la via crucis contro la chiusura ai migranti e contro la donna ‘usa e getta’

Via Crucis

suor Bonetti

Mediterraneo tomba d’acqua mentre i governi discutono


Luca Liverani 
Le meditazioni della Passione scritte dalla religiosa che da anni salva dal marciapiede le ragazze costrette a prostituirsi. «Nelle vittime di tratta Gesù crocifisso di nuovo sulla strada»

Foto archivio Ansa

«Porterò nella Via Crucis al Colosseo la sofferenza e la Passione di tante donne. Tante minorenni senza volto e senza speranze, donne usa e getta».

Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, da vent’anni lotta per liberare tante donne dalla schiavitù dello sfruttamento sessuale. Ed è a lei che il Papa, tramite il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, ha chiesto di scrivere le meditazioni della Via Crucis che viene guidata come ogni anno dal Papa davanti al Colosseo. «Cristo muore ancora sulle nostre strade, ma per fortuna ci sono anche tante Veroniche che ne asciugano le lacrime, tante Marie che le sostengono nelle loro sofferenze», ha detto la religiosa, incontrando gli operatori dei media nella Sala Stampa della santa Sede.

Suor Bonetti

Suor Bonetti

Suor Eugenia racconta sorridendo di quando il cardinale Ravasi all’inizio di marzo le ha chiesto di scrivere le meditazioni: «Mi ha lasciato di stucco, non avevo idea di cosa scrivere. Mi ha detto: «Le do tempo per dirmi di sì, ma non mi dica di no». Dopo 24 anni in Kenya, suor Eugenia viene mandata a Torino in un centro di ascolto per stranieri. Ed è un incarico in cui inizialmente si trova a disagio.

«Lì non ci volevo stare – racconta la missionaria – chiedevo di tornare in Africa, non conoscevo nulla del problema, mi facevano rabbia quelle “statuette” di ebano per strada, che avevo lasciate in Africa piene di vita. Poi, un giorno, ho capito».

È Maria, una ragazza africana che le chiede aiuto per un problema di salute ad aprile gli occhi. Non c’era tempo per un conversazione nel centro d’ascolto, suor Eugenia deve andare a messa e invita la ragazza ad accompagnarla. La passeggiata sotto la pioggia per le vie di Torino non passa inosservata: sotto lo stesso ombrello una suora e una prostituta. «L’avevo etichettata, per me non era una persona, era solo una prostituta. In chiesa mi siedo davanti, la ragazza si mette più dietro e la sento piangere. Ho rivisto la scena del Vangelo di quello che dice “io non sono come lui”… Lei è uscita perdonata, io sono uscita stravolta. La notte non ho dormito: il Signore mi stava dicendo che doveva essere quello il mio nuovo compito. Avrei aiutato queste donne. Mi hanno raccontato l’orrore e la paura, quante lacrime ho asciugato!». Da allora lavora ogni giorno per «spezzare le catene che imprigionano queste donne: mai più schiave».

LE MEDITAZIONI

(a cura di Tiziana Campisi, da Vatican News)

La Via Crucis, la religiosa presidente dell’Associazione “Slaves no more”, l’ha voluta idealmente percorrere “insieme a tutti i poveri, agli esclusi dalla società e ai nuovi crocifissi della storia di oggi, vittime delle nostre chiusure, dei poteri e delle legislazioni, della cecità e dell’egoismo, ma soprattutto del nostro cuore indurito dall’indifferenza”.

Tra loro anche le 26 giovani nigeriane i cui funerali sono stati celebrati a Salerno, e la loro connazionale Favour, di 9 mesi, che ha perso i genitori in mare.

La piccola Favour

la piccola Favour

Nella prima stazione, la figura di Pilato ha ispirato la preghiera “per coloro che ricoprono ruoli di responsabilità, perché ascoltino il grido dei poveri” e “di tutte quelle giovani vite, che in modi diversi, sono condannate a morte dall’indifferenza generata da politiche esclusive ed egoiste”. In Gesù che prende la croce, c’è invece l’invito a riconoscere “i nuovi crocifissi di oggi: i senza fissa dimora, i giovani senza speranza, senza lavoro e senza prospettive, gli immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostra società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite”. Ma il pensiero va anche ai bambini “discriminati a causa della loro provenienza, del colore della loro pelle o del loro ceto sociale”. Di fronte a tutto ciò l’esempio da seguire è quello di Cristo che parlava di servizio, perdono, rinuncia e sofferenza, manifestando con la sua vita “l’amore vero e disinteressato verso il prossimo”.

Nelle tappe di Gesù verso il Calvario, suor Eugenia Bonetti riconosce diversi episodi di cui è stata testimone; nell’incontro con Maria intravede le “troppe mamme che hanno lasciato partire le loro giovani figlie verso l’Europa nella speranza di aiutare le loro famiglie in povertà estrema, mentre hanno trovato umiliazioni, disprezzo e a volte anche la morte”; in Gesù che cade per la prima volta, fragilità e debolezza umana sono spunto per ricordare i samaritani di oggi che si chinano “con amore e compassione sulle tante ferite fisiche e morali di chi ogni notte vive la paura del buio, della solitudine e dell’indifferenza”. “Purtroppo molte volte oggi non sappiamo più scorgere chi è nel bisogno, vedere chi è ferito e umiliato – scrive la religiosa della Consolata –. Spesso rivendichiamo i nostri diritti e interessi, ma dimentichiamo quelli dei poveri e degli ultimi della fila”. È allora che c’è da chiedere a Dio di aiutarci ad amare e a non essere insensibili al pianto, alle sofferenze e al grido di dolore altrui.

