in Vaticano ci sono dei cardinali che vogliono la morte di papa Francesco

attacco alla Curia e al prelato Balda

“sono finita nei guai per uno squallido gioco di potere tra cardinali”

la pr Francesca Chaouqui parla di una vera e propria guerra tra alti prelati all’ombra del Cupolone

di giacomo galeazzi e ilario lombardo
l’intervista a Francesca Chaouqui è durata un’ora, durante la quale ha risposto a molte domande
per ovvie ragioni di spazio è stata fatta una selezione per l’edizione cartacea della Stampa, del 12/12/2016

 

«Sono nei guai per uno squallido gioco di potere di cardinali. Chi ha armato la mano contro di me è un nemico del Papa, ho fornito le prove alla Gendarmeria». Per Francesca Immacolata Chaouqui, imputata col prelato Vallejo Balda nel processo Vatileaks «molti in Vaticano vogliono morto Francesco. Me lo ha detto un cardinale: Il Santo Padre passa, la Curia resta».  

 

Quale è il suo ruolo nel processo?  

«Mi vengono contestati l’associazione a delinquere e la diffusione di documenti riservati. Ma la mia vicinanza a Balda era dovuta al lavoro in comune nella commissione Cosea. Mai dato carte a nessuno».  

Cosa sta accadendo in Curia?  

«È una fase decisiva nella riforma. La segreteria per l’economia è operativa ma è inammissibile che l’australiano Danny Casey, il braccio destro del cardinale George Pell, guadagni 5 volte più del capo della Gendarmeria che comanda 200 persone. Nel nuovo dicastero ci sono stipendi mai visti prima in Vaticano».  

Come mai una giovane pr trentenne senza competenze specifiche finisce in una commissione finanziaria?  

«Ho curato le relazioni esterne dei principali studi legali. Mai sentita inadeguata, so analizzare i bilanci di banche e imprese, dalle Srl alle quotate. Sono stata io ad individuare la McKinsey per unificare in Curia gli enti di comunicazione, mentre altri 5 membri della commissione si preoccupavano di ricollocarsi in Curia. Io non ho fatto assumere figli o fratelli alla McKinsey. De Franssu è andato a presiedere lo Ior e ha piazzato il figlio a Promontory, che controlla i conti della banca».  

Il nuovo corso non funziona?  

«Il Vaticano non è quella fogna che si pensava di dover ripulire. C’è tanta gente onesta che fa il suo lavoro: non accetta che un comitato di polizia australiano vada in casa a dire che sono tutti ladri e poi guadagni stipendi esorbitanti».  

Chi l’ha voluta in Curia?  

«Non lo so e neppure il Papa lo sa. Mi telefonò l’assessore della Segreteria di Stato, Peter Wells. Ho fatto un errore ad accettare. Credevo di svolgere un servizio al Papa e mi sono ritrovata in gravi guai».  

Quanto conta adesso lo Ior?  

«Resta un ente fondamentale: garantisce la libertà di mandare soldi alle missioni e di gestire il patrimonio. È la banca centrale del Vaticano e per il 90% lì le cose sono pulite, sane. La nomina al vertice di Gianfranco Mammì fa ben sperare. La questione di conti dei laici si risolverà, i controllori di Moneyval hanno dato parere positivo. Sotto la direzione dei cardinali Abril, Parolin, Tauran lo Ior che esisteva prima non esisterà più».  

Suo marito ha mai lavorato per una società che è stata pagata dallo Ior o dal Vaticano per consulenze sui sistemi informatici?  

«Mai». 

Quali sono i suoi rapporti con Luigi Bisignani?  

«Lo conosco da un anno e mezzo, ma non abbiamo mai parlato di Vaticano, solo di politica, Generali, attualità. E’ associato al Vaticano come tanti, ma ciò non lo rende impresentabile. Mai lavorato con lui. Non gli ho chiesto favori e lui non ne ha chiesti a me. Una persona piacevole».  

Bisignani conosce la contessa Marisa Pinto, la sua mentore?  

«Sono amici. La contessa e il marito gli diedero il primo lavoro quando aveva 18 anni».  

Tra gli sponsor che l’hanno voluta in Vaticano c’è Tauran?  

«Non ne ho la minima idea». 

Tauran è legato alla contessa?  

«Sono dietrologie. È una menzogna di Balda che il cardinale Tauran mi abbia segnalato in Vaticano. Alla contessa voglio bene ma non c’entra nulla con incarichi di lavoro o in Curia».  

E la Ernst & Young dove lei lavorava? Ha avuto rapporti con la contessa?  

«Nel natale 2012 all’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede ha patrocinato un concerto della fondazione “Messaggeri della pace” presieduta dalla Pinto».  

Perché a Balda assegnò lo stesso autista della contessa?  

«Conoscevo Pietro Grillo: fa questo mestiere per vari personaggi. Lo indicai a Balda quando le sue frequentazioni diventarono poco raccomandabili. In Curia erano già arrivate voci di suoi strani viaggi e di un pernottamento a Torino in un hotel di lusso. Non volevo che andasse a cena sul mare da solo con i maschi. Vedevo sfumare l’investimento professionale e di relazione che avevo fatto su di lui. Gli avevo consigliato di avere dei costumi più consoni alla vita di un prelato».  

Molte delle testimonianze, anche fotografiche, però dimostrerebbero che era lei a consigliargli un “nuovo stile di vita”?  

«Quando era mio amico non faceva vita mondana. Certo, gli ho presentato varie persone tra le quali la stessa manager tv Elena Metti» 

Aveva il suo personal shopper?  

«Il personal shopper era il mio in quanto donna e pr. Ho il mio parrucchiere. Un giorno Balda lo ha conosciuto, ha iniziato a frequentare il suo salone e ci ha portato la mamma. Poi ha deciso di fare con lui un percorso di styling, perché voleva cambiare la sua immagine. Stesso motivo con il personal trainer. Diceva di sentirsi insoddisfatto di quei vestiti che cominciavano ad andargli stretti». 

Ha fatto sesso con Balda?  

