se non è un miracolo ci si avvicina …

“miracolo” nella chiesa Usa

il cardinale Tobin accoglie i cattolici Lgbt in cattedrale

articolo di Ludovica Eugenio pubblicato sul settimanale Adista Notizie n° 23 del 24 giugno 2017,  pp.12-13

È davvero un passo nuovo l’accoglienza che l’arcivescovo di Newark (New Jersey) card. Joseph Tobin, religioso redentorista, ha riservato, il 21 maggio scorso, ad alcuni gruppi di cattolici Lgbt di parrocchie del New Jersey nella cattedrale della città. Con un gesto assolutamente inedito per la Chiesa statunitense (basti ricordare i divieti opposti nel passato ai partecipanti della New York Parade a entrare nella cattedrale di St. Patrick), il cardinale ha infatti dato vita, insieme a un altro religioso redentorista, p. Francis Gargani, che si occupa di pastorale Lgbt nell’arcidiocesi, all’ultimo atto di una collaborazione attuata con un gruppo omosessuale parrocchiale. L’evento è consistito nella celebrazione di una messa, di una visita della cattedrale, e di una cena comunitaria, aperte a tutte le persone Lgbt che volessero parteciparvi.

«Sono contento che tu e i fratelli e sorelle Lgbtq abbiate in programma di visitare la nostra splendida cattedrale», aveva detto il vescovo a Gargani, aggiungendo: «Sarete i benvenuti! Il volantino è bello, fatelo circolare». Si trattava di un volantino nel quale, per la prima volta, l’acronimo Lgbt veniva utilizzato in relazione ad una istituzione cattolica del New Jersey, con la benedizione del cardinale. P. Gargani, in una recente intervista al settimanale National Catholic Reporter, ha spiegato  il senso dell’iniziativa: «Ho avuto il privilegio di collaborare, di recente, con un gruppo di spessore  che ha organizzato un giorno di preghiera e riflessione per la comunità Lgbt del New Jersey e lo ripeterà in occasione di un prossimo ritiro a giugno».
Il tono con il quale Tobin ha parlato al gruppo Lgbt, durante la messa – concelebrata anche dal vescovo ausiliare e rettore della cattedrale mons. Manuel Cruz – è stato molto caloroso: «Sono Joseph, vostro fratello. Sono vostro fratello, in quanto discepolo di Gesù. Sono vostro fratello, un peccatore che trova misericordia presso Dio». Ma i gesti contano più delle parole e il fatto che i fedeli omosessuali presenti, alcuni dei quali sposati, abbiano potuto fare la comunione al centro della cattedrale, non ha prezzo.

La percezione della novità

«È stato come un miracolo», ha detto un responsabile cattolico gay di New York, Ed Poliandro. «È stato un miracolo sentir dire dai vertici della Chiesa: “Siete benvenuti, appartenete alla Chiesa”. E dopo un lungo tempo di lotte, mi sono sentito a casa».  «Ci ha portato papa Francesco – ha commentato Thomas M. Smith, diacono della cattedrale di Newark. «Erano 25 anni che aspettavo. Sono un diacono e ho dovuto essere cauto, ho avuto paura».

Commenti positivi anche dal direttore esecutivo di New Ways Ministry, l’organizzazione che da decenni si occupa di cattolici Lgbt: «Negli ultimi 40 anni – ha detto, secondo quanto si legge sul sito dell’organismo  – i vertici della Chiesa sono semplicemente stati in silenzio, non disponibili al dialogo e a pregare con i cattolici Lgbt e questo, benché non sia un passo definitivo, è un primo passo. L’accoglienza di un gruppo di persone apertamente gay alla messa da parte di un’autorità della statura del card. Tobin in questo Paese sarebbe stata impensabile cinque anni fa. Ma Tobin, nominato da papa Francesco a Newark l’anno scorso, fa parte di un piccolo ma sempre più consistente gruppo di vescovi che sta cambiando il modo di relazionarsi della Chiesa statunitense con i fedeli omosessuali. Stanno cercando di essere più inclusivi e di indicare ai preti loro sottoposti di fare lo stesso».
Alcuni esempi:  il recente permesso accordato agli studenti trans-gender di frequentare scuole cattoliche nella diocesi di Jefferson City; un sinodo diocesano, indetto dal vescovo di San Diego mons. Robert McElroy, nel quale si è parlato di iniziative a favore dell’accoglienza di cattolici omosessuali; le affermazioni di mons. John Stowe di Lexington, Kentucky, a un convegno di New Ways Ministry, durante il quale ha detto di ammirare i cattolici omosessuali, bisessuali e transgender per la loro fedeltà alla Chiesa nonostante la sua freddezza.

Qualcosa si muove davvero nella Chiesa Usa

Tobin, peraltro, è stato tra i primi a esprimere elogi ad un recente libro, molto avanzato, sull’accoglienza delle persone Lgbt nella Chiesa del noto gesuita p. James Martin, columnist del settimanale dei gesuiti America, dal titolo “Building a Bridge: How the Catholic Church and the LGBT Community Can Enter into a Relationship of Respect, Compassion, and Sensitivity”.
«Il nuovo libro di p. Martin, coraggioso, profetico e ispirante, segna un passo essenziale nell’invitare i responsabili della Chiesa ad amministrare con maggiore compassione e nel ricordare ai cattolici Lgbt che fanno parte della nostra Chiesa come qualsiasi altro cattolico», era stato il suo commento. Tobin è stato anche tra i prelati a criticare pubblicamente i quattro cardinali che hanno espresso dubbi sull’ortodossia del documento post-sinodale di papa Francesco Amoris Laetitia, definendo la loro opposizione «nella migliore delle ipotesi naif».
Lanciando il libro, Martin ha spiegato, in un articolo pubblicato il 31 maggio scorso sul Washington Post, il perché della decisione di scrivere un libro su questo tema: «Nell’estate 2016, un uomo armato ha fatto irruzione in un night club popolare nella comunità gay di Orlando e ha ucciso 49 persone, la più grave sparatoria della storia degli Stati Uniti», esordisce. «Milioni di persone nel Paese hanno manifestato il loro dolore e supporto alla comunità Lgbt. Ma mi sono inquietato per ciò che non ho sentito. Anche se molti rappresentanti della Chiesa hanno espresso il loro cordoglio e orrore, solo una manciata dei più di 250 vescovi cattolici hanno usato il termine gay o Lgbt»: il card. Blase Cupich di Chicago;  mons. Robert Lynch di St. Petersburg, Florida;  mons. David Zubik di Pittsburgh, oltre a McElroy e John Stowe. «Molti altri, poi, sono rimasti in silenzio», commenta Martin, spiegando come tutto ciò sia stata una rivelazione: «Il fatto che soltanto pochi vescovi abbiano riconosciuto la comunità Lgbt o abbiano usato il termine “gay” mostrava che la comunità Lgbt è ancora invisibile in molti settori della Chiesa. Persino nella tragedia». Di qui la sua conclusione, che è stato il punto di partenza per la scrittura del libro: «il lavoro del Vangelo non può essere compiuto se una parte della Chiesa è sostanzialmente separata dal resto. Tra i due gruppi, la comunità Lgbt e la Chiesa istituzionale, si è formata una frattura, una separazione, per superare la quale va costruito un ponte».
Ad aiutare Martin sono stati la sua lunga esperienza pastorale anche con cattolici Lgbt e i suoi contatti con i vertici della Chiesa. Il suo operato è stato riconosciuto da New Ways Ministry, che l’anno scorso gli ha tributato il “Bridge Building Award»: «Il nome di questo premio mi ha ispirato nell’abbozzare l’idea di un “ponte a due sensi” che potesse unire la Chiesa istituzionale e la comunità Lgbt». «In questi tempi – conclude – la Chiesa deve essere segno di unità. Anzi, in ogni tempo. Eppure per molti la chiesa contribuisce alla divisione, nel momento in cui alcuni responsabili mettono dei paletti tra un “noi” e un “loro”. Ma la Chiesa lavora al suo meglio quando incarna rispetto, compassione e sensibilità. Perché in definitiva, per Gesù non c’è un “noi” e un “loro”. Per Gesù c’è solo un “noi”».




un vescovo che dice pane al pane e vino al vino

“di preti baroni non ne abbiamo bisogno, e di vescovi arroganti neppure!!!”

mons. Giovanni Accolla, arcivescovo di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela

 
 
“Se non ci sporchiamo le mani con le persone che incontriamo in mezzo alla strada, siamo baroni del culto, abbiamo una mentalità feudale, torniamo ai tempi di don Rodrigo e dell’Innominato, pensiamo che i nostri fratelli siano pecore senza teste, pensiamo che gli altri debbano essere continuamente assoggettati a noi”
mons. Giovanni Accolla,
arcivescovo di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela

nella Concattedrale di S. Maria Assunta

di S. Lucia del Mela
04 febbraio 2017
E’ importante che una comunità sappia cogliere i doni che vengono dall’ascolto della Parola di Dio e valorizzarli nell’ambito famigliare, nell’ambito civile ed ecclesiale
Dobbiamo dare il giusto valore alle formalità, noi non siamo chiamati a salvare le regole, a salvare i palazzi, a salvare le istituzioni, noi siamo chiamati a dare risposte alle persone, alle persone che incontriamo lungo la strada, piccoli o grandi, belli o brutti, intelligenti o ignoranti non ha importanza. Ma dove c’è una profonda e ricca dimensione di umanità quell’altro diventa la vera autentica immagine di Gesù, quella icona, quel volto di Gesù verso cui ognuno di noi è proteso, in atteggiamento di adorazione e di rispetto
Siamo chiamati ad interiorizzare le pratiche religiose, perché le pratiche religiose diventano pii esercizi, che riempiono di incensi le chiese, di canti le chiese, di organizzazioni le chiese, ma se non riempiono di amore vero il cuore dei cristiani nella gioia della condivisione, sono pratiche vuote!! Sono pratiche che non dicono niente!! Non è un atto di preghiera e di adorazione del Signore, ma diventa un atteggiamento e una pratica che dissacra la sacralità dell’amore di Dio per noi. …
Attenzione ai ruoli istituzionali che diventano luoghi di sfruttamento e non di servizio …
tutti politici, sindaci, preti tutti quanti abbiamo bisogno di riscoprire in maniera forte la dignità delle persone, altrimenti siamo soggetti che occupando dei posti, li abbiamo sequestrati alla giustizia! Siamo dei signori che nel nostro ruolo abbiamo assunto un atteggiamento di prepotenza e non di amore e di servizio verso i cittadini o verso i fedeli, secondo l’ambito nel quale ci muoviamo. Diventiamo dei piccoli ducetti che pensano di riempirsi i fianchi perché finalmente hanno espresso un pizzico di potere.
E’ necessaria una rivoluzione interiore, lo dico con forza, ma lo dico con tanta gioia:  
Signore dacci il dono di una vera ed autentica conversione, dacci la gioia che i gesti che noi poniamo esprimano realmente ciò che noi viviamo verso di te, Tu sei il Dio che ci ha incontrato, noi siamo i figli tuoi, che vogliamo vivere quotidianamente la gioia dell’incontro e non il fastidio dello scontro
Se non ci facciamo ultimi e poveri con i fratelli più disagiati, non stiamo camminando alla sequela di Gesù.
Il pastore nel suo ministero è chiamato a dare sapore nella vita della comunità a lui affidata. Sapore, si deve sentire il profumo in siciliano “u ciauru”, ed essere luce del mondo, non con le chiacchiere, ma con la testimonianza di vita.
 
Se non ci sporchiamo le mani con le persone che incontriamo in mezzo alla strada, siamo baroni del culto, abbiamo una mentalità feudale, torniamo ai tempi di don Rodrigo e dell’Innominato, pensiamo che i nostri fratelli siano pecore senza teste, pensiamo che gli altri debbano essere continuamente assoggettati a noi.
La prima legge non è il diritto canonico, la prima legge è la legge dell’amore che scaturisce direttamente dalla chiamata di Dio per noi. Di preti baroni non ne abbiamo bisogno, e di vescovi arroganti neppure!!!



Dio e il terremoto: “non credo nel Dio giustiziere ma nel Dio giusti-ficante”

no, io non credo…

le illuminate parole del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi

 

francesco-lambiasiNo, io non credo in un dio che manda il terremoto come castigo per la legalizzazione delle unioni civili. Un dio così sarebbe un dio mostro, non il Padre nostro. Sostenere la tesi del terremoto come ’castigo divino’ risulta offensivo per chi crede e scandaloso per chi non crede. Perché chi crede, si fida di – si affida a – un Dio-Amore, tutto fatto di misericordia e stragrande nel perdono. L’esatto contrario di un dio-giustiziere, un essere neroniano e sanguinario. Mentre chi non crede, ha tutte le ’sacrosante’ ragioni per non fidarsi di – affidarsi a – un dio cattivo, capriccioso e vendicativo. Ma dire che Dio con il terremoto ha inteso punire i peccatori appare anche blasfemo nei confronti di Dio stesso

No, io non credo e non crederò mai in un dio che si apposta dietro una curva per tendermi una rappresaglia, per ’farmela pagare’. E poi: avallare la meschina cattiveria del terremoto come ’castigo divino’ risulta essere uno squallido insulto e una insopportabile provocazione nei confronti di tanta povera gente che piange i parenti morti, è rimasta senza casa e senza lavoro, con una quotidianità sottosopra, e continua a tremare per l’incubo di un terremoto che sembra non volerla finire più a far tremare la terra. Pensare e dire che tutto questo è avvenuto per placare la “giustizia divina” sarebbe come gettare acqua bollente sulle ferite brucianti di quella gente. Del resto, se Dio con questa sanzione avesse voluto “fare giustizia”, perché dunque non ha terremotato tutta l’Italia? Ora, se è vero che “non è il terremoto che uccide, ma la casa che crolla”, allora si tratta di domandarsi non dov’era Dio quando la casa è crollata, ma dov’era l’Uomo che doveva metterla – o aveva fatto finta di averla messa – in sicurezza.
Dopo duemila anni non pochi cristiani non hanno ancora spezzato il laccio che annoda delitto e castigo, peccato e malattia, crimine e morte. Eppure Gesù lo aveva fatto in modo inequivocabile. Vedi il suo commento alla notizia del crollo della torre di Siloe: quei diciotto operai schiacciati dalle macerie non erano certo più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Si veda anche la risposta del Maestro all’accanita domanda dei discepoli, di fronte al cieco nato: ”Né lui ha peccato né i suoi genitori”.
Ma allora la misericordia di Dio ha oscurato la sua giustizia? Assolutamente no. Ma cosa significa ”giustizia di Dio”? Prendiamo san Paolo. Nella Lettera ai Romani (1,17) l’Apostolo afferma pari pari: nell’annuncio dell’evangelo “si rivela la giustizia di Dio”. Dobbiamo tener presente l’ambiguità culturale di un autore che scrive in una lingua (il greco), ma pensa in un’altra. Nel versetto appena citato si verifica dunque una “frattura linguistica” che va attentamente interpretata. Dietro la lettera, occorre cogliere il significato. Sotto il ’linguaggio’, occorre rintracciare il ’messaggio’. Se restassimo agganciati soltanto alla nostra precomprensione di tipo greco (ma anche moderno!) dovremmo pensare che per ’giustizia’ si debba intendere la giustizia ’retributiva’. Cosa vuol dire allora san Paolo? Vuole intendere che Dio è giusto in quanto è un giudice equo e corretto nel retribuire con il premio il bene da me fatto e con il castigo il male da me compiuto? Allora sarebbe tutta qui la ’buona notizia’ (=evangelo)?! Assolutamente no! La giustizia di Dio secondo Paolo, non è… ’giustiziera’, ma ’giusti-ficante’. In altre parole, Dio è giusto non in quanto punisce il peccatore, ma in quanto lo ’giusti-fica’, cioè lo fa-giusto, perdonandolo. Pertanto la giustizia divina fa rima baciata con la sua misericordia!vescovo-di-rimini
Questa è la verità dell’evangelo. È il vangelo della croce. Gesù è stato condannato, ma personalmente è perfettamente innocente. Anzi ci ama fino al punto da amarci con l’amore più grande: quello di dare la vita per noi “quando eravamo ancora peccatori” e dunque a lui ostili. Gesù potrebbe invocare dal Padre una legione di angeli a sua difesa e protezione. Il Padre potrebbe incenerire mandanti e carnefici che gli stanno straziando il Figlio. Ma tutto questo non avviene. Gesù invoca il perdono e il Padre ci riconcilia con sé. Insegna don Oreste: Gesù ha sofferto più per il male che i suoi crocifissori si facevano, che non per il male che gli facevano, piantandogli i chiodi nelle carni. Questo infatti è il peccato, l’egoismo, la cattiveria, l’odio, l’invidia… Facendo il male noi ci facciamo del male. E Dio non si offenderebbe se, per assurdo, il peccato non facesse del male a noi…
Torniamo al terremoto. Ora possiamo capire cosa significhi pregare Dio in tempo di calamità tanto catastrofiche. Ce lo indica con chiarezza lampante la colletta dell’analoga Messa, prevista dal Messale Romano. In quella preghiera si chiede a Dio di avere pietà di noi, suoi fedeli, “sconvolti dai cataclismi che scuotono le profondità della terra, perché, anche nella sventura, sentiamo su di noi, la tua mano di Padre”. È una mano che non vuole schiacciare, ma solo sollevare. Solo salvare.
+ Francesco Lambiasi




la bellissima omelia che il vescovo di Trento ha pronunciato al funerale di p. Fabrizio Forti