E come non vedere nella Via Crucis i tanti “bambini, in varie parti del mondo, che non possono andare a scuola”, “sfruttati nelle miniere, nei campi, nella pesca, venduti e comperati da trafficanti di carne umana, per trapianti di organi, nonché usati e sfruttati … da molti, cristiani compresi”. Sono i minori “privati del diritto a un’infanzia felice”, “creature usate come merce di poco valore, vendute e comperate a piacimento”. Ma al centro delle meditazioni di suor Eugenia Bonetti, che da anni si batte contro il traffico di esseri umani, ci sono i migranti e le vittime della tratta. Il richiamo a “crescere nella consapevolezza che tutti siamo responsabili del problema” e che “tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione” si legge nell’ottava stazione, “Gesù incontra le donne”. E soprattutto alle donne “è richiesta la sfida del coraggio”, “di saper vedere e agire”, di considerare “il povero, lo straniero, il diverso non … come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare”.

Nella nona stazione, a Gesù che cade la terza volta, “sfinito e umiliato sotto il peso della croce”, vengono accostate le “tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni”. Sono il frutto della cultura usa e getta. A ridestarcene è la scomoda domanda di Dio – “Dov’è tuo fratello? Dov’è tua sorella?” – che deve “aiutare a condividere la sofferenza e l’umiliazione di tante persone trattate come scarto”.Denaro, benessere e potere gli idoli di ogni tempo

L’immagine del corpo spogliato di Cristo, paragonabile a quello dei minorenni, oggetto di compravendite, lascia riflettere sugli idoli di ogni tempo: denaro, benessere e potere che hanno reso tutto acquistabile. È venuta meno “la centralità dell’essere umano, la sua dignità, bellezza, forza”. Ma c’è chi ancora rischia la propria vita per salvarne altre, soprattutto nel Mediterraneo, dove in tanti hanno aiutato “famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità”, “esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù”; tutte persone di cui bisogna riscoprire la bellezza e ricchezza, “dono unico e irripetibile” di Dio “da mettere a servizio della società intera e non per raggiungere interessi personali”.

L’ultima stazione, che conduce al sepolcro di Gesù, infine, fa pensare ai “nuovi cimiteri di oggi”: il deserto e i mari, dove oggi trovano dimora eterna “uomini, donne, bambini che non abbiamo potuto o voluto salvare”. “Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere – scrive suor Eugenia Bonetti – il Sahara si riempie di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete” e il mare si è trasformato in una “tomba d’acqua”. E allora l’auspicio è che la morte di Cristo possa “donare ai capi delle Nazioni e ai responsabili delle legislazioni la consapevolezza del loro ruolo a difesa di ogni persona” creata a immagine e somiglianza di Dio, e che la sua resurrezione “sia faro di speranza, di gioia, di vita nuova, di fratellanza, di accoglienza e di comunione tra i popoli, le religioni e le leggi”.

una ‘via crucis’, quella di quest’anno, evangelicamente davvero ‘pericolosa’

la ‘via crucis’ dei porti chiusi

per la prima volta la più importante celebrazione liturgica è dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi

un preciso segnale politico a Salvini

Pope Francis asperses holy water as he celebrates Palm Sunday Mass in St. Peter's Square at the Vatican, Sunday, April 14, 2019. The Roman Catholic Church enters Holy Week, retracing the story of the crucifixion of Jesus and his resurrection three days later on Easter Sunday. (AP Photo/Gregorio Borgia)

papa Francesco come un nuovo Mosè alza la Croce davanti ai Faraoni del mondo per aprire il Mar rosso a un nuovo popolo eletto, quello degli ultimi, quello dei migranti

Dal 2013, dal primo viaggio a Lampedusa, sono innumerevoli gli interventi papali sul dramma di chi muore nel Mediterraneo e chi cerca di fuggire oltre i muri che numerosi si stanno alzando in Europa e nelle Americhe

nel ’68 si gridava “il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”

Ma non era mai accaduto che un’intera celebrazione liturgica, per di più al centro del Triduo della Settimana Santa, i giorni più importanti della fede cristiana, fosse dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi. Questo accadrà durante la tradizionale via Crucis del Colosseo, quando verranno lette le meditazioni di Suor Eugenia, “una giovane ottantenne” (come l’ha definita il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana, Alessandro Gisotti). Un vero e proprio j’accuse alle “politiche esclusive ed egoiste” che erigono muri e vedono nel diverso “un nemico da respingere o da combattere”, la denuncia dei “troppi calvari sparsi per il mondo, tra cui i campi di raccolta simili a lager nei Paesi di transito, le navi a cui viene rifiutato un porto sicuro, le lunghe trattative burocratiche per la destinazione finale, i centri di permanenza, gli hot spot, i campi per lavoratori stagionali”: una Via Crucis che denuncia senza mezzi termini la situazione degli “spaventosi centri di raccolta in Libia”. Durante la Via Crucis saranno lette le storie delle prostitute che dall’Africa giungono in Italia. “Racconti brevi”, che aiuteranno a far capire perché “occorre gridare con forza ‘Mai più schiave!’. Perché – ha aggiunto Suor Eugenia durante una presentazione in Sala Stampa vaticana – non è possibile che nel 2019 vi siano milioni e milioni di donne che ancora crocifiggiamo per il nostro consumo”.