«Non mi è mai passato per la mente. Gli serviva un episodio scatenante per giustificare un ricatto e per inventarsi un motivo che lo avrebbe indotto a consegnare i documenti segreti. Così può dire che io l’ho raccontato ai due giornalisti (Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, coimputati nel processo, ndr) in modo che loro potessero fare pressione per farsi dare le carte».  

Lei ha detto che non avrebbe potuto fare sesso con lui perché non era interessato alle donne.  

«Fare sesso con lui è un’ipotesi inesistente, non perché non fosse interessato alle donne. Ma perché per me era un fratello, un amico, una persona con cui scherzare. Certo, in tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme non ha mai fatto una battuta su una donna. Mentre su altro sì». 

Su altro?  

«Inutile scendere in pettegolezzi». 

Lei però gli inviò un sms per invitarlo ad avere rapporti sessuali con sua cugina Silvana, in Calabria, così, scrisse, «può anche essere salvato il patrimonio genetico».  

«Era uno scherzo. Diceva spesso vorrei tanto avere un figlio, aveva paura di restare solo. Diceva: “Che sarà della mia vita quando mia madre non ci sarà più”. Era una goliardata, una battuta di pulcinella. Non ha visto nessuna cugina». 

Perché, in un altro sms, gli dice di rivolgersi a Sgalla (Roberto, capo dei servizi speciali della Polizia), che, «ben conosci – scrive lei – e fatti dire i pianti di questi giorni quando mi hai detto dei fogli spostati»  

«Non ho nulla da riferire sulle persone che conosco. Non sono oggetto di conversazioni giornalistiche». 

Lei ci ha detto che non lo conosceva. E’ così?  

«Non ho intenzione di parlarne». 

Quando conosce Nuzzi?  

«Quando lo chiamai a presentare un libro per lo studio legale in cui io lavoravo. Da lì si è creata un’amicizia che non c’entra con il Vaticano» 

Lei scrisse un tweet in cui sosteneva che il maggiordomo Paolo Gabriele non fu il corvo del primo Vatileaks? Chi lo fu allora?  

«Allora era una impressione. Ora ho le prove, perché le ho ricostruite in Vaticano, ma non posso parlarne. Fu usato per lotte di potere tra cardinali». 

Conosceva Gabriele?  

«Mai incontrato, né prima né dopo». 

C’è un legame tra Vatileaks e le dimissioni di Ratzinger?  

«Vatileaks 1 non c’entra con le dimissioni di Benedetto».  

Chi considera i suoi nemici?  

«Oggi, attraverso veline ai giornali, i miei nemici sono gli stessi che hanno attaccato il prelato dello Ior, Battista Ricca. I giornalisti sono strumenti, dietro ci sono mandanti che non perdonano a Francesco di aver fatto nomine prescindendo dalle gerarchie della Segreteria di Stato. Sono gli stessi interni che sperano che papa Bergoglio muoia da un giorno all’altro».  

C’è dietro un cardinale?  

«Ne ho riferito a Francesco e ho consegnato le prove alla Gendarmeria. Ho agito solo per amore del Papa. In Vaticano ho lavorato gratis e non mai fatto da intermediaria con la politica. Conoscevo già tutti».  

Perché allora il Papa dice di aver commesso un errore a nominare lei in Cosea?  

«Non mi sento offesa. Sono d’accordo con lui: c’è chi si è fatto nominare in una commissione per poi entrare nel vertice del più importante ente controllato, lo Ior». 

Lei accusa il vaticanista del Giornale Fabio Marchese Ragona di aver falsificato i tweet imbarazzanti del suo profilo datati 2013 contro il Segretario di Stato vaticano Bertone, l’ex ministro dell’Economia Tremonti…  

«I miei nemici sono gli stessi che armarono la mano di Ragona quando impacchettò la storia dei tweet falsi per la quale ora sono indagata a Roma». 

L ei ha detto che lo aveva denunciato, ma non è andata così…  

«Non l’ho denunciato per pietà e per un fatto pratico. Guadagna mille euro al mese, che cosa avrei potuto levargli?»  

Ha detto che erano stati gli hacker a intrufolarsi nel suo computer.  

«Nessuna intrusione, hanno usato Photoshop. Quanto ci vuole a costruire un coso falso?» 

Sallusti ha verificato che erano veri.  

«Sallusti facesse bene a tacere perché non ha verificato niente».  

Uno degli indagati dalla procura di Roma assieme a lei è Sauro Moretti che chiamò Ragona per convincerlo a non scrivere più. E’ andata così?  

«Accade questo: chiamo Vittorio Sgarbi che mi dice che il suo braccio destro Sauro Moretti conosce tutti al Giornale, vediamo se può darci una mano. Allora io chiamo Moretti. Lui mi dà il numero di Sallusti. Chiamo Sallusti, ma lui dice che è al mare. Ricordiamo che il pezzo esce il 10 agosto 2013, poco dopo la mia nomina in Cosea. Sallusti mi rimanda al vicedirettore. Le risposte che mi danno non mi convincono e io mi incavolo di più. Perché anche io ho dei limiti sui quali lavoro da tempo: sono incazzosa e aggressiva. Comunque, chiamo Paolo Berlusconi (altro indagato, ndr): mi promette che avrebbe verificato e qualora ci fossero state irregolarità queste sarebbero state sanate. Da quel momento si crea un bel dialogo con Paolo che non ha niente a che vedere con la Santa Sede. Perché posso assicurarvi che alla famiglia Berlusconi non gliene è mai fregato niente del Vaticano. Mi è stato promesso che Ragona non avrebbe più scritto falsità sul mio conto. E così è stato: non ha più scritto falsità. Ha continuato a scrivere sul Giornale e ad apparire su Sky, purtroppo. Dico purtroppo perché meritava di essere radiato dall’albo». 

Però non lo ha denunciato.  

«Ho fatto la visura su questa povero disgraziato e dopo aver visto che è un nullatenente che guadagna al massimo 1.100 euro al mese, ho detto vabbè offriamo questa sofferenza a Dio e andiamo avanti». 