“cara chiesa di Trento la sua testimonianza sia per te incoraggiamento a metterti il grembiule e passare a servire”lauro

 

“Cara Chiesa di Trento, investi in misericordia: nessuna donna, nessun uomo siano per te estranei o stranieri, non ti è permesso chiudere le porte a nessuno. Ricordati che una sola è la condizione per essere libera: intrecciare le mani, contaminarti con le ferite e le piaghe dei tuoi fratelli. La tua voce non si alzi mai per condannare e giudicare. Non lasciarti mai rubare la speranza, sappi infondere coraggio e fiducia”. Così ha parlato il vescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, nell’omelia della Liturgia funebre per padre Fabrizio Forti, questa mattina in cattedrale. “La sua lezione di frate povero, servo dei poveri, è un regalo – ha ricordato il vescovo – per tutta la nostra comunità diocesana. La fecondità della sua vita, attestata dalle tante volontarie e dai tanti volontari, che con lui e grazie a lui hanno toccato e toccano la carne viva di Cristo che sono i poveri, m’interpella per primo, come vescovo, e interpella tutta la nostra Chiesa”. “La testimonianza di padre Fabrizio – ha aggiunto – sia per te incoraggiamento a metterti il grembiule e passare a servire. Non attardarti solamente nell’ammirarlo, prova a imitarlo. Più di una volta questo tuo figlio, cara Chiesa di Trento, ti ha pungolato, ti ha invitato a muoverti, ti ha rivolto delle critiche. L’ha fatto perché ti voleva bene, ti amava e sentiva che non poteva fare a meno di te, non voleva andare dai poveri senza di te. Ora che è nella luce del Risorto, domandagli di chiedere per te al Padre di non essere permalosa! Lasciati scuotere dai profeti! Il tuo unico interesse sia il Regno di Dio e la sua giustizia!”.lauro1

 

Liturgia funebre per padre Fabrizio Forti 

omelia dell’arcivescovo Lauro

(cattedrale di Trento, 19 ottobre 2016)fabrizio2

La Chiesa di Trento è contenta di ospitare in cattedrale le esequie di padre Fabrizio. La sua lezione di frate povero, servo dei poveri, è un regalo per tutta la nostra comunità diocesana. La fecondità della sua vita, attestata dalle tante volontarie e dai tanti volontari, che con lui e grazie a lui hanno toccato e toccano la carne viva di Cristo che sono i poveri, mi interpella per primo, come vescovo, e interpella tutta la nostra Chiesa.

Dove traeva, padre Fabrizio, la sua forza per servire e amare i poveri e quanti in questa vita così selettiva segnano il passo?

Il nome di Dio, come per Giobbe, anche per lui era Redentore, Liberatore, Riscattatore. A questo Dio si appassionava, questo Dio conosceva e voleva comunicare. Chiesa di Trento, a cominciare dal tuo vescovo, quale Dio accrediti? Quale Signore fai conoscere ai tuoi figli? Dove pianti la tua tenda? Dove hai le tue dimore?

Spesso i poveri vengono chiamati “senza fissa dimora”, ma presso di loro ha dimora il Dio di Gesù Cristo. Cara Chiesa, lì con certezza lo trovi, come ti ha ricordato il Vangelo che hai appena ascoltato. La testimonianza di padre Fabrizio sia per te incoraggiamento a metterti il grembiule e passare a servire. Non attardarti solamente nell’ammirarlo, prova a imitarlo.

Più di una volta questo tuo figlio, cara Chiesa di Trento, ti ha pungolato, ti ha invitato a muoverti, ti ha rivolto delle critiche. L’ha fatto perché ti voleva bene, ti amava e sentiva che non poteva fare a meno di te, non voleva andare dai poveri senza di te. Ora che è nella luce del Risorto, domandagli di chiedere per te al Padre di non essere permalosa! Lasciati scuotere dai profeti! Il tuo unico interesse sia il Regno di Dio e la sua giustizia!

Ero in carcere e sei venuto a trovarmi: prendi parte alla gioia del Tuo Signore”. La beatitudine evangelica ben si addice a padre Fabrizio, perché tra i tanti poveri che egli ha servito, un posto tutto particolare hanno avuto le nostre sorelle e i nostri fratelli carcerati; significativamente, hanno voluto salutarlo prima di questo congedo. Per loro è stato prezioso strumento di misericordia, come ho potuto personalmente sperimentare. Una misericordia che di volta in volta sapeva alternare i colori caldi della tenerezza, con quelli forti di chi guarda in faccia i problemi e cerca di risolverli. Una misericordia che investiva in fiducia e con stupore e gioia riusciva a trovare in ogni persona il tesoro del bello e del buono. E così sapeva essere vicino ai detenuti, come alla polizia penitenziaria e al personale del carcere.

Cara Chiesa di Trento, investi in misericordia: nessuna donna, nessun uomo siano per te estranei o stranieri, non ti è permesso chiudere le porte a nessuno. Ricordati che una sola è la condizione per essere libera: intrecciare le mani, contaminarti con le ferite e le piaghe dei tuoi fratelli. La tua voce non si alzi mai per condannare e giudicare. Non lasciarti mai rubare la speranza, sappi infondere coraggio e fiducia!image-jpgfabrzio3

Umilmente, infine, alla nostra Chiesa e a tutti gli uomini e donne di buona volontà, credenti e non, del nostro Trentino, provocato dai gesti di profezia di padre Fabrizio, vorrei fare una proposta: assumiamoci, come comunità, la responsabilità di farci carico dei poveri, i suoi poveri anzitutto, e i carcerati del nostro Trentino. La sua profezia diventi la profezia dell’intera Chiesa e dell’intera comunità trentina. Facciamoci carico, tutti insieme, della mensa e del carcere. Sarebbe il regalo più bello che possiamo fargli!

La grande sofferenza per la morte di padre Fabrizio potrebbe portarci a pensare al declino inesorabile di un ciclo di uomini e donne profetici nella nostra Chiesa. Quasi come avessimo ammainato la vela. Non dobbiamo cedere a questa tentazione. La fede nel Risorto, che ha alimentato la testimonianza di vita di padre Fabrizio, ci ricorda che egli è approdato alla pienezza.

E tu, caro Fabrizio, dal tuo approdo di luce, aiutaci a riconoscere la tua grande eredità: una Chiesa che frequentando i poveri, servendo i poveri e gli sconfitti dalla vita, sappia aprire spiragli di futuro in questa storia tanto bisognosa di coraggio.




anche in Spagna i vescovi in linea con papa Francesco fanno fatica

Critiche al vescovo di Madrid: “Ha detto no al card. Müller”

critiche al vescovo di Madrid:

“Ha detto no al card. Müller”

 
da: Adista Notizie n° 18 del 14/05/2016
Fra i vescovi spagnoli più in linea con papa Francesco  è il vescovo di Madrid mons. Carlos Osoro ad essere in questi giorni sotto attacco, additato dal sito web di orientamento conservatore Infovaticana (28/4/16) di aver «proibito che il cardinale prefetto della Dottrina della Fede, card. Gerhard Müller presenti il suo libro Informe sobre la esperanza (Rapporto sulla Speranza, edito per ora solo in spagnolo dalla Bac-Biblioteca de Autores Cristianos, ndr) nella sede dell’Università ecclesiastica di San Damaso» (poi realizzata nella Università dei Legionari di Cristo Francisco de Vitoria il 3 maggio, v. notizia seguente). Il sito web informa che Osoro «non interverrà alla presentazione» perché «non vuol sapere nulla di “un libro contro il papa”».