Nel ’68 si gridava “Il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”. Non è ricorrenza cerimonialistica, così ha detto qualche giorno fa Francesco. Sono gli ultimi ad essere la “carne di Cristo”.

Francesco proclama che la “fede è politica” e lo fa con tutta la forza (anche mediatica) di cui dispone, nel momento centrale del”passaggio” della Pasqua (solennità con cui gli ebrei celebrano la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e i cristiani quello dalla schiavitù del peccato e della morte ad una vita nuova).

Le elezioni europee di fine maggio incombono, l’Europa nata anche dalla visione “cattolica” dei padri fondatori (molti non sanno che le dodici stelle della bandiera sono state scelte come omaggio alla corona della Madonna, la “Notre Dame”) potrebbe soccombere davanti alla possibile vittoria populisti e sovranisti.

E così Francesco e la sua Chiesa scendono in campo contro una politica giudicata incompatibile, quella “dei porti chiusi” di cui si è fatto araldo innanzitutto il vicepremier italiano Matteo Salvini.

Qualcosa di simile, ma meno eclatante, era già avvenuto nel 2016 per le presidenziali americane, quando quindici giorni prima del voto il nunzio apostolico di recò alla barriera al confine con il Messico a celebrare la Messa e alla candidata democratica Clinton fu “permesso” di usare nel suo discorso conclusivo la celebre frase di cui Francesco ha il copyright, “Costruire ponti e non muri”. Vinse Trump.

E naturalmente ciò sollevò e solleverà molte polemiche. “E’ questo quello che deve fare un Papa?”

Per una coincidenza oggi nella classifica delle cento persone più influenti al mondo stilata dalla rivista “Time”, c’è il leader del Carroccio (addirittura in copertina) insieme al presidente americano Donald Trump e Papa Francesco. A descrivere Salvini per il “Time” è stato Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca. “Salvini è ora uno dei politici di cui si parla in Europa, ed entro la fine di maggio, dopo le elezioni europee, potrebbe essere anche il piu’ potente”, ha scritto Bannon.

Qualche giorno fa il Guardian ha rivelato che fu proprio Steve Bannon che consigliò a Matteo Salvini di attaccare il Papa sulla questione immigrazione. Il “suggerimento” sarebbe stato fatto durante un incontro a Washington nell’aprile del 2016, pochi mesi prima che Bannon assumesse il ruolo di capo della campagna di Trump. La Lega, questo il consiglio di Bannon secondo la ricostruzione, avrebbe dovuto iniziare a prendere di mira Bergoglio, che dell’immigrazione ha fatto uno dei pilastri del suo papato.

“Bannon disse a Salvini che il Papa è una specie di nemico. Suggerì di attaccarlo frontalmente”. La Lega e l’entourage di Salvini hanno smentito con decisione che ciò sia avvenuto. Ma iniziò allora l’utilizzo da parte di Salvini di una maglietta significativa “Il mio papa è Benedetto” (alludendo a Benedetto XVI).

Chi tra Francesco e Salvini, conquisterà il cuore degli italiani e dell’Europa?

Il presidente Trump sa che il “brand” mondiale di Francesco è molto forte e oggi ha chiamato il Papa per esprimergli vicinanza per l’incendio che ha aggredito la cattedrale di Parigi, “la Signora”, una signora che ha resistito al fuoco, la “Notre Dame”, cuore simbolico dell’Europa cristiana, ben più che la Basilica di San Pietro

i testi della ‘via crucis’ della pasqua 2018 al Colosseo

VENERDÌ SANTO
PASSIONE DEL SIGNORE

VIA CRUCIS
PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE
FRANCESCO

COLOSSEO
ROMA, 30 MARZO 2018

INTRODUZIONE

I testi delle meditazioni sulle quattordici stazioni del rito della Via Crucis di quest’anno sono stati scritti da quindici giovani, di un’età compresa tra i 16 e i 27 anni. Due, quindi, sono le principali novità: la prima non ha riscontri nelle edizioni del passato e riguarda l’età degli autori, giovani e adolescenti (nove di essi sono studenti del liceo di Roma Pilo Albertelli); la seconda consiste nella dimensione “corale” di questo lavoro, sinfonia di tante voci con tonalità e timbri diversi. Non esistono “i giovani”, ma Valerio, Maria, Margherita, Francesco, Chiara, Greta…

Con l’entusiasmo tipico della loro età hanno accettato la sfida che è stata proposta dal Papa all’interno di questo anno 2018, dedicato in generale alle giovani generazioni. Lo hanno fatto con un preciso metodo operativo. Si sono riuniti intorno a un tavolo e hanno letto i testi della Passione di Cristo secondo i quattro Vangeli. Si sono messi, pertanto, davanti alla scena della Via Crucis e l’hanno “vista”. Dopo la lettura, rispettando il tempo necessario, ognuno dei ragazzi si è espresso dicendo quale particolare della scena lo avesse colpito. E così è stato più semplice e naturale assegnare le singole stazioni.

Tre parole chiave, tre verbi, segnano lo sviluppo di questi testi: innanzitutto, come si è già accennato, vedere, poi incontrare, infine pregare.