Quale è il suo rapporto con Mario Benotti, indagato con lei a Roma per associazione a delinquere finalizzata all’accesso informativo abusivo.  

«E’ un caro amico, niente di più. E’ coinvolto in questa vicenda perché io e mio marito, indagato anche lui per intrusione informatica, abbiamo avuto pietà del difficile momento che stava vivendo con la compagna, perché la figlia della compagna era stata affidata al suo ex marito e gli avevano riferito che la piccola veniva trattata male. Benotti mi chiese la cortesia di far fare a mio marito una verifica sui profili social del padre per vedere se ci fossero degli elementi, poiché loro ritenevano che potessero esserci delle cose imbarazzanti nel passato di questa persona, non consone a un padre di famiglia. In questo caso sarebbero confluite nel fascicolo del giudice del Tribunale dei Minori affinché la bambina fosse tolta al papà e affidata alla mamma. Nessuna intrusione informatica. Mio marito ha solo fatto una verifica sul profilo Facebook». 

Perché per una semplice verifica Benotti si rivolge a un esperto informatico?  

«Non si rivolge a un esperto ma a un amico». 

Lei voleva portare Benotti come teste nel processo in Vaticano?  

«Beh è il teste di Balda. Ma non ne ho capito il motivo». 

Non è molto chiara la vicenda dei genitori del premier Matteo Renzi. Lei li ha portati a Santa Marta ed è stato scritto che il Papa, venuto a sapere che voleva fare incontrare loro con lui, è rimasto nella sua stanza.  

«Erano in udienza e dopo la fine dell’udienza, abbiamo fatto un giro per la basilica di San Pietro, alla Cappella Sistina e poi li ho portati a Santa Marta perché lì c’è un refettorio. Non c’era nessuna intenzione di far incontrare i genitori di Renzi e il Papa. Non avrebbero bisogno delle mie imboscate, se volessero incontrarlo. Si fa richiesta alla Prefettura della casa pontificia. Non faccio l’intermediaria di incontri per nessuno».  

Lei ha mai fatto da intermediaria tra il Vaticano e la politica?  

«Lavoro solo per chi mi paga». 

E’ vero che si era messa a disposizione di Maria Rosaria Rossi, senatrice di Fi molto vicina a Berlusconi? Lo sostiene la senatrice.  

«Con la Rossi c’è stata una chiacchierata poiché condivido il lavoro che sta facendo. E le ho detto semplicemente che avrebbero potuto contare su di me e sul mio lavoro di comunicatore. Il Vaticano non è stato oggetto della nostra chiacchierata». 

Che legami ha con gli uomini più vicini al premier, per esempio Marco Carrai che era presente sulla terrazza del dicastero vaticano nel noto party durante la canonizzazione dei due papi?  

«I miei rapporti personali e privati sono affari miei e non devo darne conto a nessuno». 

Ha però confermato di essere amica di Carrai. Inoltre, fa riferimento a lui in un messaggio a Balda, quando lo accusa di aver «messo in mezzo tutto il mondo».  

«Dopo che abbiamo litigato Balda ha iniziato a chiamare a raffica tutti, non so se ha chiamato pure Carrai. Altre persone mi hanno telefonato per dirmi che parlava male di me». 

intervista al monsignore che fa coming out

un teologo del Vaticano rivela: sono gay 

Krzysztof Charamsa, officiale della Congregazione per la dottrina della fede e secondo segretario della Commissione teologica internazionale, ha rivelato ieri sera alla stampa polacca di essere omosessuale e di avere un compagno. Lombardi: «Scelta grave e non responsabile alla vigilia del Sinodo, non potrà continuare a lavorare in Vaticano»

mons, fa coming out

intervista a Krzysztof Charamsa

a cura di Elena Tebano
in “Corriere della Sera” del 3 ottobre 2015

«Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana»

Monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco da 17 anni residente a Roma, lo dice con un sorriso serio e pacato. Non è un sacerdote qualunque: ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2003, è segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegna teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma. Mai prima d’ora un religioso con un ruolo attivo in Vaticano aveva fatto una dichiarazione del genere. Oggi monsignor Charamsa sarà a Roma alla prima assemblea internazionale dei cattolici lgbt organizzata dal Global Network of Rainbow Catholics alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, per sostenere il dialogo sui gay cattolici.

Monsignor Krysztof Charamsa, 43 anni, il teologo che ha fatto coming out, con il suo compagno Eduard alla fine della conferenza stampa in corso a Roma, 3 ottobre 2015. ANSA/ LUCIANO DEL CASTILLO

Monsignor Krysztof Charamsa, 43 anni, il teologo che ha fatto coming out, con il suo compagno Eduard alla fine della conferenza stampa in corso a Roma

Perché ha deciso di fare coming out?

«Arriva un giorno che qualcosa si rompe dentro di te, non ne puoi più. Da solo mi sarei perso nell’incubo della mia omosessualità negata, ma Dio non ci lascia mai soli. E credo che mi abbia portato a fare ora questa scelta esistenziale così forte — forte per le sue conseguenze, ma dovrebbe essere la più semplice per ogni omosessuale, la premessa per vivere coerentemente — perché siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant’anni. Dunque dico alla Chiesa chi sono. Lo faccio per me, per la mia comunità, per la Chiesa. È anche mio dovere nei confronti della comunità delle minoranze sessuali».

Cosa pensa di ottenere?

«Mi pare che nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti, ma non li abbiamo mai guardati negli occhi, perché di rado essi dicono chi sono. Vorrei con la mia storia scuotere un po’ la coscienza di questa mia Chiesa. Al Santo Padre rivelerò personalmente la mia identità con una lettera. E comunicherò chi sono alle università romane dove insegno: con mio grande dolore è probabile che non potrò più lavorare nella scuola cattolica»,

 Lo fa alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, che inizia domani in Vaticano.

«Sì, vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve esser protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa. Il Cristianesimo è la religione dell’amore: è ciò che caratterizza il Gesù che noi portiamo al mondo. Una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura e questo bene del nostro amore lo offriamo agli altri, perché è un fatto pubblico, non privato, e non è una ricerca esasperata del piacere».