Marco Tosatti, sul sito “La Madre della Chiesa”, rilanciando la notizia con il titolo “Müller, lo schiaffo di Madrid” (30 aprile), riferisce di aver interpellato la diocesi madrilena, ricevendo risposta dal responsabile della comunicazione dell’arcidiocesi, Rodrigo Pinedo Texidor, il quale ha assicurato che non è vero «che l’arcivescovo di Madrid mons. Carlos Osoro abbia impedito la presenza del card. Müller a Madrid». Ha motivato il rifiuto di concedere i locali della San Damaso per la presentazione dicendo che «semplicemente la casa editrice ha sondato la possibilità di organizzare la conferenza nell’Università Ecclesiastica di San Damaso, però vista la vicinanza della data e la necessità di confermare il luogo dell’evento, in parallelo ha dovuto decidere che esso si svolgesse nell’Università Francisco de Vitoria. Mons. Osoro assisterà alla conferenza e sarà con il card. Müller il martedì».

Dove sono le lauree del vescovo?

L’attacco di Infovaticana ad Osoro non è limitato alla questione della conferenza del card. Muller. Il sito accusa di menzogne il vescovo di Madrid riguardo ai titoli di studio in teologia, filosofia, pedagogia e scienze esatte (Osoro ne parla anche con i media, ma non li presenta) con due articoli: il 18 aprile pubblica “Il Vaticano assicura che Osoro disse che aveva quattro lauree”; il 29 aprile affonda il coltello con un pezzo titolato “Carlos Osoro ha mentito al Vaticano sul suo curriculum”.

Il sito riporta le righe del Bollettino della Sala stampa vaticana che annunciava la nomina di Osoro a Madrid: «Dopo aver studiato Magistero presso la Escuela Normal ed aver esercitato la docenza per un anno a Santander, è entrato nel seminario per le vocazioni adulte Colegio Mayor El Salvador di Salamanca, ove ha frequentato i corsi di Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università di quella città, ottenendo la Licenza nelle due discipline. Ha pure conseguito la Licenza in Scienze Esatte dell’Università Complutense di Madrid e in Pedagogia dell’Università di Salamanca». Se la diocesi, contattata da Infovaticana dà risposte solo evasive, si legge sul sito, sono «fonti della stessa Congregazione dei vescovi», anch’essa contattata, a spiegare che il curriculum di Osoro – nelle parole di Infovaticana – «è stato concordato direttamente con il candidato. La stessa Congregazione assicura che questo tema è sotto segreto pontificio e dunque non possono dire nulla, pur considerando che dovrebbe essere lo stesso vescovo a chiarire i dubbi sulle quattro lauree».

* mons. Carlos Osoro




vescovo antiislamico che vuole convincere anche papa Francesco

l’articolo che segue ha un titolo che non ha nessun senso se non quello del tutto strumentale e contorto datogli dal sito ultratradizionalista che lo pubblica, che già dall’autodenominazione (‘Riscatto Nazionale’ – ‘riprendiamoci la nostra Patria’) la dice lunga sulla sua deformazione nella lettura della realtà e del vangelo; il vescovo di fatto non sbugiarda affatto papa Francesco, esprime però, questo sì, qualcosa di estremamente preoccupante: un vero e proprio antiislamismo di cui si vuole convincere anche il papa … non c’è limite alla stoltezza clericale!

 

Ungheria, vescovo sbugiarda Bergoglio: “Lo scopo della migrazione è islamizzare l’Europa”

 “In Europa momentaneamente tutti credono ciò che vogliono, ma generalmente nessuno crede niente. Questo è un terreno ideale da conquistare per l’islam”

Chiunque lo neghi, mente o si sbaglia. L’Europa mentalmente vuota è adatta alla conquista da parte delle folle musulmane che si ritengono superiori: così ha detto S.E. Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém, ad una conferenza che si è svolta lo scorso venerdì 22. L’arcivescovo, alla conferenza tenuta nel Collegio Salesiano di Veszprém ed intitolata “Problemi demografici nel Mediterraneo nel 19° e 20° secolo” ha espresso con la sua abituale sincerità ciò che pensa dell’islamizzazione europea.

“Penso che la migrazione prevalentemente non abbia cause, ma scopi specifici. Chi parla solo di cause mente o si sbaglia. La sovrappopolazione, la povertà o la guerra hanno solo un ruolo di secondo o di terzo grado nella migrazione.”
“Presso le famiglie musulmane nascono 8-10 bambini prevalentemente non per amore ma perché loro si ritengono esseri superiori e il Jihad gli impone di conquistare in qualche modo tutto il mondo.”

“Nella Shari’ah (sistema di diritto islamico) possiamo leggere che il mondo è costituito dal Dar al-Islam (che viene governato secondo la Shari’ah) e dal Dar al-Harb, cioè territorio di guerra che in qualche modo va occupato. Questo è scritto, i musulmani devono solo impararlo a memoria. Discuterne è vietato, loro eseguono solo ciò che devono fare”…“Momentaneamente lo scopo è quello di occupare l’Europa”. A questo ha attribuito anche il fatto che in Europa si è formato uno spazio mentale e sociologico vuoto e non esiste una forte ideologia.

“In Europa momentaneamente tutti credono ciò che vogliono, ma generalmente nessuno crede niente. Questo è un terreno ideale da conquistare per l’islam” – ha aggiunto Gyula Márfi, secondo cui nessun continente può sopravvivere a lungo senza un’ideologia forte.Ha spiegato che bisognerebbe accorgersene e prendere seriamente in considerazione il fatto che la migrazione ha come scopo finale l’islamizzazione dell’Europa.

L’arcivescovo ha ricordato un significativo episodio: “Bianka Speidl, un’esperta di islam, recentemente ha riferito che ad una conferenza tenuta sull’islam a Londra un professore musulmano americano ha chiesto scusa per gli atti terroristici con cui mettono in cattiva luce l’islam. Gli universitari musulmani presenti in grande numero gli hanno fischiato come risposta. Bisogna meditarci e considerarlo”.

L’islam non è solo una religione, ma è un sistema totalitario completo politico ed ideologico, che è impregnato con una parte religiosa. Mentre i nazisti si ritenevano superiori come razza, i comunisti come classe, i musulmani si ritengono superiori come religione. Classificano le persone in base a questo e noi che non siamo musulmani, ma siamo Kafir (infedeli), siamo considerati inferiori rispetto a loro. I musulmani secondo le loro dottrine hanno questa dualità nel comportamento. Si comportano in un certo modo se sono in minoranza e in un altro modo se sono in maggioranza. Per questo si comportano in modo diverso in circostanze diverse con i Kafir.

“Se l’Europa diventa Dar al-Islam, allora la cosiddetta Europa cessa di esistere. Questo lo dobbiamo considerare. Allora possiamo dimenticare la libertà e anche l’uguaglianza”.
S.E. l’arcivescovo Gyula Márfi dice che questo è il suo parere e non vuole suscitare un’atmosfera anti-musulmana, ma ritiene che vale la pena di richiamare l’attenzione delle persone. Inoltre sta valutando di formulare questi suoi pensieri anche al Papa Francesco.




la chiesa austriaca e i migranti

Austria

il «Nein» del vescovo alle barriere anti-migranti

migranti siariani

Dopo il Brennero forte l’azione della Chiesa anche al confine con l’Ungheria.

Il vescovo Zsifkovics: «Ho sempre ricordato che la Sacra Famiglia è stata una famiglia di rifugiati e chi pensa altrimenti non rappresenta il Vangelo»

Maria Teresa Pontara Pederiva

Si fa sempre più aspra l’opposizione dei cattolici austriaci contro le decisioni del governo, in piena campagna elettorale, per limitare l’ingresso di migranti e rifugiati.
Una lotta che ormai dura da settimane e che vede fianco a fianco vescovi e laici uniti per affermare il rispetto dei diritti umani e il valore irrinunciabile dell’accoglienza contro quella che il cardinal Schönborn ha definito la «fortezza Europa».

