il vescovo che parla come Salvini: “Putin sì che ha le palle”!

un giornalista di ‘la nuova Ferrara’ così commenta la sorpresa e lo scandalo per le parole e la posizione guerrafondaia del vescovo di Ferrara:

“santità, la Chiesa è un casino”

 

il vescovo Luigi Negri nell’intervista a Panorama conferma la linea apocalittica

il commento più brusco e mattiniero che ieri è atterrato in redazione è stato questo: «Ma chi è che ispira all’arcivescovo di Ferrara tali concetti? Filippo Maria Manvüller?». Quest’ultimo signore è l’addetto stampa del gruppo regionale della Lega Nord e quindi dell’amministrazione di Bondeno. Ma nulla c’entra. È tutta farina del sacco di sua eccellenza, com’è la frase che presa di peso dall’intervista data a Stefano Lorenzetto di Panorama, pari pari: «Nel panorama di silenzio connivente e di iniziative inconcludenti, l’unico che ha gli attributi, devo ammetterlo con profonda vergogna, è Vladimir Putin».

Capito? Con “profonda vergogna”, perché lui è un consacrato cattolico di rito ambrosiano (milanese) e Putin è nazionalista, zarista, ex comunista, ex Kgb, ortodosso e facile alle maniere forti. Il concetto del presule si far ancor più anatomico quando immagina «un’operazione vigorosa e mirata contro il Califfato… Ma per promuoverla servono testa e palle». Questa si chiama chiarezza virile.

Monsignor Luigi Negri se la prende con l’Occidente molle e incerto sul che fare contro l’Is. Ha lo stesso punto di vista che fu del Berlusconi in sella e del Salvini galoppante. Letta l’intervista, ho telefonato all’arcivescovo mentre il campanile rosa e bianco di Ferrara annunciava il mezzogiorno. Gli ho chiesto se, considerata la sua età (gli manca un anno alle dimissioni canoniche) e alla piega che ha preso Santa Romana Chiesa col pontificato di Bergoglio, non abbia deciso di prendersi ogni libertà. E sparare sullo sparabile. La risposta è come sempre pronta e affilata: «Ma che dice? Si tratta di libertà. E la libertà è una dimensione strutturale, non nasce e nemmeno cresce. Io sono sempre stato libero».

E si sente. Si legge, quando nell’intervista accende tutte le spie rosse possibili: dal fondamentalismo islamico fino alle quattro logge massoniche, più una femminile, attive nella piccola Ferrara. E poi dalla sua elencazione dei nemici del mondo e quindi del cristianesimo in purezza: la massoneria mondiale, l’economia anglo-cinese-nipponica e il fondamentalismo islamico. L’elenco di Negri ha qualche consonanza con la sentenza mussoliniana contro il jazz: “musica degenerata”.

Perché Negri neanche in quest’ultima intervista contraddice il suo essere un “implacabile propugnatore dell’ortodossia”. E confessa che se non avesse fatto il prete gli sarebbe piaciuto diventare un generale.

Ecco, Negri è un gendarme. E utilizza un linguaggio che non sarebbe consonante con quello che tutti, o quasi, definiamo clericalmente corretto. Addirittura a tu per tu col suo amatissimo Benedetto XVI negli anni dell’episcopato di San Marino-Montefeltro, Negri non ha esitato a dipingere i tempi difficili della Chiesa contemporanea come “un casino”. Negri – attenti bene – è finissimo. Usò il termine casino come parola contrapposta a ordine. E infatti la Chiesa dovrebbe essere un “ordo”, un ordine intellettuale, morale, esistenziale, sociale. Testuale: «Lo ricordai a Benedetto XVI. “È vero”, annuì. E io aggiunsi: ma la Chiesa oggi non è un “ordo”, è un casino».

E, neanche farlo apposta, il botta e risposta di Negri con Lorenzetto fa sfavillare quell’altro rapporto che l’arcivescovo ha-non-ha con Papa Bergoglio. Conferma di avergli parlato per pochi secondi, due volte, a margine di assemblee generali della Cei. Il giornalista lo incalza e lo provoca. Gli ricorda che eppure Francesco ha trovato il tempo per telefonare a Pannella e alla Bonino e di ricevere in udienza un trans spagnolo accompagnato dalla fidanzata. La libertà di Negri è incommensurabile e sottile: «Chi sono io per giudicare il Papa?».