Questa però non è la concezione della Chiesa.

«No, non sono posizioni dell’attuale dottrina della Chiesa, ma sono presenti nella ricerca teologica. In quella cristiana in modo ponderoso, ma abbiamo anche ottimi teologi cattolici che su questi aspetti producono contributi importanti».

Il Catechismo cattolico sulla base della lettura biblica definisce l’omosessualità come una tendenza «intrinsecamente disordinata»…

«La Bibbia non parla mai di omosessualità. Parla invece degli atti che io definirei “omogenitali”. Possono essere compiuti anche da persone eterosessuali, come succede in molte prigioni. In questo senso potrebbero essere un momento di infedeltà alla propria natura e quindi un peccato. Quegli stessi atti compiuti da una persona omosessuale esprimono invece la sua natura. Il sodomita biblico
non ha niente a che fare con due omosessuali che oggi in Italia si amano e vogliono sposarsi. Non trovo nella scrittura nemmeno una pagina, neanche in San Paolo, che possa riferirsi alle persone omosessuali che chiedono di essere rispettate nel loro orientamento, un concetto sconosciuto all’epoca».

La dottrina cattolica esclude dal sacerdozio i gay: lei come ha potuto diventarlo?

«È una regola introdotta nel 2005 quando io ero già sacerdote, e che vale solo per le nuove ordinazioni. Per me è stato un trauma. Prima non era così e credo che sia un errore da correggere».

Lei ha sempre saputo di essere gay?

«Sì, ma all’inizio non lo accettavo, mi sono sottomesso con pignoleria zelante all’insegnamento della Chiesa e al vissuto che mi imponeva: il principio che “l’omosessualità non esiste”. E se c’è va distrutta».

Come è passato dal rifiuto alla «felicità» di essere gay?

«Studiando, pregando e riflettendo su di me. Sono stati fondamentali il dialogo con Dio e il confronto con la teologia, la filosofia, la scienza. Adesso, poi, ho un compagno che mi ha aiutato a trasformare le ultime paure nella forza d’amore».

Un compagno? Questo non è ancora più inconciliabile con il sacerdozio cattolico?

«So che la Chiesa mi vedrà come qualcuno che non ha saputo mantenere una promessa, che si è perso e per di più non con una donna, ma con un uomo! E so anche che dovrò rinunciare al ministero, che pure è tutta la mia vita. Ma non lo faccio per poter vivere con il mio compagno. Questa è una decisione molto più ampia che nasce dalla riflessione sul pensiero della Chiesa».

Cioè?

«Se non fossi trasparente, se non mi accettassi, non potrei comunque essere un buon sacerdote perché non potrei fare da tramite alla felicità di Dio. Penso che su questi temi la Chiesa sia in ritardo rispetto alle conoscenze che ha raggiunto l’umanità. È già successo in passato: ma se si è in ritardo sull’astronomia le conseguenze non sono così pesanti come quando il ritardo riguarda qualcosa che tocca la parte più intima delle persone. La Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi».

gli ostacoli vaticani alla beatificazione di Romero

perché non tutti in Vaticano volevano Oscar Romero beato

Matteo Matzuzzi

Perché non tutti in Vaticano volevano Oscar Romero beato

la causa di beatificazione di Oscar Romero giaceva in Vaticano da quasi vent’anni, rimpallato tra le congregazioni per la Dottrina della fede e quella per le Cause dei Santi. Ora il Papa ha impresso un’accelerazione e ieri – come da tempo era nell’aria – ha autorizzato il dicastero guidato dal cardinale Angelo Amato a promulgare il decreto riguardante il martirio dell’arcivescovo di San Salvador, assassinato nel marzo del 1980 mentre celebrava la messa.

“PARERI UNANIMI DEI TEOLOGI E DEI CARDINALI”

Il postulatore della causa, mons. Vincenzo Paglia, si è detto “commosso” in una breve intervista concessa a Radio Vaticana: “Dopo tanti anni, finalmente, giunge la conclusione di questo lungo processo, di questa lunga causa, e la gioia è doppia. Non solo perché i pareri sono stati unanimi, sia da parte dei teologi che dei cardinali, ma anche perché c’è un quid provvidenziale nel fatto che Romero venga dichiarato Beato dal primo Papa sudamericano della storia”. Stamattina, prendendo la parola nella Sala stampa della Santa Sede, Paglia ha detto che “la gratitudine va anche a Benedetto XVI che ha seguito la causa fin dall’inizio e che il 20 dicembre del 2012 – poco più di un mese dalla sua rinuncia – ne ha deciso lo sblocco perché proseguisse il suo itinerario ordinario”.

GLI OSTACOLI NELLA CURIA ROMANA

Ricorda Gianni Valente su Vatican Insider che il gesto di Francesco “fa contrasto con le lentezze, i sabotaggi e i mezzi insabbiamenti che hanno accompagnato la causa di beatificazione di colui che da tempo i cattolici latinoamericani invocano come ‘San Romero de America’”. Tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, osserva Valente, “a Roma operava una influente fazione di alti prelati che ispiravano sotterranee resistenze alla canonizzazione di Romero. Un episodio rivelatore – aggiunge – capitò al cardinale Francesco Saverio Nguyen Van Thuan: proprio nel 2000, predicando gli esercizi spirituali al Papa e alla Curia romana”, “aveva ricordato anche Romero tra i grandi testimoni della fede del nostro tempo. E per questo, alla fine della meditazione era stato aspramente rimproverato da alcuni porporati latinoamericani, che lo accusavano di aver esaltato davanti al Papa una figura che ai loro occhi appariva come controversa e ‘sovversiva’.  Quando, qualche mese dopo, venne pubblicato il libro di quelle meditazioni quaresimali, il nome di monsignor Romero non compariva, neanche in citazioni fugaci, in nessun capitolo”.