Quando si è giovani si vuole vedere, vedere il mondo, vedere tutto. La scena del Venerdì Santo è potente, anche nella sua atrocità: vederla può spingere alla repulsione oppure alla misericordia e, quindi, ad andare incontro. Proprio come fa Gesù nel Vangelo, tutti i giorni, anche questo giorno, l’ultimo. Egli incontra Pilato, Erode, i sacerdoti, le guardie, sua madre, il Cireneo, le donne di Gerusalemme, i due ladroni suoi ultimi compagni di strada. Quando si è giovani ogni giorno si ha l’occasione di incontrare qualcuno, e ogni incontro è nuovo, sorprendente. Si invecchia quando non si vuole più vedere nessuno, quando la paura che rinchiude vince sull’apertura fiduciosa: paura di cambiare, perché incontrare vuol dire cambiare, essere pronti a rimettersi in cammino con occhi nuovi. Vedere e incontrare spinge, infine, a pregare perché la vista e l’incontro generano la misericordia, anche in un mondo che sembra sprovvisto di pietà e in un giorno come questo, abbandonato all’ira insensata, alla viltà e alla pigrizia distratta degli uomini. Ma se seguiamo Gesù con il cuore, anche attraverso il misterioso cammino della Croce. Allora possono rinascere il coraggio e la fiducia e, dopo aver visto ed essersi aperti all’incontro, sperimenteremo la grazia del pregare, non più da soli, ma insieme.

MEDITAZIONI E PREGHIERE

redatte da

I Valerio De Felice
II Maria Tagliaferri e Margherita Di Marco
III Caterina Benincasa
IV Agnese Brunetti
V Chiara Mancini
VI Cecilia Nardini
VII Francesco Porceddu
VIII Sofia Russo
IX Chiara Bartolucci
X Greta Giglio
XI Greta Sandri
XII Dante Monda
XIII Flavia De Angelis
XIV Marta Croppo

coordinati dal professore
Andrea Monda


 

VIA CRUCIS

I stazione
Gesù è condannato a morte

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 22-25)

Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

Ti vedo, Gesù, di fronte al Governatore, che per tre volte tenta di contrastare la volontà del popolo e infine sceglie di non scegliere, di fronte alla folla, che per tre volte viene interrogata e sempre decide contro di te. La folla, cioè tutti, cioè nessuno. Nascosto nella massa l’uomo smarrisce la propria personalità, è la voce di altre mille voci. Prima di rinnegare te, rinnega se stesso, disperdendo la propria responsabilità in quella fluttuante della moltitudine senza volto. Eppure è responsabile. Sviato dai sobillatori, dal Male che si propaga con voce subdola e assordante, è l’uomo a condannarti.

Oggi noi inorridiamo di fronte a una tale ingiustizia, e vorremmo prenderne distanza. Ma così facendo dimentichiamo tutte le volte in cui noi per primi abbiamo scelto di salvare Barabba anziché te. Quando il nostro orecchio è stato sordo alla chiamata del Bene, quando abbiamo preferito non vedere l’ingiustizia davanti a noi.

In quella piazza gremita, sarebbe stato sufficiente che un solo cuore dubitasse, che una sola voce si alzasse contro le mille voci del Male. Ogni volta che la vita ci porrà davanti a una scelta, ricordiamoci di quella piazza e di quell’errore. Concediamo ai nostri cuori di dubitare e imponiamo alla nostra voce di levarsi.

Ti prego, Signore, veglia sulle nostre scelte,
rischiarale della tua Luce,
coltiva in noi la capacità di interrogarci:
solo il Male non dubita mai.
Gli alberi che affondano radici nel terreno,
se innaffiati dal Male, avvizziscono,
ma tu hai posto le nostre radici in Cielo
e le fronde sulla terra per riconoscerti e seguirti.

Pater noster…

II stazione
Gesù è caricato della croce

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8, 34-35)

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, [Gesù] disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Ti vedo, Gesù, coronato di spine, mentre accogli la tua croce. La accogli, come sempre hai accolto tutto e tutti. Ti caricano del legno, pesante, ruvido, ma tu non ti ribelli, non butti via quello strumento di tortura ingiusto e ignobile. Lo prendi su di te e cominci a camminare portandolo sulle spalle. Quante volte mi sono ribellata e arrabbiata contro gli incarichi che ho ricevuto, che ho avvertito come pesanti o ingiusti. Tu non fai così. Sei solo di qualche anno più grande di me, oggi si direbbe che sei ancora giovane, ma sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre, ogni occasione che ti si presenta, come se volessi andare fino in fondo alle cose e scoprire che c’è sempre qualcosa di più di quello che appare, un significato nascosto e sorprendente. Grazie a te comprendo che questa è croce di salvezza e di liberazione, croce di sostegno nell’inciampo, giogo leggero, fardello che non grava.

Dallo scandalo della morte del Figlio di Dio, morte da peccatore, morte da malfattore, nasce la grazia di riscoprire nel dolore la resurrezione, nella sofferenza la tua gloria, nell’angoscia la tua salvezza. La stessa croce, simbolo per l’uomo di umiliazione e dolore, si rivela ora, per grazia del tuo sacrificio, come una promessa: da ogni morte risorgerà la vita e in ogni buio risplenderà la luce. E possiamo esclamare: “Ave o croce, unica speranza!”.

Ti prego, Signore, fa’ che alla luce della Croce, simbolo della nostra fede,
possiamo accettare le nostre sofferenze e, illuminati dal tuo amore,
abbracciare le nostre croci, rese gloriose dalla tua morte e risurrezione.
Donaci la grazia di guardare alle nostre storie
e di riscoprire in esse il tuo amore per noi.