Nell’intervista non mancano le botte a destra e a manca dentro il teatro politico, le critiche garbate a Renzi, e poi al mondo. È dentro questa trincea universale che Negri puntualmente sfodera la sua cultura e i suoi timori (nella città che fu di Savonarola e in un palazzo dov’è stretto fra le lapidi che fanno memoria di Copernico studente ferrarese e di Ferrara liberata dal giogo papalino).

Indubbiamenti l’arcivescovo è apocalittico. Fa un riferimento circostanziato al testo di Benson, anno 1907: «Lì dentro c’è tutto. La confederazione mondiale retta dall’Anticristo, il consenso entusiasta dei sudditi, l’edonismo sfrenato, il pacifismo, il relativismo, l’eutanasia, perfino i cibi artificiali… fino al bombardamento del Vaticano per annientare l’ultimo bastione in grado di fermare il nuovo padrone».

Non invento l’acqua calda e nemmeno santa, se in questa concezione l’arcivescovo Negri proietta anche la sua missio pastorale in terra ferrarese-comacchiese, partendo dalla sua persuasione che la società tutta «è contraria alla Chiesa, c’è poco da fare».

Da questa atmosfera da assedio e in forza del suo carattere da pugile di Dio ogni tanto – cioè ogni sempre – Negri sferra pugni localnazionali. A partire dalla suo primo match mai esaurito contro la movida e il “bordello a cielo aperto” sotto le sue finestre, sino alle recentissime due lettere in un sol giorno e in un sol colpo. Materiale documentale fresco, solo del 26 ottobre scorso. Una diffida preti e fedeli da credere o voler applicare i temi del Sinodo sulla Famiglia, ovvero comunione ai divorziati, perché Francesco non ha mai decretato al riguardo. La seconda è sull’attività di alcune sette sataniche nel Ferrarese. Territorio e gente che in diverse circostanze Negri ha tentato e tenta di mettere alle corde, scuotere dal tradizionalismo in nome del quale niente e nulla si può cambiare: abbiamo sempre fatto così… E sentirlo dire da sua eccellenza – che nel corridoio del suo appartamento ostenta una riproduzione dell’entrata dell’imperatore Carlo V e papa Clemente VII a Bologna – ha dell’incredibile.

Probabilmente Negri ha anche la capacità di schivare i colpi, anche quelli bassi. Il primo che mi viene in mente è quello dell’addio dell’arcivescovo Caffarra alla sede cardinalizia (lo sarà ancora?) di Bologna. Una sponda conservatrice fondamentale per Negri. Arriva Zuppi, che conservatore davvero non è, anzi è il contrario di Caffarra. Nell’intervista viene chiesto a Negri se pensando a che cosa sta mutando a Bologna gli fischino le orecchie, risponde: «A me no. Spero che non fischino a monsignor Zuppi».

Non si lascia mettere all’angolo nemmeno quando gli viene posta davanti la centrale di tanti guai: la riforma della banca vaticana, lo Ior. Non si scompone utilizzando il meglio di una componente esemplare del modello ecclesiastico. Si chiama dissimulazione. Eccola qua: «Della riforma della banca non m’importa un accidenti. Io devo spiegare tutti i giorni alla mia gente perché vale ancora la pena di essere cristiani». E lo fa con i guantoni. Una domanda gliela facciamo noi: perché non scende n piazza, la sera, dentro la bolgia, a mani nude?

la lotta che rende umani

  

