato di Dio, che fa per te ciò che nessuno ha fatto, ciò che nessuno farà: ti conta tutti i capelli in capo e ti prepara un nido nelle sue mani. Per dire che tu vali per Lui, che ha cura di te, di ogni fibra del corpo, di ogni cellula del cuore: innamorato di ogni tuo dettaglio.
Nemmeno un passero cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Eppure i passeri continuano a cadere, gli innocenti a morire, i bambini ad essere venduti a poco più di un soldo o gettati via appena spiccato il loro breve volo.
Ma allora, è Dio che fa cadere a terra? È Dio che infrange le ali dei corti voli che sono le nostre vite, che invia la morte ed essa viene? No. Abbiamo interpretato questo passo sull’eco di certi proverbi popolari come: non si muove foglia che Dio non voglia. Ma il Vangelo non dice questo, assicura invece che neppure un passero cadrà a terra senza che Dio ne sia coinvolto, che nessuno cadrà fuori dalle mani di Dio, lontano dalla sua presenza. Dio sarà lì.
Nulla accade senza il Padre, è la traduzione letterale, e non di certo senza che Dio lo voglia. Infatti molte cose, troppe accadono nel mondo contro il volere di Dio. Ogni odio, ogni guerra, ogni violenza accade contro la volontà del Padre, e tuttavia nulla avviene senza che Dio ne sia coinvolto, nessuno muore senza che Lui non ne patisca l’agonia, nessuno è rifiutato senza che non lo sia anche lui (Matteo 25), nessuno è crocifisso senza che Cristo non sia ancora crocifisso.
Quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo sulle terrazze, sul posto di lavoro, nella scuola, negli incontri di ogni giorno annunciate che Dio si prende cura di ognuno dei suoi figli, che nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel cuore di Dio.
Temete piuttosto chi ha il potere di far perire l’anima, l’anima è vulnerabile, l’anima è una fiamma che può languire: muore di superficialità, di indifferenza, di disamore, di ipocrisia. Muore quando ti lasci corrompere, quando disanimi gli altri e togli loro coraggio, quando lavori a demolire, a calunniare, a deridere gli ideali, a diffondere la paura.
Per tre volte Gesù ci rassicura: Non abbiate paura (vv 26,28,31), voi valete! Che bello questo verbo! Per Dio, io valgo. Valgo di più, di più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di più di quanto osavo sperare. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita.

(Letture: Geremia 20,10-13; Salmo 68; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33)

 

il vangelo fa paura

settimana santa

la paura del vangelo

di José María Castillo

in “Religiòn digital” – www.religiondigital.com – del 9 aprile 2017

Una delle cose che sono più chiare, nei racconti della passione del Signore che la Chiesa ci ricorda in questi giorni della Settimana Santa, è la paura che fa il Vangelo. Sì, la vita di Gesù ci fa paura. Perché, in fin dei conti, non vi è alcun dubbio che quel modo di vivere – se i vangeli sono il ricordo vero di quello che allora successe – ha portato Gesù a terminare i suoi giorni dovendo accettare il destino più ripugnante che una società possa attribuire: il destino di un delinquente giustiziato (G. Theissen).

  La morte di Gesù non è stata un “sacrificio religioso”. Anzi, si può affermare con certezza che la morte di Gesù, così come la raccontano i vangeli, è stata quanto di più opposto a quello che in quella cultura si poteva comprendere come un sacrificio sacro. Ogni sacrificio religioso, in quel tempo, doveva adempiere a due condizioni: doveva realizzarsi nel tempio (nel sacro) e doveva farsi compiendo le norme di un rituale religioso. Nessuna di queste due condizioni si è verificata nella morte di Gesù. Inoltre, Gesù fu crocifisso non tra due “ladroni”, ma tra due lestái, una parola greca della quale sappiamo che si utilizzava per designare non solo i “banditi” (Mc 11, 17 par; Gv 28, 40), ma anche i “ribelli politici” (Mc 15, 27 par), come segnala Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn; X. Alegre). Per questo si comprende che nella sua ora finale e decisiva Gesù si è visto tradito e abbandonato da tutti: dal popolo, dai discepoli, dagli apostoli… Di religioso, l’essere crocifisso non ha nulla, se non i sentimenti dello stesso Gesù. E sappiamo che il suo sentimento più forte è stato la coscienza di vedersi abbandonato persino da Dio (Mt 27, 46; Mc 15, 34). La vita di Gesù si è svolta nella maniera nella quale è terminata: solo, derelitto, abbandonato. Cosa sta a significare tutto questo per noi? La Settimana Santa per noi sta a significare, nei testi biblici che leggiamo in questi giorni, che Gesù è venuto a mettere in discussione la realtà nella quale viviamo. La realtà violenta, crudele, nella quale si impone “la legge del più forte” rispetto alla “legge di tutti i deboli”. Sappiamo che Paolo di Tarso ha interpretato il racconto mitico del peccato di Adamo come origine e spiegazione della morte di Gesù per redimerci dai nostri peccati (Rm 5, 12-14; 2 Cor 12-14). È l’interpretazione cui ricorrono i predicatori, che puntano la nostra attenzione sulla salvezza del cielo. Questo è buono. Ma ha il pericolo di sviare questa nostra attenzione dalla tragica realtà che stiamo vivendo. La realtà della violenza che soffrono i “nessuno”, la corruzione di quelli che comandano e soprattutto il silenzio di coloro che sanno queste cose e le nascondono per non perdere il loro potere, le loro cariche ed i loro privilegi. La bellezza, il fervore, la devozione delle nostre liturgie sacre e delle nostre confraternite ci ricordano la passione del Signore. Ma mette in discussione per noi la durissima realtà che stanno vivendo tanti milioni di esseri umani? Ci ricorda la vita che ha portato Gesù al suo fallimento finale? O ci distrae con devozioni estetiche e tradizioni che utilizzano la “memoria passionis”, il “ricordo pericoloso” di Gesù, per viverlo bene con buona coscienza?  

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articolo pubblicato il 9.4.2017 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI

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