IL RUOLO FONDAMENTALE DEL GESUITA RUTILIO GRANDE

“La vita di Romero fu complessa, dividendosi in due parti. Prima, quella di sacerdote e vescovo poco incline alle lotte verso il suo popolo. Poi, quella da lui stesso definita una conversione, con la nomina a primate della Chiesa cattolica del Salvador, e con l’uccisione del gesuita Rutilio Grande ad opera di sicari per il suo impegno verso gli ultimi. Fu la veglia a al confratello sacerdote, nel marzo del 1977, a cambiargli la vita”, scrive su Repubblica Marco Ansaldo.

“NON ERA MARXISTA, MA VICINO A PAOLO VI”

Monsignor Paglia aveva chiarito ad Avvenire come il pensiero teologico di Romero fosse “uguale a quello di Paolo VI definito nell’esortazione Evangelii Nuntiandi, come rispose egli stesso nel 1978 a chi gli chiedeva se appoggiasse la Teologia della liberazione. E che, in sostanza, in un contesto storico caratterizzato da estrema polarizzazione e da cruenta lotta politica, si scambiò per connivenza con l’ideologia marxista la difesa concreta dei poveri, che Romero sosteneva non per vicinanza alle idee socialiste ma per fedeltà alla Tradizione”.

I RAPPORTI NON IDILLIACI CON GIOVANNI PAOLO II

Andrea Riccardi, sul Corriere della Sera, fa luce sui rapporti che intercorrevano tra il vescovo salvadoregno e Giovanni Paolo II: “Nel 1983 il Papa volle andare sulla sua tomba e disse ‘Romero è nostro’. I rapporti tra i due non erano stati idilliaci: Wojtyla, però, s’inchinò di fronte al martire. Romero, definito ‘indimenticabile’ dal Papa, fu inserito da lui tra i caduti del Novecento, dopo esserne stato escluso”. A giudizio dello storico italiano, “Romero non era un teologo della liberazione”. Lui, aggiunge Riccardi, “non accettava che i salvadoregni fossero massacrati nella sanguinosa polarizzazione tra guerriglia e destra, e che fossero condannati alla miseria da un’oligarchia retriva”.

il messaggio del Vaticano al ccit 2014

 

Dal Vaticano, 2 aprile 2014

Messaggio del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ai Membri del Comité Catholique International pour les Tsiganes (CCIT)

(Cavallino Treporti, Italia, 4— 6 aprile 2014)

sinti oggi

Caro Padre Dumas,
Cari Membri del Comitato, Cari Partecipanti,

Mi dispiace di non poter essere presente ai lavori del vostro Incontro come auspicato dal vostro Presidente. Vi trasmetto tuttavia un caloroso saluto ed esprimo profondo interesse per l’argomento che avete scelto di trattare: “Abbattere i muri dell’isolamento e dell’esclusione: sfida evangelica di una dinamica sociale.”

Nel nostro mondo globalizzato, infatti, si continuano ad erigere muri che dividono i popoli dello stesso continente, genti dello stesso Paese o persone della medesima città. Anche tra i Paesi Europei, alcuni sono tuttora negativamente influenzati nelle loro scelte politiche verso i Rom, ai quali siete vicini nei vostri rispettivi impegni pastorali.

Gesù, portando la buona notizia agli uomini, si è fatto anche carico delle loro condizioni. Ha aperto le porte, ha abbattuto le mura di divisione e di inimicizia, come dimostra nell’incontro con la Samaritana, al pozzo di Giacobbe (cfr. Gv. 4, 1 — 42). Egli fa cadere un’antica separazione fra due popoli vicini, proponendo una cultura dell’incontro, basata sulla sincerità del dialogo.

Giovanni Paolo II, esortando a costruire un mondo aperto ed inclusivo, libero dalle paure e dalle separazioni, diceva: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte… I … i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa!” (Omelia dell’inizio del suo Pontificato, 22 ottobre 1978, n. 5). Proprio l’anno scorso avete dedicato il vostro Incontro al tema dell’apertura e dell’accoglienza. La vita degli Zingari a volte sembra un enigma ma Cristo, che muove i vostri cuori verso di loro, sa cosa c’è dentro l’uomo, e ve lo rivela come un dono prezioso nell’amicizia che forgiate con loro. Negli anni avete maturato la consapevolezza che la storia degli Zingari “è una storia sacra”, come quella di tutti gli uomini fatti “a immagine di Dio”.

La sfida che affrontate con coraggio evangelico nelle vostre attività pastorali dimostra che per abbattere i muri si comincia nel cuore, primo spazio dove includere l’altro, e finché i cuori non saranno aperti, non sarà facile realizzare una società inclusiva. Questo momento di riflessione vi offre quindi l’opportunità di mettere insieme le vostre energie per creare una dinamica sociale in cui le culture diverse possono vivere insieme.

Benedetto XVI, durante l’Udienza ai rappresentanti di diverse etnie di Zingari e Rom, dopo avere ricordato la loro dolorosa storia, ne descriveva così la situazione odierna: “Oggi, grazie a Dio […], nuove opportunità si aprono davanti a voi, mentre state acquistando nuova consapevolezza […] Molte etnie non sono più nomadi, ma cercano stabilità con nuove aspettative di fronte alla vita. La Chiesa cammina con voi e vi invita a vivere secondo le impegnative esigenze del Vangelo confidando nella forza di Cristo, verso un futuro migliore […} Vi invito, cari amici, a scrivere insieme una nuova pagina di storia per il vostro popolo e per l’Europa! La ricerca di alloggi e lavoro dignitosi e di istruzione per i figli sono le basi su cui costruire quell’integrazione da cui trarrete beneficio voi e l’intera società. Date anche voi la vostra fattiva e leale collaborazione, affinché le vostre famiglie si collochino degnamente nel tessuto civile europeo! Numerosi tra voi sono i bambini e i giovani che desiderano istruirsi e vivere con gli altri e come gli altri” (Allocuzione ai Rappresentanti di diverse etnie di Zingari e Rom, 11 giugno 2011).