Quando è la lotta a renderci umani. La vita di un vescovo in difesa dell’Amazzonia

quando è la lotta a renderci umani

la vita di un vescovo in difesa dell’Amazzonia

tratto da: Adista Documenti n° 26 del 18/07/2015
 

 Nei suoi 50 anni vissuti nell’Amazzonia brasiliana, dom Erwin Kräutler, vescovo (dal 1981) della prelatura dello Xingu – una diocesi più estesa dell’Italia – e presidente del Consiglio indigenista missionario (Cimi), ha assistito a una rapida, tragica trasformazione: la foresta tropicale che, al suo arrivo, si stendeva dinanzi ai suoi occhi fitta, impenetrabile, lussureggiante, è ora solo un ricordo. Intorno ad Altamira (sede della prelatura), lungo l’autostrada Transamazzonica, «ci sono municipi – ci spiega il vescovo di origini austriache durante una sua rapida visita nel nostro Paese – che conservano appena il 10% della vegetazione originaria»: «Può capitarti di percorrere 200 chilometri senza incontrare l’ombra». Un’aggressione, quella contro la foresta e contro i popoli che la abitano, che dom Erwin ha instancabilmente contrastato, come racconta nel libro appena uscito in Italia, edito dalla Emi, Ho udito il grido dell’Amazzonia. Diritti umani e creato. La mia lotta di vescovo (pp. 286, euro 16, tel. 051/326027, www.emi.it). Un libro che racconta la sua vita «sempre in viaggio e di passaggio», come scrive nell’Introduzione il missionario di origine tedesche Paulo Suess, assistente teologico del Cimi, trascorsa a visitare quello che Kräutler definisce l’«umile, amorevole» popolo di Dio dello Xingu «lungo i fiumi e i canali, lungo le strade e i sentieri fino agli angoli più sperduti dell’Alto e del Basso Xingu», sulla Transamazzonica (durante la cui costruzione, nel tratto distante tre chilometri dal villaggio degli indigeni Arara, «gli indios furono persino cacciati con i cani») e le altre autostrade che tagliano le foreste dell’Amazzonia. Un libro che ci parla delle sue battaglie, dalla lotta, al tempo della Costituente, per l’inserimento nella Carta Costituzionale brasiliana della difesa dei diritti dei popoli indigeni, a quella di oggi contro la centrale idroelettrica di Belo Monte; delle sue denunce contro la distruzione dell’ambiente, contro il saccheggio delle ricchezze naturali, contro gli infiniti rinvii della riforma agraria, contro un modello di sviluppo al servizio degli «interessi di una potente oligarchia a caccia di guadagni immediati e favolosi»; della sua azione pastorale in difesa dell’Amazzonia e dei diritti dei popoli indigeni, quelli che nella Prefazione l’ecoteologo Leonardo Boff descrive come «i veri custodi di questa incommensurabile ricchezza che Dio ha dato al pianeta e specificamente al Brasile», amministratori sapienti e tutt’altro che genuinamente naturali, in quanto «gli indios e la foresta si sono condizionati a vicenda» attraverso relazioni prettamente culturali, in «una rete intricata di reciprocità» in cui la natura è vista e sentita come «soggetto vivo e con una propria intenzionalità», non «qualcosa di oggettuale, muto e senza spirito come per noi moderni».

Una lotta, quella del vescovo, pagata con calunnie, diffamazioni e minacce di morte – le armi utilizzate «nel tentativo di chiudere la bocca a chi alza la voce contro le aggressioni alla dignità umana» – e, il 16 ottobre 1987, persino con un attentato (in un incidente automobilistico doloso), che quasi gli costò la vita e in cui rimase ucciso il missionario italiano che lo accompagnava, p. Salvatore Deiana: quello «è diventato il giorno che divide la mia vita in due parti: il prima e il dopo»; «mi ripresi dalle fratture. Mai, però, mi sono ripreso nel mio intimo dallo sconvolgimento per la morte di Tore». E, quasi vent’anni dopo, nel 2006, ecco cosa scriveva l’economista Armando Soares, nel giornale di maggior diffusione in Amazzonia, O Liberal (5/6/06), a proposito dell’opposizione del vescovo al complesso idroelettrico Belo Monte, sul fiume Xingu (le cui acque, ricorda dom Erwin, «dovrebbero avere il colore del sangue a causa delle innumerevoli stragi perpetrate nel suo bacino, nel corso dei secoli»): «Altamira, per le sue ricchezze e la localizzazione strategica, è uno dei focus preferiti dai nostri nemici, località dove regna un religioso del tempo dell’Inquisizione, dittatore autocratico che si ritiene in diritto di interferire nella vita economica del Comune creando una clima di terrore e paura. (…). Insegnava il padre di Cicerone, il grande tribuno romano, che uomini iniqui devono essere eliminati  sotto la minaccia di contaminare tutta la società».