Pater noster…

III stazione
Gesù cade per la prima volta

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 4)

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.

Ti vedo, Gesù, sofferente mentre percorri la via verso il Calvario, carico del nostro peccato. E ti vedo cadere, con le mani e le ginocchia a terra, dolorante. Con quanta umiltà sei caduto! Quanta umiliazione provi ora! La tua natura di vero uomo si vede chiaramente in questo frammento della tua vita. La croce che porti è pesante; avresti bisogno di aiuto, ma quando cadi a terra nessuno ti soccorre, anzi, gli uomini si prendono gioco di te, ridono di fronte all’immagine di un Dio che cade. Forse sono delusi, forse si sono fatti un’idea sbagliata di te. A volte pensiamo che avere fede in te significhi non cadere mai nella vita. Insieme a te cado anch’io, e con me le mie idee, quelle che avevo su di te: quanto erano fragili!

Ti vedo, Gesù, che stringi i denti e, completamente abbandonato all’amore del Padre, ti rialzi e riprendi il tuo cammino. Con questi primi passi verso la croce, così titubanti, Gesù, mi ricordi un bambino che muove i primi passi verso la vita e perde l’equilibrio e cade e piange, ma poi continua. Si affida alle mani dei genitori e non si ferma; ha paura ma va avanti, perché alla paura sopravviene la fiducia.

Con il tuo coraggio ci insegni che i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino e che abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci con te.

Ti prego, Signore, risveglia in noi giovani
il coraggio di rialzarci dopo ogni caduta
proprio come hai fatto tu sulla via del Calvario.
Ti prego, fa’ che sappiamo sempre apprezzare
il dono grandissimo e prezioso della vita
e che i fallimenti e le cadute
non siano mai un motivo per buttarla via,
consapevoli che se ci fidiamo di te,
possiamo rialzarci
e trovare la forza di andare avanti,
sempre.

Pater noster…

IV stazione
Gesù incontra sua madre

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 34-35)

Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

Ti vedo, Gesù, quando incontri tua madre. Maria è lì, cammina per la strada affollata, ci sono molte persone accanto a lei. L’unica cosa che la distingue dagli altri è il fatto che lei è lì per accompagnare suo figlio. Una situazione che si verifica quotidianamente: le mamme accompagnano i figli a scuola, o dal medico, o li portano con sé al lavoro. Maria però si distingue dalle altre mamme: lei sta accompagnando suo figlio a morire. Vedere il proprio figlio morire è la sorte peggiore che si possa augurare ad una persona, la più innaturale; ancora più atroce se il figlio, innocente, sta morendo per mano della giustizia. Che scena innaturale e ingiusta davanti ai miei occhi! Mia madre mi ha educato al senso della giustizia e ad avere fiducia nella vita, ma quello che oggi i miei occhi vedono non ha nulla di questo, è privo di senso, ed è pieno di dolore.

Ti vedo, Maria, mentre guardi il tuo povero ragazzo: ha i segni della flagellazione sulla schiena ed è costretto a sopportare il peso della croce, probabilmente presto cadrà sotto di essa per la fatica. Eppure sapevi che, prima o poi, sarebbe successo, ti era stato profetizzato, ma ora che è accaduto è tutto diverso; ed è sempre così, siamo sempre impreparati di fronte alla vita, alla sua crudezza. Maria, ora sei triste, come lo sarebbe qualunque donna al tuo posto, ma non sei disperata. I tuoi occhi non sono spenti, non guardano nel vuoto, tu non cammini a testa bassa. Sei splendente anche nella tua tristezza, perché hai speranza, sai che quello di tuo figlio non sarà un viaggio di sola andata e sai, lo senti, come solo le mamme lo sentono, che lo rivedrai presto.

Ti prego, Signore: aiutaci
a tenere sempre presente l’esempio di Maria,
che ha accettato la morte di suo figlio
come mistero grande di salvezza.
Aiutaci ad agire con lo sguardo orientato al bene degli altri
e a morire nella speranza della risurrezione
e con la consapevolezza di non essere mai soli,
né abbandonati da Dio, né da Maria,
madre buona che ha sempre a cuore i suoi figli.

Pater noster…

V stazione
Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 26)

 

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.

Ti vedo, Gesù, schiacciato sotto il peso della croce. Vedo che non ce la fai da solo; proprio nel momento dello sforzo maggiore, sei rimasto solo, non ci sono quelli che si dicevano tuoi amici: Giuda ti ha tradito, Pietro ti ha rinnegato, gli altri abbandonato. Ma ecco un incontro improvviso, un tale, un uomo qualunque, che forse di te aveva sentito parlare eppure non ti aveva seguito, e invece ora è qui, al tuo fianco, spalla a spalla, a condividere il tuo giogo. Si chiama Simone ed è uno straniero che viene da lontano, da Cirene. Per lui oggi un imprevisto, che si rivela un incontro.

Sono infiniti gli incontri e gli scontri che viviamo ogni giorno, soprattutto noi ragazzi che entriamo continuamente in contatto con realtà nuove, nuove persone. Ed è nell’incontro inaspettato, nell’incidente, nella sorpresa spiazzante che è nascosta l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso.