Tutto questo naturalmente richiede tempo e voi, cari operatori pastorali, avete saggiamente adottato la linea della fede e della speranza che aiutano a fare tutto con la pazienza che porta agli esiti attesi. Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, parla di un tempo che supera lo spazio. Un tale principio, scrive il Papa, “permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione di risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone”. Prosegue dicendo che “è un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo” (n. 223). Si, l’impegno per i Rom chiede questa pazienza, senza la quale è facile credere che tutto sia inutile. Gli Zingari hanno bisogno dell’umanità delle società in cui vivono per sentirsi membri della famiglia umana, usufruendo dei diritti di cui godono gli altri membri della comunità nel rispetto della loro dignità e della loro identità (cfr. Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, n. 48). Questo può essere il modo con cui affrontare alcune questioni che restano ancora una sfida per l’Europa, culla dei diritti umani. C’è bisogno da parte di tutti di un lavoro tenace e paziente. La Chiesa può essere d’ispirazione e può far confluire gli sforzi in un impegno comune per affrontare i seguenti dilemmi che sono alla base dei disagi umani dei Rom:

1. Molti Zingari vivono ancora in condizioni abitative precarie, dovute a problemi economici aggravati dalla crisi. Oltre alle consuete sistemazioni, molte “famiglie abitano in alloggi sociali sovraffollati”. Vivere nelle baraccopoli e sui marciapiedi delle città, soggetti all’inquinamento, nei pressi delle autostrade e delle zone industriali, abitare in alloggi fatiscenti “senza acqua potabile, né elettricità, né sistema di raccolta dei rifiuti”, è uno scandalo che non si può ammettere. Alcuni vorrebbero uscirne, ma spesso incontrano enormi difficoltà che affievoliscono la loro volontà, per cui ricadono nel loro status quo.

2.In molti Paesi europei ci sono differenze tra gli indicatori di salute dei Rom e quelli della popolazione maggioritaria; il fatto che non dispongano di documenti di identità complica l’accesso ai servizi sanitari ordinari, senza dimenticare le discriminazioni che in alcuni casi subiscono dagli operatori sanitari, come i medici di base che rifiutano di recarsi nei quartieri o nei campi rom.

3. Inoltre, i Rom affrontano difficoltà nell’accesso all’istruzione. In Europa, la metà dei bambini Rom che ha l’età per frequentare la scuola non è mai stata scolarizzata; il 50% degli adulti è analfabeta; in molte regioni europee i bambini Rom non hanno un’istruzione qualificata, sono esclusi dal tessuto sociale e dal dibattito politico e culturale, nonostante siano europei. La situazione logistica delle loro abitazioni, la povertà estrema, i pregiudizi e .le loro tradizioni familiari li inducono spesso all’abbandono scolastico.

4. Essi incontrano anche enormi difficoltà nel campo del lavoro. Spesso sono discriminati perché non hanno un’istruzione sufficiente e non possono competere con altri lavoratori maggiormente qualificati. Il più delle volte sono esclusi proprio perché sono Zingari. Tutto questo non di rado li induce alla malavita, alla mendicità e ad attività pericolose per la salute.

Il Consiglio d’Europa promuove tutte le esperienze che si sono rivelate positive in questo campo. Queste pratiche sono portate avanti da mediatori tra i Rom e le popolazioni maggioritarie, messe in atto a livello locale e proposte poi a dimensione più ampia. Per quanto riguarda l’educazione, è interessante l’esempio della ex-Repubblica jugoslava di Macedonia con il progetto “Inclusione dei bambini rom nell’educazione prescolare” iniziato nel 2006. Lo stesso vale per l’Albania e la Slovacchia. Buona anche l’esperienza della Spagna che indica le tappe da compiere in questa mediazione. Valida per la loro integrazione nel settore della salute l’esperienza della Bulgaria.

Infine, il documento “Orientamenti per una Pastorale degli Zingari” resta per voi un riferimento fondamentale, da sfruttare ancora al meglio per il vostro servizio in mezzo a questo Popolo, perché offre linee importanti che sono frutto del lavoro comune.

Cari fratelli e sorelle, non sono forse queste le sfide da affrontare? E non è forse questa la dinamica di cui c’è bisogno, cioè dare spazio e tempo ai sogni degli Zingari e motivarli perché possano emergere? I Rom hanno il diritto di essere riconosciuti almeno come minoranze etniche nei Paesi in cui vivono, dato che nell’Unione Europea sono la minoranza più numerosa. La Chiesa ha il compito di portare il Vangelo di Gesù in mezzo a loro, ma anche di sostenere il loro sogno d’integrazione che passa per l’educazione, la salute, il lavoro e l’alloggio. Tutto ciò in collaborazione con le persone di buona volontà.

Vi auguro fruttuosi giorni di lavoro e che Dio vi benedica tutti!

Antonio Maria Cardinale Vegliò Presidente

Joseph Kalathiparambil Segretario

 

l’onu accusa il Vaticano

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la condanna del Vaticano sui diritti dei minori

 

 l’Onu si è espresso, chiaramente, duramente: il Vaticano e la chiesa cattolica non hanno fatto tutti gli sforzi per essere concretamente e coerentemente dalla parte dei bambini, per combattere efficacemente la pedofilia tra il clero denunciando i colpevoli, superando l’omertà e aprendo gli archivi

così M. Rita Parsi, membro della commissione che ha emesso un così duro giudizio:

“É stato un lavoro complesso e difficile… Abbiamo parlato di aborto… ma per ricordare le madri premature, bambine anche loro… Anche il tema della contraccezione, dell’educazione sessuale e all’affetto va visto in quest’ottica… Un bambino non va discriminato perché proviene da una famiglia gay o per l’orientamento sessuale. Come non vanno discriminati perché neri, rom, profughi o poveri. Anche qui, siamo nel Vangelo. Non giudicare. L’ha detto Gesù e l’ha ripetuto Papa Francesco”

di seguito un’ampia rassegna stampa che dà il senso preciso della consistenza del problema nella varietà delle posizioni:

“Il Vaticano ha violato la convenzione sui diritti dei bambini… non ha fatto tutto ciò che avrebbe dovuto” per proteggere i bambini… la persistenza di “processi canonici” opachi… riduce la credibilità della messa in atto delle raccomandazioni ufficiali… Al di là della “sorpresa” suscitata dall’ampiezza delle critiche… il Vaticano ha denunciato “un tentativo di ingerenza” nella dottrina in materia di contraccezione, omosessualità e aborto”
“Il Comitato per i diritti del bambino si dichiara preoccupato del fatto che il Vaticano non riconosca l’estensione dei crimini e non prenda le necessarie misure per impedire gli abusi e difendere i bambini, si afferma nella relazione presentata mercoledì… La Santa Sede deplora che la commissione nella sua relazione abbia tentato di intromettersi nella dottrina della Chiesa cattolica relativamente alla dignità umana e all’esercizio della libertà religiosa”
“Condanna a Ginevra, sorpresa a Roma… il Comitato dei diritti del bambino delle Nazioni Unite ingiunge alla Chiesa di rivedere totalmente le sue pratiche, norme e insegnamenti in riferimento ai bambini. Il Vaticano, invece, si dice scioccato da un approccio giudicato assolutamente parziale ed ideologico”

 

“Vengono di fatto ignorati i passi compiuti negli ultimi 15 anni… E vi è la solita confusione di piani giuridici… La Santa Sede viene invitata «a rivedere le sue posizioni sull’aborto»… Seguono le contestazioni sull’omosessualità… ciliegina sulla torta: il Comitato esorta la Santa Sede a «valutare il numero di bambini nati da preti cattolici, scoprire chi sono e prendere tutte le misure necessarie per garantire i diritti di questi bambini a conoscere e ad essere curati dai loro padri»”
“Il compito del Comitato ONU è analizzare i rapporti periodici… sull’attuazione della Convenzione… Lo scorso 16 gennaio è toccato alla Santa Sede… Tomasi in quell’occasione… ha ricordato i diversi livelli su cui si è articolata la risposta della Chiesa: quello dello Stato sovrano della Città del Vaticano… quello internazionale… quello del governo della Chiesa universale, con le linee guida… e le innumerevoli misure adottate dalle Chiese nei vari Paesi”
“Un documento che la Santa Sede, nel prenderne atto e assicurando che «le osservazioni sui propri Rapporti… saranno sottoposte a minuziosi studi ed esami nel pieno rispetto della Convenzione», nella sostanza respinge al mittente, mentre esprime «rincrescimento» nel «vedere in alcuni punti delle Osservazioni Conclusive un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa»”
“Di fatto l’invito a comparire davanti ad una Commissione Onu per rendere conto delle accuse di pedofilia non ha precedenti storici. E pensare che tutto nasce dalla tenacia di un gruppo di vittime, uomini abusati quando erano ragazzi da un potentissimo prete messicano ora scomparso, padre Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo. Senza mai scoraggiarsi hanno dato vita ad un movimento che piano piano ha reso possibile tutto questo. “
«Quello che si nota è che il rapporto finale affronta un ventaglio di questioni troppo ampio. Non tratta solo il tema degli abusi, ma anche quello dei diritti dei bambini illegittimi, e poi parla spiacevolmente della dottrina morale della Chiesa, come dovrebbe cambiare secondo l’Onu. Insomma un po’ eccessivo».
da un lato l’Onu accusa il Vaticano di aver violato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, e invita la Chiesa cattolica a una maggior apertura in campo etico e religioso; dall’altro lato la Santa Sede nega di aver coperto i preti colpevoli o di essersi interessata più della reputazione dei sacerdoti che della sicurezza dei minori; e rivendica che proprio i principi religiosi e morali del cattolicesimo – se ben intesi – sono fecondi per la difesa dei diritti dei bambini e per la promozione dei compiti dello sviluppo. Un dialogo difficile
Sulla pedofilia l’Onu condanna il Vaticano. «Ha violato la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti per l’infanzia. Dovrebbe sollevare dai loro incarichi e consegnare alla polizia tutti coloro che sono colpevoli di abusi sessuali su minori», ha dichiarato ieri il presidente della Commissione Onu sui diritti dei minori Kirsten Sandberg
«La denuncia delle Nazioni Unite è di straordinaria importanza, e apre uno spiraglio di speranza. Semmai sarebbe dovuta venire prima. Ma se oggi è stata possibile, credo che molto sia dipeso anche dalle aperture coraggiose dell’attuale Pontefice. Ora chiediamo che la Chiesa di Papa Francesco prosegua su questa strada, con atti concreti
Francesco Zanardi non odia i preti. Nemmeno don Nello Giraudo, il parroco che per anni lo ha violentato in una parrocchia di Spotorno: “Mi fa pena, ma anche lui è una vittima della chiesa”. Ha 43 anni, fa l’elettricista ed è portavoce di Rete l’Abuso, un’associazione di supporto per le vittime dei preti pedofili…
“Suor Mary Ann Walsh, portavoce della Conferenza Episcopale americana, commenta con sagacia il testo Onu: “Chiunque porti attenzione sul problema (degli abusi sessuali) contribuisce a risolverlo…”, ma mischiarlo con aborto e contraccezione rischia di far caos… “Aborto e contraccezione sono temi che scatenano guerre culturali, gli abusi sessuali… sono un peccato e un crimine”.  C’è, tra mille verità, un eccesso di giacobinismo moralistico che indebolisce il rapporto Onu”
“«Per via di un codice del silenzio… casi di abusi sessuali su minori sono stati difficilmente denunciati…» è l’accusa più pesante contenuta nel rapporto che la Commissione Onu per i diritti del fanciullo ha pubblicato ieri, dopo le audizioni dei rappresentanti del Vaticano il 16 gennaio scorso… critiche che riguardano soprattutto comportamenti del passato ora combattuti, mentre colpisce «il tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa Cattolica»… su temi come aborto, famiglia o omosessualità”