Ma dom Kräutler non si è lasciato intimidire, continuando a denunciare un «progetto megalomane» che avrà conseguenze disastrose sui popoli indigeni, favorendo ancora una volta le «multinazionali che vivono a spese del Brasile, con tutti i vantaggi fiscali e le facilitazioni energetiche». Un progetto, per di più, di cui si sono resi responsabili proprio i governi a guida Pt, il Partito dei lavoratori: «Ossessionato dall’idea di accelerare la crescita economica», scriveva il vescovo nel 2008, il presidente Lula, colui che si pensava avrebbe finalmente risolto, o almeno portato avanti in maniera energica, tanto la questione indigena quanto la riforma agraria, è giunto a definire come «ostacoli» indios, quilombolas, ambientalisti e pure la Procura della Repubblica e persino a considerare «cavilli» gli stessi articoli della legislazione ambientale.

Non sorprende, allora, che, quando chiediamo al vescovo un suo commento riguardo alla politiche dei governi del Pt, la sua delusione risulti palpabile: «Mi fa male persino parlarne», confessa. Tuttavia, un motivo di soddisfazione è ultimamente venuto da un’altra fonte, l’enciclica di papa Francesco Laudato si’, alla cui stesura il vescovo è stato chiamato a collaborare: «Vivo in Amazzonia da 50 anni e in tutti questi anni tali problemi mi hanno toccato profondamente. E ora li vedo esposti nell’enciclica di papa Francesco». Ed è proprio su questo aspetto che abbiamo iniziato la nostra conversazione con dom Erwin, nell’intervista che qui vi proponiamo.

* L’immagine ritrae uno scorcio della Foresta Amazzonica nello Stato brasiliano del Pará

il vescovo invita all’accoglienza ma …

il vescovo di Padova: “Accogliete i profughi”

durante l’omelia di sabato scorso monsignor Mattiazzo ha detto: “Ricordiamoci sempre che anche Gesù, Maria e Giuseppe sono stati profughi”

Durante l’omelia, infatti, il vescovo ha detto: “Le parole del Signore ci sollecitano ad aprire il nostro cuore, il nostro portafoglio e, se necessario, anche le nostre case per aiutare i poveri. Non è peccato essere poveri. Lo è, invece, essere egoisti ed indifferenti ed avere il cuore duro. Evidentemente la Provvidenza ha fatto venire Antonio proprio a Padova perché c’era bisogno di un Santo così eccezionale per convertire i padovani. E, forse, ce ne sarebbe bisogno anche oggi. Ricordiamoci sempre che anche Gesù, Maria e Giuseppe sono stati profughi. E poi che pure Sant’Antonio, prima di arrivare nella nostra città, si imbarcò per la Sicilia dall’Africa e sopravvisse ad un naufragio“.

signor vescovo, non le sembra di esagerare!

l’arcivescovo di Trieste: «I matrimoni gay sono un suicidio dell’umanità»

 

«Gli attacchi al matrimonio come unione di un uomo e una donna rappresentano una sorta di suicidio dell’umanità stessa, soprattutto nei nostri Paesi occidentali». È quanto affermato dall’arcivescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, durante un’omelia pronunciata al santuario di Monte Gria.

Secondo il personale parere del religioso, «dal punto di vista cristiano è erroneo affermare che la relazione fondamentale tra uomo e donna sia soltanto un prodotto culturale o sociale, un “dono” di un governo o la costruzione dell’uomo. I governi non possono soppiantare la primordiale responsabilità dei genitori per i loro figli, né possono negare ai bambini il diritto di crescere con una mamma e un papà». Crepaldi ha poi sostenuto che «in Cristo lo stato naturale del matrimonio, il naturale legame tra un uomo e una donna uniti in matrimonio, è elevato a sacramento».