A cominciare dal passo del Brennero che vede coinvolti, e contrari, sia i residenti del Tirolo (Austria) che del Sudtirolo (Italia) e dove il governo austriaco sembrerebbe aver l’intenzione di ripristinare un confine di fatto caduto da diciotto anni.

migranti2
Forte nei giorni scorsi la reazione di mons. Jakob Bürgler, amministratore apostolico di Innsbruck (dove si attende la nomina del vescovo a seguito della designazione di mons. Scheuer a Linz): «La reintroduzione del confine in una regione cosmopolita (leggi Euregio, Tirolo-Sudtirolo-Trentino) e nell’era della globalizzazione rappresenta un passo che annulla molti successi».
«La mia prima preoccupazione non risiede nel fatto che l’economia e il turismo potrebbero avere risvolti negativi, ma va soprattutto a quelle donne, a quegli uomini e a quei bambini in fuga che hanno bisogno del nostro aiuto» ha scritto in una lettera il vescovo di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser. «Il loro grido di aiuto – la loro fuga non è nient’altro che questo! – richiede la nostra attenzione, il nostro cuore generoso.
A che cosa serve celebrare l’”Anno della misericordia”, se poi siamo duri di cuore nei confronti del prossimo?!».

E un altro segnale forte viene in queste ore dalla diocesi di Eisenstadt, nel Burgenland, la regione più orientale al confine con Ungheria e Slovenia, zona chiave per le rotte d’ingresso.
Non è un caso che il protagonista sia proprio mons. Ägidius Johann Zsifkovics, nella sua triplice veste di pastore della diocesi e di presidente della Commissione episcopale austriaca per i migranti e l’integrazione e dell’omonima dei vescovi accreditati presso la UE (artefice dell’incontro di febbraio dei vescovi Comece ad Heiligenkreuz insieme ai patriarchi d’Oriente, terre di provenienza dei migranti, e autore del documento dei vescovi europei).
Il vescovo Zsifkovics ha pronunciato un chiaro e deciso «Nein» nei confronti della costruzione di recinzioni e barriere sul suolo diocesano e il vescovo non ha timore di rappresaglie di sorta, magari da parte di alcuni cattolici xenofobi.

Intervistato da diverse testate ribadisce la sua decisione: «Con ogni fibra del mio corpo affermo che è impossibile per me accettare che nel 21° secolo si possano costruire dei recinti, destinate a diventare un feticcio». Ricorda di essere nato (nel 1963 a Güssing) e cresciuto all’epoca della cortina di ferro e di aver sperimentato «tutte le umiliazioni di una zona di confine» sempre con il desiderio di un’altra vita.
«Ho sempre ricordato che la Sacra Famiglia è stata una famiglia di rifugiati e chi pensa altrimenti non rappresenta il Vangelo» ripete con convinzione.

Anche il portavoce diocesano Dominik Orieschnig osserva che la costruzione della barriera di confine sarebbe una «chiara rottura con il messaggio della Chiesa» oltre che «del tutto contraria allo spirito del Vangelo».
La decisione della diocesi di Eisenstadt ha già raccolto numerose attestazioni di simpatia e solidarietà, ma anche alcune critiche.

Un cittadino ha ringraziato «in nome dell’umanità», mentre altri, che si dichiarano cattolici, ma simpatizzanti di organizzazioni xenofobe, hanno espresso arrabbiati tutta la loro contrarietà.

Ancora una volta, emerge, dunque, come la crisi dei rifugiati rappresenti quasi «una cartina al tornasole del cristianesimo», ha detto il portavoce diocesano che tiene a precisare come l’autentica carità cristiana si riveli in questi momenti di crisi quando le situazioni difficili dovrebbero veder unite le forze in un vincolo di solidarietà fattiva. Come Bürgler a Innsbruck, anche al confine orientale, punto di riferimento sono i gesti di papa Francesco nell’incontro di Lesbo con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene Hieronymus II la settimana scorsa.

Ciò non significa affatto che la diocesi non abbia comprensione dei timori e delle preoccupazioni della gente, tutt’altro, e le proposte dei vescovi europei alle sedi di Bruxelles stanno a dimostrarlo.
Tuttavia tengono a precisare da Eisenstadt, «non sarebbe una testimonianza cristiana rispondere a queste paure con recinzioni e muri».
La risposta cristiana è un’altra, dicono da settimane in Austria, anche perché quando lo sconosciuto diventa un volto concreto, la realtà dei fatti ha dimostrato che i timori svaniscono.

E, per intanto, i 9 km di recinzione lungo il confine con l’Ungheria nei pressi di Moschendorf (previsti anche container, servizi igienici e quant’altro) non si faranno.




ancora lui, il monsignore ‘faraone’: un ritratto

il monsignore, la Madonna e il postribolo

dal sostegno a Berlusconi all’epoca del processo Ruby all’augurio di morte a Papa Francesco. Pontifica, insulta, sputa sentenze. Ossessionato dal satanismo, dall’omosessualità e dal mondo giovanile. Fino all’islamofobia e alla nostalgia delle Crociate. Un ritratto senza sconti dell’Arcivescovo di Ferrara Luigi Negri, esponente di primo piano di quella parte più retriva del mondo cattolico oggi dominante in Emilia Romagna.

di Alessandro Somma

C’erano una volta Peppone e don Camillo, comunista vecchio stampo l’uno e prete partigiano l’altro, emblemi dell’eterna lotta tra il diavolo e l’acqua santa cui si è tradizionalmente assistito nella Regione rossa per eccellenza: l’Emilia-Romagna. C’erano, perché nel tempo il fronte dei comunisti vecchio stampo è stato rimpiazzato da un ceto politico selezionato per la sua vicinanza ideologica ora con la classe imprenditoriale, ove presente, ora con la cultura cattolica, diffusa nelle aree a vocazione agricola. Anche dalle parti di don Camillo, però, si sono avute trasformazioni epocali. Nell’Emilia-Romagna delle cooperative rosse oramai in combutta con le cooperative bianche, la geografia del potere clericale ha assunto tinte fosche: quelle della parte più retriva del mondo cattolico, premoderna e antilluminista, pronta a contrastare la liberazione dell’umano da ordini sovraumani repressivi, per questo omofoba, islamofoba, misogina e in genere antropologicamente incapace di provare empatia per tutto quanto non sia contemplato dal dogma.

Insomma, da alcuni anni la Chiesa emiliano-romagnola è controllata da Comunione e liberazione, il movimento fondato da don Giussani che, dopo anni di emarginazione, è riuscito finalmente a invadere la stanza dei bottoni. Fu Papa Wojtyla, nella seconda parte del suo pontificato, a contribuire in modo significativo a questo risultato, nominando i ciellini Carlo Caffarra Arcivescovo di Ferrara e Comacchio nel 1995 e di Bologna nel 2004, e Luigi Negri Vescovo di San Marino e Montefeltro nel 2005. Fu invece Papa Ratzinger, nel 2012, a individuare come Vescovo di Reggio Emilia e Guastalla un altro devoto di don Giussani: Massimo Camisasca. La città di Giuseppe Dossetti è così ora in mano allo storiografo ufficiale del fondatore di Cielle, già cappellano del Milan di Sacchi, nonché zio di Michele Camisasca: per anni dirigente del personale presso la Regione Lombardia di Roberto Formigoni, che gli attribuì l’incarico sulla base di un concorso poi ritenuto illegittimo dalla Corte dei Conti.

Si deve a Papa Ratzinger anche la nomina ad Arcivescovo di Ferrara-Comacchio di Negri, il quale evidentemente a quel punto si vide lanciato sulle orme di Caffarra: proiettato, dopo il pensionamento di quest’ultimo, verso la poltrona di Arcivescovo di Bologna prima e di Cardinale poi, posizione dalla quale imporre al meglio le pesanti mani cielline sulla Regione. Solo dieci giorni dopo l’insediamento di Negri nel marzo 2013, però, Mario Bergoglio viene eletto Papa e questi ha evidentemente disegni diversi da quelli in linea con i desiderata dei discepoli di don Giussani. Tanto è vero che, pensionato Caffarra, nomina Arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi: un cosiddetto “prete di strada” affezionato alle aperture del Concilio vaticano II, che anzi ritiene debbano finalmente essere messe in pratica.