Talvolta ci sentiamo come te, Gesù, abbandonati da quanti credevamo nostri amici, sotto un peso che ci schiaccia. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è un Simone di Cirene pronto a prendere la nostra croce. Non dobbiamo dimenticare che non siamo soli, e da questa consapevolezza possiamo trarre la forza per farci carico della croce di chi abbiamo accanto.

Ti vedo, Gesù: ora sembra che provi un po’ di sollievo, riesci per un attimo a respirare, ora che non sei più solo. E vedo Simone: chissà se ha sperimentato che il tuo giogo è leggero, chissà se si rende conto di cosa significa quell’imprevisto nella sua vita.

Signore, ti prego affinché ognuno di noi
possa trovare il coraggio di essere come il Cireneo,
che prende la croce e segue i tuoi passi.
Ognuno di noi sia così umile e forte
da caricarsi della croce di chi incontriamo.
Fa’ che, quando ci sentiamo soli,
possiamo riconoscere sulla nostra strada un Simone di Cirene
che si ferma e si carica del nostro fardello.
Donaci di saper cercare il meglio in ogni persona,
di essere aperti ad ogni incontro anche nella diversità.
Ti prego perché ognuno di noi
possa scoprirsi inaspettatamente al tuo fianco.

Pater noster…

VI stazione
Veronica asciuga il volto di Gesù

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 2-3)

Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

Ti vedo, Gesù, misero, quasi irriconoscibile, trattato come l’ultimo degli uomini. Cammini a stento verso la tua morte con il volto sanguinante e sfigurato, anche se come sempre mite ed umile, rivolto verso l’alto. Una donna si fa spazio tra la folla per scorgere da vicino quel tuo volto che, forse, tante volte aveva parlato alla sua anima e che lei aveva amato. Lo vede sofferente e lo vuole aiutare. Non la fanno passare, sono tanti, troppi, e armati. Ma a lei tutto questo non importa, è determinata a raggiungerti e riesce per un attimo a toccarti, accarezzarti con il suo velo. La sua è la forza della tenerezza. I vostri occhi si incrociano per un attimo, il volto nel volto dell’altro.

Quella donna, Veronica, di cui non sappiamo nulla, non ne conosciamo la storia, si guadagna il Paradiso con un semplice gesto di carità. Ti si avvicina, osserva il tuo volto straziato e lo ama ancor più di prima. Veronica non si ferma all’apparenza, oggi tanto importante nella nostra società delle immagini, ma ama incondizionatamente un volto brutto, non curato, non truccato e imperfetto. Quel volto, il tuo volto, Gesù, proprio nella sua imperfezione mostra la perfezione del tuo amore per noi.

Ti prego, Gesù, dammi la forza
di avvicinarmi alle altre persone, ad ogni persona,
giovane o vecchia, povera o ricca, a me cara o sconosciuta,
e di vedere in quei volti il tuo volto.
Aiutami a non indugiare
nel soccorrere il prossimo, in cui tu dimori,
come Veronica è accorsa da te sulla via del Calvario.

Pater noster…

VII stazione
Gesù cade per la seconda volta

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 8. 10)

Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. […] Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

Ti vedo, Gesù, cadere ancora davanti ai miei occhi. Cadendo ancora mi dimostri di essere un uomo, un vero uomo. E vedo che ti rialzi nuovamente, più deciso di prima. Non ti rialzi con superbia; non c’è orgoglio nel tuo sguardo, c’è amore. E nel proseguire il tuo cammino, rialzandoti dopo ogni caduta, annunci la tua Risurrezione, dimostri di essere pronto a caricare ancora una volta e per sempre, sulle tue spalle sanguinanti, il peso del peccato dell’uomo.

Cadendo ancora ci hai mandato un chiaro messaggio di umiltà, sei caduto a terra, su quell’humus da cui siamo nati noi “umani”. Siamo terra, siamo fango, siamo niente in confronto a te. Ma tu hai voluto diventare come noi, e ora ti mostri vicino a noi, con le stesse nostre fatiche, le stesse nostre debolezze, con lo stesso sudore della nostra fronte. Ora anche tu, in questo venerdì, come capita anche a noi, sei prostrato dal dolore. Ma tu hai la forza di andare avanti, non hai paura delle difficoltà che puoi incontrare, e sai che alla fine della fatica c’è il Paradiso; ti rialzi per dirigerti proprio lì, per aprirci le porte del tuo regno. Uno strano re sei, un re nella polvere.

Sento una vertigine: noi non siamo degni di paragonare le nostre fatiche e le nostre cadute alle tue. Le tue sono un sacrificio, il sacrificio più grande che i miei occhi e tutta la storia potrà mai vedere.

Ti prego, Signore, fa’ che siamo pronti a rialzarci dopo essere caduti,
che possiamo imparare qualcosa dai nostri fallimenti.
Ricordaci che quando tocca a noi di sbagliare e cadere,
se siamo con te e stringiamo la tua mano,
possiamo imparare e a rialzarci.
Fa’ che noi giovani possiamo portare a tutti il tuo messaggio di umiltà
e che le generazioni future aprano gli occhi verso di te
e sappiano comprendere il tuo amore.
Insegnaci ad aiutare chi soffre e cade accanto a noi:
ad asciugare il suo sudore e a tendere la mano per risollevarlo.