Prosegue così l’ondata di critica che la Chiesa Cattolica ha deciso di lanciare dopo l’approvazione del matrimonio egualitario in Irlanda. Da nord e sud, una serie di prelati è pronta ad aizzare i fedeli contro il diritto alla felicità altrui, sostenendo che il principio fondamentale della famiglia non sia la sua funzione sociale ma l’eterosessualità dei componenti. Poi poco importa se i genitori costringono alla prostituzione i figli o se un padre picchia i propri familiari: l’essere eterosessuali è motivo di grazia dinnanzi a Dio in una sorta di nuova razza Ariana.

Parole dure e pericolose per chi dovrebbe ispirarsi alle predicazioni di Gesù, un bambino nato in una famiglia che è stata tutto fuorché una «famiglia tradizionale». Giuseppe non è il padre biologico di Gesù e la tanto sbandierata verginità di Maria (che ha persino portato ad uno scisma della Chiesa) è un motivo sufficiente che oggi spingerebbe la Sacra Rota a ritenere nullo il loro matrimonio. Per i leghisti che tanto si impegnano ad organizzare convegno omofobi, Gesù non sarebbe stato altro che un extracomunitario da ritenere colpevole del reato di clandestinità qualora avesse osato mettere piede in Italia. Ma ovviamente tutto ciò non importa a chi vuole usare Dio per tutelare i propri interessi, in una guerra all’umanità in cui l’amore viene additato come il nemico da abbattere.
Eppure è la Bibbia stessa a ricordarci che «nell’amore non c’è timore» (I Giovanni 4, 18) o che «chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre» (I Giovanni 2,9). Ma soprattutto ci ricorda come il volersi alla tradizione sia un errore imperdonabile: «le cose vecchie sono passate: ecco ne sono nate di nuove» ci viene ricordato nella seconda lettera ai Corinzi.

un vescovo di cui vergognarsi!

 

 

 

 

il vescovo ‘ciellino’ di Ferrara: “il ’68 origine di tutti i mali”

sull’esorcismo: “è carità verso i fratelli posseduti, che portano nel volto i segni di questa nuova lebbra

negriil ’68? L’origine di tutti i mali. Il vescovo di Ferrara Luigi Negri mette una pietra tombale sul movimento che cercò di diffondere nel mondo le istanze di pacifismo, antirazzismo, onestà nella politica, pari diritti per donne e minoranze. Il movimento che protestò contro la guerra in Vietnam, la mancanza di libertà del regime sovietico con la Primavera di Praga, che voleva l’istruzione per i ceti meno abbienti e lottò contro l’oppressione sociale.

La critica all’anno delle contestazioni arriva nel corso di un intervento di Negri al X Corso internazionale sul ministero dell’esorcismo e la preghiera di liberazione organizzato dall’Istituto Sacerdos dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione con il Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa (Gris).

Di fronte agli oltre 150 partecipanti, venuti ad ascoltare il dibattito su esorcismo, pericoli delle sette, magia, occultismo e satanismo, sono intervenuti tra gli altri, Matteo Borrini, professore di antropologia forense, mons. Davide Salvatori, che introdurrà gli aspetti canonici e i padri Pedro Barrajón e Cesar Truqui.

Nella sua lezione il vescovo ha parlato della mancanza di regole che spesso guida fuori strada i giovani. “Nel ’68, che è all’origine di tutti i mali per i nostri giovani – riporta l’agenzia Adnkronos -, si diceva ‘vietato vietare’: i rischi per i ragazzi, oggi arrivano proprio da qui, da questo permissivismo totale per cui fare quel che pare e piace è l’unica regola”. “Vivere in una dimensione di immoralismo – continua il prelato- in cui non c’è più bene o male, può rendere più debole di fronte alle tentazioni del diavolo: ad esempio, se tu dici che con la donna puoi fare tutto quello che vuoi, che non c’è più niente di male, diventi più vulnerabile alle sollecitazioni”. Una “crisi etica dilagante” di fronte alla quale mons. Negri vede utile avere più esorcisti, ma soprattutto “figure che aiutino a fare un cammino”.