Ecco ricostruito lo sfondo della vicenda che ha recentemente attirato l’attenzione mediatica su Negri, per le frasi strillate a volto paonazzo durate un viaggio in treno e riportate da alcuni testimoni al Fatto quotidiano[1]. Passi per la frase di astio nei confronti del Concilio vaticano II, e in particolare per uno dei suoi più noti ispiratori, Giuseppe Dossetti, reo di aver “distrutto la chiesa italiana”: è una frase che non stupisce, in linea come è con i punti di riferimento culturali del suo autore. Passi anche per la promessa, fatta a Caffarra, che lui farà vedere al prete di strada “i sorci verdi”, che se non altro documenta la resistenza del sodalizio ciellino nella buona e nella cattiva sorte.

Difficile invece soprassedere a quanto detto da Negri a proposito del Papa che gli ha sottratto l’osso, a cui augura niente meno che di passare a miglior vita: “speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro”, ovvero con Papa Luciani, morto a poco più di un mese dal suo insediamento. Il tutto, con atteggiamento tanto isterico da valere una confessione, confermato prima e smentito poi nell’arco di poche ore, nel corso delle quali si registra un’unica costante: la richiesta di un “incontro filiale” con il Papa, con l’intenzione di “aprirgli il cuore”, si spera quello dell’Arcivescovo e comunque solo metaforicamente.

Non è la prima volta che Negri la fa fuori dal vaso. Aveva fatto parlare di sé prima di arrivare a Ferrara, ad esempio per il suo sostegno incondizionato a Berlusconi all’epoca del processo Ruby: era il plurinquisito, il libertino e bestemmiatore di sempre, ma se non altro era tenero nei confronti dei mitici valori non negoziabili tanto cari all’integralismo cattolico. Di qui l’attacco all’arma bianca contro i Pubblici ministeri del processo di Milano, considerati l’emblema di una magistratura mai così “prepotente”. Nessuna indignazione, invece, per le cosiddette cene eleganti di Arcore: “l’indignazione non è un atteggiamento cattolico”, mentre “la moralità dei politici va giudicata dall’impegno nel perseguimento del bene comune che consiste nel benessere del popolo e nella libertà della Chiesa”, ovvero nella difesa dei valori non negoziabili[2].

Si salvi dunque il Signore di Arcore, e si salvino pure i politici eletti con voti ciellini puntualmente finiti sotto inchiesta per lo scandalo della sanità regionale lombarda, Formigoni in testa: ha “fatto cose straordinarie”, come “il sistema sanitario, il buono scuola, la libertà di educazione”, motivo per cui non va giudicato per “le camicie sgargianti e le vacanze costose”[3]. Si rifiuti invece la comunione a Rosy Bindi e a Romano Prodi, rei di aver sostenuto il disegno di legge sui Dico, i “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” e dunque anche delle coppie omosessuali: disegno mai approvato, nonostante fosse un compromesso al ribasso tra cattolici integralisti e il resto del mondo, che l’allora Vescovo di San Marino e Montefeltro ritenne comunque un atto “eversivo dell’antropologia personale e familiare”[4].

È però dopo l’arrivo a Ferrara, quando cioè Papa Bergoglio gli scombina i piani, che Negri si inacidisce e dà il meglio di sé. La città lo accoglie festante, con le autorità tutte impegnate a dargli il benvenuto, mentre gli immancabili suonatori e sbandieratori del palio fanno da colonna sonora e da coreografia al suo trionfale ingresso in cattedrale. Lui, però, non mostrerà gratitudine alcuna per cotanta pronitudine: ricambierà dedicando ai fatti della vita cittadina e nazionale esternazioni colme di odio e intolleranza, evidentemente buone solo a esorcizzare inquietati pensieri ossessivi. Siccome gli esempi sono assai numerosi, ci dovremo limitare a riportare quelli che meglio consentono di tratteggiare il profilo umano e culturale del Monsignore.

Tra le ossessioni più presenti figura senz’altro quella per il satanismo, alla cui lotta Negri dedica molto tempo e molte energie, in particolare quelle indispensabili a visionare pellicole che potrebbero costituire propaganda di riti luciferini. E’ così che nasce la polemica del maggio 2013 su “Le streghe di Salem”, il film di Rob Zombie ritenuto “un misto di satanismo, oscenità, offese alla liturgia e alle realtà ecclesiali”[5]. Ma al ciellino non basta la condanna morale: occorre che da essa discendano rigide norme di comportamento indirizzate all’umanità. Di qui la scelta di istituire una commissione di giuristi incaricata di verificare la possibilità di querelare nientepopodimeno che lo Stato italiano, reo di aver vietato la visione della pellicola ai soli minori di quattordici anni e non al creato tutto.

I giuristi devono avergli consigliato di lasciar perdere, ma il Monsignore non si è perso d’animo. Avendo recentemente scoperto, probabilmente con la lente di ingrandimento, il numero 666 a fianco di una croce capovolta disegnata con un pennarello su un marmo all’ingresso della sua cattedrale, ha pensato bene di ricordare che Ferrara registra una presenza satanica di tutto rispetto: ben tre le sette attive, “tutte legate al mondo giovanile”[6]. Ne avrà sicuramento parlato in occasione della sua recente lectio magistralis al corso di esorcismo organizzato presso l’Università europea di Roma, l’ateneo dei Legionari di Cristo, una congregazione il cui fondatore verrà ricordato per la sua virulenta pedofilia.

Chissà se in quell’occasione Negri ha esorcizzato anche la sua principale ossessione: il mondo giovanile, con la tensione verso la libertà che esprime, la forza di rompere gli schemi che sprigiona, l’apertura verso il nuovo e il diverso che rivendica, tutte caratteristiche decisamente inconciliabili con l’antropologia ciellina. Non stupisce allora che semplici scene da una movida siano percepite come raffigurazioni di apocalittici convegni carnali: “ho visto scene di sesso tra due ragazzi e un gruppo, evidentemente ubriaco, coinvolto in atteggiamenti orgiastici”. Di qui la lunga e stucchevole polemica sulla piazza antistante la cattedrale trasformata in postribolo, che prende corpo nel luglio del 2013. Il Monsignore la introduce con una sorta di excusatio non petita: tiene a precisare che non sa come sia fatto un postribolo. Subito dopo, però, evidentemente con la forza dell’intuito, ipotizza che esso abbia esattamente l’aspetto di un gruppo di giovani impegnati nella movida: “non ho mai visto un postribolo, ma l’idea era quella”. Il tutto mentre i bar che danno da bere ai giovani, che quindi li ubriacano e li spingono a tenere orge sotto le stelle, si trovano guarda caso in locali di proprietà della curia. Evidentemente, e fortunatamente, anche per Negri pecunia non olet.

A non puzzare sono anche i preti pedofili, quelli sì luciferini distruttori di gioventù. Nell’ottobre del 2013 il programma televisivo Le iene ha raccontato la storia di Erik Zattoni, nato dallo stupro subìto dalla madre all’età di 14 anni, quando fu violentata da don Pietro Tosi, all’epoca parroco di Cornacervina in provincia di Ferrara, che la ospitava assieme alla sua famiglia in un appartamento di proprietà della parrocchia. Per anni Erik ha cercato di portare alla ribalta questa storia di atroce e squallida violenza, venendo però ostacolato da don Pietro con la complicità dei suoi superiori. Dopo anni di omertà e soprusi, incluso l’allontanamento dall’appartamento in cui era ospitato, riesce però solo a ottenere il riconoscimento della paternità grazie a un esame del dna disposto dal tribunale. Di qui la richiesta alle gerarchie ecclesiastiche, affidata ai microfoni di Italia1, di ottenere quantomeno un risarcimento morale: la riduzione dello stupratore allo stato laicale.

Ebbene, Negri ha condannato l’atrocità compiuta da don Pietro: non poteva certo fare altrimenti. Ma si è anche premurato di chiudere la strada a una possibile riparazione non solo morale: “la Chiesa, nei confronti dei sacerdoti, non si configura affatto come un datore di lavoro, che interverrebbe nelle vicende di carattere giuridico, economico e civile”, sicché “non ha nessun obbligo a risarcimenti o ad azioni analoghe”. Con l’occasione il Monsignore trova anche spazio per un esercizio di macabra ironia, evidentemente utile a esorcizzare un’altra delle sue ossessioni, quella per cui il mondo intero vuole distruggere la Chiesa cattolica: “l’Arcivescovo ci tiene a precisare, al fine di evitare spiacevoli equivoci in futuro, che non ha avuto nessuna parte nella dichiarazione della prima guerra mondiale e neppure della seconda, e certamente non si è inteso con il presidente americano per lo sgancio della bomba atomica sul Giappone”[7].