Pater noster…

VIII stazione
Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 27-31)

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Ti vedo e ti ascolto, Gesù, mentre parli alle donne che incontri lungo la tua strada verso la morte. In tutte le tue giornate sei passato incontrando tante persone, sei andato incontro e hai parlato con tutti. Ora parli con le donne di Gerusalemme che ti vedono e piangono. Anch’io sono una di quelle donne. Ma tu, Gesù, nel tuo ammonimento usi parole che mi colpiscono, sono parole concrete e dirette; a primo impatto possono apparire dure e severe perché schiette. Oggi, infatti, siamo abituati ad un mondo fatto di giri di parole, una fredda ipocrisia vela e filtra ciò che vogliamo realmente dire; gli ammonimenti si evitano sempre di più, si preferisce lasciare l’altro al proprio destino, non curandosi di sollecitarlo per il suo bene.

Mentre tu, Gesù, parli alle donne come un padre, anche rimproverandole; le tue parole sono parole di verità e arrivano immediate con il solo scopo della correzione, non del giudizio. E’ un linguaggio diverso dal nostro, tu parli sempre con umiltà e arrivi dritto al cuore.

In questo incontro, l’ultimo prima della croce, emerge ancora una volta il tuo amore senza misura verso gli ultimi e gli emarginati; le donne infatti, a quel tempo, non erano considerate degne di essere interpellate, mentre tu, nella tua gentilezza, sei veramente rivoluzionario.

Ti prego, Signore, fa’ che io,
insieme alle donne e agli uomini di questo mondo,
possiamo diventare sempre più caritatevoli
nei confronti dei bisognosi, proprio come facevi tu.
Dacci la forza di andare contro corrente
ed entrare in contatto autentico con gli altri,
gettando ponti ed evitando di chiuderci nell’egoismo
che ci conduce alla solitudine del peccato.

Pater noster…

IX stazione
Gesù cade per la terza volta

Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 5-6)

Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.

Ti vedo, Gesù, mentre cadi per la terza volta. Due volte già sei caduto e due volte ti sei rialzato. Non ci sono più limiti alla fatica e al dolore, ormai sembri definitivamente sconfitto, in questa terza e ultima caduta. Quante volte, nella vita di tutti i giorni, ci capita di cadere! Cadiamo così tante volte che perdiamo il conto, ma speriamo sempre che ogni caduta sia l’ultima, perché ci vuole il coraggio della speranza per affrontare la sofferenza. Quando uno cade tante volte, alla fine le forze crollano e le speranze svaniscono definitivamente.

Mi immagino accanto a te, Gesù, nel percorso che ti sta conducendo alla morte. È difficile pensare che proprio tu sia il Figlio di Dio. Qualcuno ha già provato ad aiutarti ma ormai sei sfinito, sei fermo, paralizzato e sembra che non riuscirai più ad andare avanti. Ma ecco che improvvisamente vedo che ti rialzi, raddrizzi le gambe e la schiena, per quanto sia possibile con una croce sulle spalle, e riprendi a camminare, di nuovo. Sì, stai andando a morire, ma vuoi farlo fino in fondo. Forse questo è l’amore. Ciò che capisco è che non importa quante volte cadremo, ci sarà sempre l’ultima, forse la peggiore, la prova più terribile in cui siamo chiamati a trovare la forza per arrivare alla fine del percorso. Per Gesù la fine è la crocifissione, l’assurdo della morte, ma che rivela un significato più profondo, uno scopo più alto, quello di salvarci tutti.

Ti prego, Signore, donaci ogni giorno
il coraggio per andare avanti nel nostro cammino.
Fa’ che accogliamo fino in fondo
la speranza e l’amore che ci hai donato.
Tutti possano affrontare le sfide della vita
con la forza e la fede con cui tu hai vissuto
gli ultimi momenti nel tuo cammino
verso la morte in croce.

Pater noster…

X stazione
Gesù è spogliato delle vesti

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 23)

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo.

Ti vedo, Gesù, nudo, come non ti ho mai visto. Ti hanno privato delle vesti, Gesù, e se le stanno giocando a dadi. Agli occhi di questi uomini hai perso l’unico brandello di dignità che ti era rimasto, l’unico oggetto che possedevi in questo tuo cammino di sofferenza. All’inizio dei tempi, tuo Padre aveva cucito degli abiti per gli uomini, per rivestirli di dignità; ora, degli uomini te li strappano di dosso. Ti vedo, Gesù, e vedo un giovane migrante, corpo distrutto che arriva in una terra troppo spesso crudele, pronta a togliergli la veste, unico suo bene, e a venderla; a lasciarlo così con la sua sola croce, come la tua, con la sua sola pelle martoriata, come la tua, con i suoi soli occhi grandi di dolore, come i tuoi.

Ma c’è qualcosa che gli uomini spesso dimenticano riguardo alla dignità: essa si trova sotto la tua pelle, è parte di te e sarà sempre con te, e ancor di più in questo momento, in questa nudità.

La stessa nudità con cui veniamo alla luce è quella con cui la terra ci accoglie alla sera della vita. Da una madre all’altra. E ora qui, su questa collina, c’è anche tua madre, che ti vede di nuovo nudo.

Ti vedo e comprendo la grandezza e lo splendore della tua dignità, della dignità di ogni uomo, che nessuno potrà mai cancellare.

Ti prego, Signore, fa’ che tutti noi possiamo riconoscere
la dignità propria della nostra natura,
anche quando ci ritroviamo nudi e soli davanti agli altri.
Fa’ che possiamo sempre vedere la dignità degli altri,
e stimarla, e custodirla.
Ti preghiamo di concederci il coraggio necessario
per capire noi stessi oltre ciò che ci riveste;
e di accettare la nudità che ci appartiene
e ci ricorda la nostra povertà,
di cui tu ti sei innamorato fino a dare la vita per noi.