Il vescovo ha proseguito parlando del male, che “non è un problema metafisico – si legge su Avvenire -, ma una sfida all’intelligenza, alla sensibilità, alla capacità di costruire e di amare dell’uomo”. Oltre al male, che “esiste e l’uomo ne ha una rovinosa complicità perché lo persegue come se fosse la strada verso il bene”, Negri mette in guardia anche dal demonio, che “nella sua articolata presenza, interviene nella vita degli uomini e attacca perché la fede diminuisca, scompaia”. Quanto ai “fratelli posseduti”, “la carità verso di loro, che portano nel volto i segni di questa nuova lebbra, si esprime nell’esorcismo”, praticato da quei sacerdoti che sono “un avamposto dell’amore di Dio per gli uomini di oggi”.

 

 

il vescovo: “Migranti pericolosi? anch’io diventerei cattivo se vivessi come loro”

 

 

 

Mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presidente della commissione CEI per le migrazioni, così in un intervento a “Stanze Vaticane – Tgcom24” :

“Migranti pericolosi? Anch’io diventerei cattivo se vivessi come loro”

 

mons. Montenegro

 

 

 

 

 

 

Mons. Montenegro, stiamo vivendo in alcuni quartieri di Roma giornate di protesta contro gli immigrati. E’ giusto protestare per questi motivi?
“Io spero che non sia un qualcosa che nasconde in realtà dei problemi politici. Io credo che a Roma qualcuno ce l’abbia col sindaco Marino e ogni occasione diventa allora una buccia di banana per far scivolare lui. Una lettura onesta, non di parte, probabilmente sposterebbe un po’ l’obiettivo”.
Anche la Lega Nord è scesa in piazza a Roma insieme ai residenti contro gli immigrati… 

“Fa comodo, è una carta vincente per alcuni politici. Per loro ad esempio è importante per adesso cavalcare la storia dell’immigrazione. Ma questa è una battaglia tra poveri. Perché quelli della Lega o altri politici non dicono ‘andatevene’ anche ai calciatori di colore che scendono in campo? Alcuni tifosi protestano ma molti battono le mani se giocano bene. E perché non diciamo ‘andatevene tutti’? Con questa logica dovremmo mandare via ad esempio tutte le badanti che tengono i nostri bambini. Ma va a finire che il giocatore famoso rimane, per l’attore nero si va a pagare il biglietto per vedere il suo spettacolo, la badante rimane a casa perché si prende cura di mio padre e di mia madre che non sopporto più. Il nostro modo di vedere le cose distorce quello che è il quadro reale…”.

Ci sono stati scontri nei giorni scorsi tra rifugiati e residenti di Tor Sapienza che hanno attaccato il centro di accoglienza. I migranti ospiti della struttura sarebbero autori di furti, danneggiamenti, schiamazzi notturni, ecc…

 
“Si pensi a questi rifugiati, che devono stare nei centri in tutta Italia mesi e mesi, alcuni anche anni, prima di avere una risposta. Se io ad esempio fossi un migrante di 20/30 anni, che deve stare tutta la giornata senza far niente ad aspettare una risposta sul proprio futuro, dopo alcuni giorni m’incattivirei anche io!  Sono dei ‘ragazzoni’ che con i nostri ragazzi avrebbero voglia di fare qualcosa e non gli è permesso. In compenso sono costretti a stare dentro un centro d’accoglienza senza far niente per mesi, a guardare la strada e il cielo. E pretendiamo pure che diventino lindi e pinti? Questa sarebbe l’accoglienza?”.

E’ giusto che il Governo dia la social-card anche agli immigrati regolari?

“Quello dei migranti ormai viene chiamato ‘il sesto continente’ considerato il numero di persone che ne fa parte. Si vuol vivere senza tener conto di questa realtà? La social-card sono 40 euro al mese giusto perché si possa mangiare. E non è nemmeno un’invenzione di adesso ma di diversi anni fa. E ricordiamo che in Italia non arrivano solo morti di fame: vengono anche laureati e diplomati, ci sono ingegneri, medici, alcuni si sono messi in viaggio per salvarsi la pelle. E hanno delle professionalità che quando si permette loro di metterle in atto riescono a produrre e a dare qualcosa. Ci sono molti esempi nel nord Italia dove tanti immigrati riescono a realizzare cose dalle quali anche noi abbiamo da imparare”.