Si sa che le gerarchie ecclesiastiche non sono interessate a tutelare la vita, a meno che non sia quella spenta dello stato vegetale e prenatale: in tal caso si dedicano alla sua difesa con lo zelo tipico degli ottusi. Negri lo fa proponendo un accostamento esilarante, che mette insieme l’immancabile condanna dell’aborto con una lettura davvero originale dell’attuale crisi economica. Sarebbe cioè colpa della legge sull’aborto se l’economia va male: la legge “non ha consentito di venire al mondo a oltre sei milioni di italiani, e la scarsità di figli ci ha fatto sprofondare in questa crisi economica”[8].

La dichiarazione è di tale portata da provocare persino reazioni oltreoceano: il Washington Post la riporta con un certo stupore, unito alla constatazione che la disciplina italiana dell’aborto viene comunque boicottata da un sospetto e costante aumento dei medici che praticano l’obbiezione di coscienza[9]. Evidentemente persino negli Stati Uniti, Paese assuefatto all’integralismo cattolico, non si possono lasciare impunite idiozie come quelle che il pastore a capo della diocesi di Ferrara e Comacchio ama confezionare per la gioia del suo gregge.

E che dire dell’ossessione di Negri per l’omosessualità, condannata con i toni virulenti tipici di chi tenta di reprimere un inconsapevole istinto che il raziocinio rifiuta di assecondare? Difficile altrimenti spiegarsi i ripetuti richiami, tanto cari all’integralismo cattolico, alla cosiddetta ideologia transgender, che esprimerebbe una “insana pretesa di sopprimere la differenza sessuale separandola da qualsiasi indicazione naturale, per ridurre la stessa sessualità a pura istintualità”[10]. Il tutto mentre non è questa ideologia a essere rivendicata dalla cultura laica, bensì l’attenzione per l’ottica di genere: l’emersione della complessità delle relazioni tra i sessi e la sua traduzione in politiche attente alle identità delle persone. Ma questo è esattamente ciò che Negri rifiuta quando attacca la legge contro l’omofobia, sobriamente ritenuta “un delitto contro Dio e contro l’umanità” e soprattutto un attentato alla “grande tradizione eterosessuale dell’occidente”[11].

Infine l’ossessione per l’islam, barbarie in procinto di travolgere la Cristianità, alla base di una cronica chiusura verso il dialogo con i musulmani, che Negri rifiuta perché si risolverebbe in un “dialogo unilaterale” con chi “non ha nessuna volontà, né intenzione, né disponibilità a dialogare”[12]. Senti chi parla, verrebbe da dire, ma lo stupore è fuori luogo. Il Monsignore è infatti un difensore delle Crociate, un nostalgico dei tempi in cui i cattolici potevano assicurarsi con le armi “la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terra Santa”. Certo, le Crociate sono state una fase buia e violenta nella storia della Chiesa, ma per Negri si tratta di un dettaglio trascurabile, comunque meno imbarazzante del “pacifismo d’accatto” impossessatosi dei “cattolici che sfilano egemonizzati dai sindacati”[13].

La Ferrara di un tempo non avrebbe tollerato i deliri di Negri o di un qualsiasi altro invasato dai comportamenti così molesti. I suoi predecessori erano del resto avvertiti, dal momento che sulla facciata del Municipio, proprio di fronte alle finestre dell’appartamento privato del Vescovo, era affissa, e lo è tuttora, una lapide che ricorda come “cessata la violenza delle armi straniere nel giorno 21 giugno 1859, Ferrara fu libera dalla signoria dei Pontefici e partecipò ai nuovi destini della Nazione”. Siamo però nel 1892, l’anno in cui Filippo Turati fondava a Genova il Partito socialista, l’epoca in cui la laicità dello Stato veniva tenuta in alta considerazione. Ora la musica è decisamente un’altra: ai deliri vescovili sul postribolo a cielo aperto, che meriterebbero quantomeno di essere ignorati se non fatti oggetto di colorite invettive, l’amministrazione comunale ferrarese risponde con l’offerta di realizzare una protezione del sagrato della cattedrale. Il tutto alla modica cifra di trentamila euro, ovviamente offerti dal contribuente, a testimonianza di quanto gli sia cara cotanta tracotanza clericale.

Insomma, Luigi Negri semina vento ma non raccoglie tempesta. Pontifica, insulta, sputa sentenze, ma riesce sempre a evitare di trovarsi in posizioni scomode: come nell’immagine, tratta dalla pagina facebook del Direttore di estense.com, che lo ritrae durante un’esibizione delle sentinelle in piedi mentre dimostra la sua solidarietà standosene comodamente seduto, all’ombra del campanile della cattedrale. Chissà se le ultime sparate finiranno per complicargli la vita, o se invece contribuiranno a renderlo un punto di riferimento per il cattolicesimo retrivo. Contribuendo un giorno, una volta compiuto il miracolo della Madonna, a farlo diventare il Papa nei cui confronti Woytyla e Ratzinger sembreranno due incalliti teologi della liberazione.

NOTE

[1] L. Mazzetti, Papa Francesco, il vescovo ciellino di Ferrara: Bergoglio deve fare la fine dell’altro Pontefice, www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/25/papa-francesco-vescovo-cl-di-ferrara-bergoglio-deve-fare-la-fine-dellaltro-pontefice/2251753.

[2] Caso Ruby, mons. Luigi Negri: Mai vista una magistratura così prepotente. E i cattolici evitino di contribuire al clima d’odio, www.tempi.it/caso-ruby-mons-luigi-negri-mai-vista-una-magistratura-cosi-prepotente-e-i-cattolici-evitino-di-c#.Vlfx1nYvcgt.

[3] Negri: Formigoni ha fatto cose straordinarie. La stampa è contro Cl perché contro la Chiesa, www.tempi.it/negri-formigoni-ha-fatto-cose-straordinarie-la-stampa-e-contro-cl-perche-contro-la-chiesa#.VlfyuHYvcgs.

[4] C. Antonini, Il vescovo ciellino: Vade retro satana, sei un sessantottino, http://popoffquotidiano.it/2015/04/15/il-vescovo-ciellino-vade-retro-satana-sei-un-sessantottino.

[5] M. Zavagli, Il vescovo scomunica Le streghe di Salem: E’ blasfemo. Pronto a denunciare lo Stato, www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/05/il-vescovo-scomunica-le-streghe-di-salem-e-blasfemo-pronto-a-denunciare-lo-stato/584134.

[6] M. Pradarelli, Ferrara, ordine pubblico e satanisti. Negri: nessuno mi ascolta, http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2015/10/25/news/ferrara-ordine-pubblico-e-satanisti-negri-nessuno-mi-ascolta-1.12327115.

[7] Caso Erik Zattoni, la risposta del vescovo, www.estense.com/?p=335673.

[8] M. Celeghini, Negri: La legge contro l’omofobia è delitto contro Dio e l’umanità, www.estense.com/?p=436801.

[9] R. Noack, Abortions caused Italy’s economic crisis, archbishop claims, www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2015/02/05/abortions-caused-italys-economic-crisis-archbishop-claims.

[10] F. Terminali, Il vescovo Negri ai cattolici: reagite alla teoria gender, http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2015/03/20/news/il-vescovo-negri-ai-cattolici-reagite-alla-teoria-gender-1.11087253.

[11] C. Antonini, Madonnina fai che Bergoglio… Riecco monsignor Negri, http://popoffquotidiano.it/2015/11/25/madonnina-fai-che-bergoglio-riecco-monsignor-negri.

[12] L. Negri, Un esame di coscienza che l’Occidente deve ancora fare, www.lanuovabq.it/mobile/articoli-un-esame-di-coscienza-che-loccidente-deve-ancora-fare-14438.htm#.VleGLHYvcgs

[13] C. Antonini, Madonnina fai che Bergoglio, cit.

 




anche un vescovo italiano invoca la morte di papa Francesco!

 il vescovo ciellino di Ferrara:

“papa Francesco deve fare la fine di papa Luciani”

Papa Francesco, il vescovo ciellino di Ferrara: “Bergoglio deve fare la fine dell’altro Pontefice”
 

monsignor Luigi Negri, intercettato il 28 novembre scorso sul Frecciarossa partito da Roma-Termini, si è sfogato con il suo collaboratore dopo l’assegnazione di due diocesi per anni in mano a Comunione e liberazione a due preti di strada: “E’ uno scandalo. Decisione avvenuta nel disprezzo delle regole. Speriamo che la Madonna faccia il miracolo”.