“La delusione è grande, ma nessuno Oltretevere ha voglia di elevare il livello dello scontro. «Sembra quasi che il rapporto sia stato preparato prima» dell’audizione della delegazione vaticana, dice mons. Tomasi… «risposte precise su vari punti» da parte della Santa Sede «non sembrano essere state prese in seria considerazione»… Di certo il rapporto Onu identifica problemi aperti: le norme non bastano a combattere il fenomeno se non cambia davvero la mentalità”
“É stato un lavoro complesso e difficile… Abbiamo parlato di aborto… ma per ricordare le madri premature, bambine anche loro… Anche il tema della contraccezione, dell’educazione sessuale e all’affetto va visto in quest’ottica… Un bambino non va discriminato perché proviene da una famiglia gay o per l’orientamento sessuale. Come non vanno discriminati perché neri, rom, profughi o poveri. Anche qui, siamo nel Vangelo. Non giudicare. L’ha detto Gesù e l’ha ripetuto Papa Francesco”
Severissimo atto d’accusa nei confronti del Vaticano da parte della Commissione Onu per i diritti dei minori sulla questione dei preti pedofili. «La Santa sede … non ha riconosciuto l’ampiezza dei crimini commessi, non ha preso le necessarie misure per affrontare i casi di abuso sessuale e per proteggere i bambini e ha adottato politiche e pratiche che hanno portato a una continuazione degli abusi e all’impunità dei responsabili». In particolare: trasferimenti di preti pedofili, mancanza di trasparenza, mancata denuncia alla magistratura
“Non crede che la pressione di questo rapporto, e l’arrivo del nuovo Papa Francesco, spingeranno il Vaticano a cambiare? «Lo dubito, sono secoli che si comportano così. Francesco ha fatto passi nel governo della Chiesa, ma è Papa da un anno e non ha salvato un solo bambino dai predatori che colpiscono ogni giorno». Cosa dovrebbe fare? «Denunciare i colpevoli, farli giudicare dalla giustizia ordinaria, e punirli anche dal punto di vista canonico. Rimuovere i vescovi che hanno protetto i molestatori»”
Le anticipazioni circa alcune osservazioni del Comitato per i diritti del fanciullo dell’Onu suscitano sorpresa e qualche preoccupazione. Non tengono conto del forte impegno profuso dalla Chiesa negli ultimi anni a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, sia a livello centrale sia a livello di singole conferenze episcopali.
«Il nostro è più che altro un invito perché la Santa Sede aderisca in pieno a tutti i 54 articoli della Convenzione a tutela dei diritti di bambini, preadolescenti e adolescenti, e perché armonizzi ancora di più le sue visioni a quelle dell’Onu, che condanna tutte le forme di discriminazione possibili a danno dei minori».
Uno tsunami di accuse durissime, arrivato a mezzogiorno e condensato nelle 16 pagine di osservazioni finali del
Non giova a nessuno procedere con schemi ideologici su simili tragedie: non certo alle vittime, né alla chiesa, ma nemmeno alla società civile che evita in tal modo di porsi interrogativi fondamentali su un’etica condivisa e sulla degenerazione di un clima che disprezza l’altro e offende il più debole.
«La Santa Sede ha adottato sistematicamente politiche e pratiche che hanno portato alla prosecuzione degli abusi sui minori e all’impunità dei colpevoli. La Santa Sede ha sempre posto la salvaguardia della reputazione della Chiesa e la tutela degli interessi dei colpevoli sopra a quella dei bambini». È la dura accusa della Commissione Onu per i diritti dei minori nei confronti del Vaticano
«… non si possono mettere insieme casi di trenta o quarant’anni fa con la situazione di oggi, come se nel frattempo non ci fosse stato un lungo lavoro di purificazione, modifiche legislative e misure disciplinari più severe approvate negli ultimi anni. Non so, c’è una sorta di scarto, di sfasatura. Quello che mi ha sorpreso è l’impressione che fosse già stato scritto, magari con l’aggiunta di qualche paragrafo dopo l’incontro del Comitato con la nostra delegazione…»
Pochi contenuti concreti nello scontro Onu Vaticano …  dovuto per metà all’invadenza dell’ideologia e per metà al peso della storia. Ma forse lo scontro non risulterà inutile se spingerà gli ambienti Onu a prestare maggiore attenzione alla nuova politica vaticano-cattolica… e se stimolerà il Papa e i suoi a dare compiti adeguati alla «Commissione per la protezione dei fanciulli» annunciata il dicembre scorso.
“La folgore dell’Onu cade sul Vaticano e illumina violentemente colpe, omissioni, ritardi nel contrastare gli abusi sessuali del clero. Al tempo stesso costringe la Santa Sede a rendere conto di quanto ancora non sta facendo per portare alla luce i crimini commessi e assicurare alla giustizia i preti delinquenti. Ci sono passaggi nel rapporto del Comitato per i diritti dell’infanzia, che sembrano scritti prima del 2010… Il rapporto Onu, rifacendo tutta la storia, mette però in luce tutto ciò che oggi ancora non funziona.
le Nazioni Unite pubblicano un atto d’accusa durissimo contro il Vaticano per i preti pedofili e per le posizioni sull’omosessualità (e pure per l’aborto e la contraccezione). L’attacco frontale è in un rapporto del Comitato dell’Onu sui diritti dell’infanzia diffuso a Ginevra.
Il rapporto delle Nazioni Unite è innocuo perché in ritardo rispetto alla attuale situazione della chiesa, ed è innocuo  perché chi non vuole cambiare le cose è ben contento che si parli d’altro, come la contraccezione e l’aborto. È però preoccupante perché il livello di scontro tra visione morale e visione medica della sessualità si è alzato.
Il foglio chiama alle armi: “Non è tempo di reazioni solo diplomatiche.”
La prima reazione del Vaticano al rapporto del Comitato Onu per i diritti dell’infanzia è una robusta cortina fumogena. I termini negativi si sprecano… In realtà, dietro il muro di gomma innalzato per reagire al colpo, il Vaticano si sta interrogando seriamente sul modo migliore di affrontare la questione… Al di là di singoli passaggi del documento il comitato di Ginevra ha posto domande precise al Vaticano
“È stato tra i processi più clamorosi mai celebrati in Italia, sia per il numero elevato delle vittime che per la caratura del sacerdote imputato, il quale, come emerso nel dibattimento che si è concluso con una condanna in secondo grado…”
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