Il Papa qualche giorno fa parlando di emigrazione ha detto: “Non va vista come un problema da affrontare e risolvere, ma come un richiamo alla necessità di sradicare le ineguaglianze, le ingiustizie e le sopraffazioni”. E’ d’accordo?

“Ma certo! La migrazione è anche la possibilità di speranza. Quando due popoli s’incontrano, anche se uno è più ricco e l’altro è più povero, tutti e due mettono in comune ciò che è ricchezza per entrambi. Forse con queste migrazioni è montata l’idea dell’unica civiltà; ora però ci sono tante civiltà che si incontrano e bisogna tenerne conto. Integrazione è questa capacità di camminare verso il nuovo, di pensare a un nuovo modo di essere. Mentre prima eravamo chiusi in compartimento stagni, ora ci ritroviamo con altri che vengono a portarci le loro ricchezze e apprendere tutto ciò di buono che noi abbiamo e mettiamo a disposizione per loro”.

Ha avuto modo di parlare con il Papa?

L’ho salutato per qualche minuto come hanno fatto tutti gli altri partecipanti all’udienza per il settimo Congresso Mondiale  della Pastorale dei Migranti. Mi ha riconosciuto come Arcivescovo di Agrigento e quindi gli ho chiesto una benedizione speciale per la Diocesi e per la città…

A proposito di Agrigento e Lampedusa, oggi viviamo anche il rischio che tra i migranti che arrivano sui barconi dal nord Africa ci siano anche infiltrati dell’ISIS…
Questo è possibile, il mondo è sempre un miscuglio di bene e di male. Bisogna esser capaci di fare dei buoni controlli e di saper filtrare. Quando son partiti i nostri migranti italiani verso l’America o altri Paesi, noi abbiamo esportato i mafiosi. E’ stato un rischio anche allora. Non possiamo vivere come se fossimo in una bolla di sapone come dice Papa Francesco. Forse dovremmo essere meno colonizzatori e cercare di investire in quelle terre pensando anche al bene di quella gente e non soltanto ai nostri interessi. Perché se oggi c’è migrazione, il male non è la migrazione, la migrazione è solo un sintomo, il male più grande è l’ingiustizia. I migranti denunciano un’ingiustizia che esiste. Non possiamo pensare che tutto si risolva accomodando sempre le cose”.

Intanto “Mare Nostrum” è stato sostituito dall’operazione europea “Triton”. E’ stata una buona mossa?

“Bisogna vedere com’è impostato Triton. Il rischio è che vogliano fare muro per difendersi. Ma che futuro c’è se ci si difende e non ci si siede a mensa tutti quanti? Non credo che salveremo l’umanità alzando muri! Ormai l’umanità sta prendendo una velocità diversa. Purtroppo il cuore dell’Europa è la finanza, non l’uomo. Se si parla di soldi forse ci intendiamo, se si parla di uomini c’intendiamo un po’ meno. La Germania sta portando avanti una politica molto più intelligente dell’Italia perché la gente emigra ed invecchia e loro accolgono migranti che possano coprire quei vuoti che ci saranno in futuro. Cosa che noi non stiamo facendo”.

Che tipo di politica servirebbe quindi?

“Serve una politica che diventi accoglienza, che diventi possibilità di spostamenti, che non crei paura, che permetta a tutti di vivere, anche perché la Costituzione dice che ogni uomo che rischia di restare senza patria ha il diritto di essere accolto. E’ la Costituzione che ce lo chiede”.

E la Chiesa che ruolo deve avere?

“La Chiesa non può non schierarsi se non dalla parte dei poveri. E quindi per il problema degli immigrati, perché ogni uomo, per noi credenti, ha la stessa dignità. Se vogliamo girarci dalla parte di Dio dobbiamo farlo anche dalla parte dei poveri e quindi in questo caso anche dei migranti”.

(intervista rilasciata a Fabio MRagona)

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