Raggiunto dal direttore della Nuova Ferrara non smentisce: “Qualcuno ha la registrazione?”

“Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro”i

Il riferimento a papa Luciani è appena velato. La frase è dell’arcivescovo di Ferrara, Luigi Negri, alto prelato in profondo disaccordo con Francesco e punto di riferimento di Comunione e Liberazione.

Negri, allievo di don Giussani, è anche noto per aver contestato la magistratura quando incriminò Berlusconi per il caso Ruby. A chi allora gli fece notare che gran parte del mondo cattolico era indignato sulla vicenda delle Olgettine, rispose: “L’indignazione non è un atteggiamento cattolico”.

Contro la nomina dei preti di strada
Il motivo della sua contestazione: le recenti nomine di Papa Francesco a Bologna e Palermo, diocesi per anni in mano a Cl, dei vescovi Matteo Zuppi e Corrado Lorefice, due preti di strada. Monsignor Negri, il 28 ottobre, sul Frecciarossa partito da Roma-Termini (testimoni oculari hanno riferito l’accaduto), ha dato libero sfogo ai suoi pensieri a voce alta, come pare sia sua abitudine, incurante dei pochi presenti nella carrozza di prima classe, con il suo segretario, un giovane pretino dal look della curia che conta, doppio telefonino, pronto a filtrare le telefonate dell’arcivescovo. “Dopo le nomine di Bologna e Palermo – sbotta – posso diventare Papa anch’io. È uno scandalo. Incredibile, sono senza parole. Non ho mai visto nulla di simile”. L’alto prelato, lasciando sbigottiti i testimoni, non si rassegna deve parlare con qualcuno, chiede al segretario di chiamare al telefono un amico di vecchia data, anche lui di Cl, Renato Farina, noto come “agente Betulla”, rincarando la dose. Non ancora soddisfatto, continua con il giovane prete: “Sono nomine avvenute nel più assoluto disprezzo di tutte le regole, con un metodo che non rispetta niente e nessuno. La nomina a Bologna è incredibile. A Caffarra (il vescovo uscente per limiti d’età) ho promesso che farò vedere i sorci verdi a quello lì (Zuppi): a ogni incontro non gliene farò passare una. L’altra nomina, quella di Palermo, è ancora più grave. Questo (Lorefice) ha scritto un libro sui poveri – che ne sa lui dei poveri – e su Lercaro e Dossetti, suoi modelli, due che hanno distrutto la chiesa italiana”.

Pubblicità

La conferenza e la pancia della curia
Il Fatto ieri ha provato a contattare l’arcivescovo Negri per chiedere se volesse precisare le sue parole. “Sì, credo fosse su quel treno il 28 ottobre”, ha spiegato il suo portavoce don Massimo Manservigi ascoltando le frasi di Negri che gli avevamo ripetuto. “Ma adesso (ore 21:30, ndr) monsignore sta tenendo una conferenza all’università e non è possibile contattarlo”. Il Fatto resta a disposizione per ascoltare eventualmente le spiegazioni del prelato.

È comunque difficile credere che monsignor Negri parlasse a titolo personale e non rivelasse uno stato d’animo condiviso dalla casta vaticana. Bergoglio se vuole, come ha promesso, di portare a compimento i propositi di Giovanni XXIII – “Chiesa popolo di Dio” – prima di tutto deve allontanare i mercanti dal tempio.

La replica
Monsignor Negri, raggiunto dal direttore della Nuova Ferrara Stefano Scansani dopo la messa del 25 novembre, non ha smentito. L’arcivescovo ha detto che reagirà all’articolo nelle prossime ore e ha aggiunto: “Qualcuno ha registrato? Questo nuovo episodio spiega tutto l’odio teologico contro la Chiesa”.




consacrato vescovo il mio compagno di passeggiate

padre Giovanni Roncari ordinato Vescovo

Roncari1

 

 «La Chiesa fiorentina ti deve tanto»

Roncari 1

 

«Il sacrificio di perderti è grande, ma nella Chiesa non c’è spazio per possessi egoistici, e quindi con fiducia ti affidiamo al tuo nuovo popolo e al suo presbiterio»

 così il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, si è rivolto a padre Giovanni Roncari, vescovo eletto di Pitigliano Sovana e Orbetello, che ha ricevuto l’ordinazione episcopale nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

 
Padre Giovanni Roncari ordinato Vescovo. Betori: «La Chiesa fiorentina ti deve tanto»

nell’omelia, Betori ha sottolineato la gratitudine »di tutta la Chiesa fiorentina, che tanto ti deve, specialmente i suoi sacerdoti che, come me, non ti cancelleranno mai dal loro cuore»

A imporre le mani su Padre Roncari anche i due immediati predecessori alla guida della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, Guglielmo Borghetti e Mario Meini, in segno di continuità e comunione. Nel Duomo di Firenze anche moltissimi preti della diocesi di Firenze, dove padre Roncari ha ricoperto negli ultimi anni l’incarico di vicario episcopale per il clero, i parrocchiani di San Francesco e Santa Chiara a Montughi dove è stato prima viceparroco e poi parroco per oltre trent’anni, i suoi studenti della facoltà teologica dell’Italia centrale dove da molti anni insegnava storia della Chiesa, e tantissimi suoi confratelli della Provincia toscana dei frati cappuccini e delle altre congregazioni della famiglia francescana. Presenti anche sacerdoti e fedeli della sua nuova diocesi, tra cui alcuni sindaci dei comuni del territorio, arrivati per fare festa insieme al loro nuovo vescovo.

Nella festa di Cristo Re, Betori ha ricordato che Gesù definisce la propria regalità come una testimonianza alla verità: «possiamo allora pensare il ministero del vescovo come un farsi carico del cammino del gregge che ti viene affidato, caro padre Giovanni, per illuminarlo secondo la verità di Cristo, per condurre la tua gente alla condizione di uomini e donne liberi di camminare lungo le strade del bene».

«Un’esigenza alta – ha proseguito – che Papa Francesco, come è noto, ha esemplificato nell’invito ai vescovi a stare uniti al loro gregge, nel triplice atteggiamento della guida che ne orienta il cammino, del fratello che ne condivide gioie e sofferenze, soprattutto quelle dei più poveri, del servitore che raccoglie i dispersi ma anche si lascia indirizzare dal senso di fede del popolo. Questa esperienza di condivisione di fede, speranza e carità con il tuo popolo di Pitigliano-Sovana-Orbetello imploriamo oggi per te, caro padre Giovanni, e per questo invochiamo lo Spirito del Signore su di te».

Al termine della celebrazione padre Roncari ha ringraziato i suoi genitori, la famiglia francescana, i vescovi, i sacerdoti, i laici, della diocesi di Firenze con cui ha camminato per tanti anni, e il popolo della diocesi di Pitigliano, Sovana e Orbetello a cui ha chiesto: «fatemi spazio nel vostro cuore, cammineremo insieme nelle vie del Signore».

Il nuovo vescovo farà ingresso nella cattedrale di Pitigliano il prossimo 29 novembre, prima domenica di Avvento: la sua nuova diocesi, nel sud della Toscana, copre un vasto territorio che va dal Monte Amiata all’Isola del Giglio.

Nato a Verona il 19 agosto 1949, è arrivato ancora bambino a San Piero a Ponti. Ha frequentato il Seminario dei Frati Minori Cappuccini, iniziando nel 1966 il noviziato. Il 20 agosto 1972 ha fatto la professione solenne e il 22 marzo 1975 è stato ordinato sacerdote.

«In caritate et laetitia»:è un motto dal sapore molto francescano quello scelto da padre Giovanni Roncari. Nel suo stemma, realizzato dal grafico araldista Giuseppe Quattrociocchi, oltre al simbolo dell’ordine francescano (ossia la mano di Cristo incrociata con la mano di san Francesco, entrambe segnate dalle Stimmate) anche un ponte, che richiama il paese di san Piero a Ponti da cui padre Roncari proviene, la stella mariana e il giglio di Firenze, la città dove per tanti anni ha svolto il suo ministero.