Pater noster…

XI stazione
Gesù è inchiodato alla croce

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 33-34)

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Ti vedo, Gesù, spogliato di tutto. Hanno voluto punire te, innocente, inchiodandoti al legno della croce. Che cosa avrei fatto io al posto loro, avrei avuto il coraggio di riconoscere la tua, la mia verità? Tu hai avuto la forza di sopportare il peso di una croce, di non essere creduto, di essere condannato per le tue parole scomode. Oggi non riusciamo a digerire una critica, come se ogni parola fosse pronunciata per ferirci.

Tu non ti sei fermato neanche di fronte alla morte, hai creduto profondamente nella tua missione e ti sei fidato di tuo Padre. Oggi, nel mondo di Internet, siamo così condizionati da tutto ciò che circola in rete che a volte dubito anche delle mie parole. Ma le tue parole sono diverse, sono forti nella tua debolezza. Tu ci hai perdonato, non hai portato rancore, hai insegnato a porgere l’altra guancia e sei andato oltre, fino al sacrificio totale della tua persona.

Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili.

Guardo le tue ferite e sono consapevole, ora, che io non avrei avuto la tua forza. Ma sono seduta qui ai tuoi piedi, e mi spoglio anch’io di ogni esitazione, mi alzo da terra per poter essere più vicina a te, anche solo di qualche centimetro.

Ti prego, Signore, fa’ che, di fronte al bene,
io possa avere la prontezza di riconoscerlo;
fa’ che, di fronte a un’ingiustizia, io possa avere
il coraggio di prendere in mano la mia vita e agire diversamente;
fa’ che possa liberarmi da tutte le paure
che come chiodi mi paralizzano e mi tengono lontana
dalla vita che tu hai sperato e preparato per noi.

Pater noster

XII stazione
Gesù muore in croce

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 44-47)

Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto».

Ti vedo, Gesù, e questa volta non ti vorrei vedere. Stai morendo. Eri bello da guardare quando parlavi alle folle, ma ora tutto è finito. E io non voglio vedere la fine; troppe volte ho girato lo sguardo dall’altra parte, mi sono quasi abituato a fuggire il dolore e la morte, mi sono anestetizzato.

Il tuo grido sulla croce è forte, straziante: non eravamo pronti a tanto tormento, non lo siamo, non lo saremo mai. Fuggiamo d’istinto, in preda al panico, di fronte alla morte e alla sofferenza, le rifiutiamo, preferiamo guardare altrove o chiudere gli occhi. Invece tu resti lì in croce, ci aspetti a braccia aperte, aprendoci gli occhi.

È un mistero grande, Gesù: ci ami morendo, essendo abbandonato, donando il tuo spirito, compiendo la volontà del Padre, ritirandoti. Tu resti in croce, e basta. Non provi a spiegare il mistero della morte, del consumarsi di tutte le cose, fai di più: lo attraversi con tutto il tuo corpo e il tuo spirito. Un mistero grande, che continua ad interrogarci e ad inquietarci; ci sfida, ci invita ad aprire gli occhi, a saper vedere il tuo amore anche nella morte, anzi a partire proprio dalla morte. È lì che ci hai amati: nella nostra più vera condizione, ineliminabile e inevitabile. È lì che cogliamo, seppure ancora in modo imperfetto, la tua presenza viva, autentica. Di questo, sempre, avremo sete: della tua vicinanza, del tuo essere Dio con noi.

Ti prego Signore, apri i miei occhi,
che io ti veda anche nelle sofferenze,
nella morte, nella fine che non è la vera fine.
Turba la mia indifferenza con la tua croce, scuoti il mio torpore.
Interrogami sempre con il tuo mistero sconvolgente,
che supera la morte e dona la vita.

Pater noster…

XIII stazione
Gesù è deposto dalla croce

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 38-40)

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura.

Ti vedo, Gesù, ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Quanto hai sofferto! E’ una scena insostenibile, forse proprio perché è intrisa di umanità: è questa la parola chiave, la cifra del tuo cammino, costellato di sofferenza e di fatica. Proprio quell’umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui.

Ti vedo, Gesù: ora non sei più lì, sulla croce; sei tornato da dove sei venuto, adagiato sul grembo della terra, sul grembo di tua madre. Ora la sofferenza è passata, svanita. Questa è l’ora della pietà. Nel tuo corpo senza vita riecheggia la forza con cui hai affrontato la sofferenza; il senso che sei riuscito a darle si riflette negli occhi di chi è ancora lì e ti è rimasto accanto e sempre rimarrà al tuo fianco nell’amore, donato e ricevuto. Si apre per te, per noi, una nuova vita, quella celeste, all’insegna di ciò che resiste e non viene spezzato dalla morte: l’amore. Tu sei qui, con noi, in ogni istante, in ogni passo, in ogni incertezza, in ogni ombra. Mentre l’ombra del sepolcro si allunga sul tuo corpo disteso tra le braccia di tua madre, io ti vedo e ho paura ma non dispero, ho fiducia che la luce, la tua luce, tornerà a risplendere.

Ti prego, Signore,
fa’ che in noi sia sempre viva la speranza,
la fede nel tuo incondizionato amore.
Fa’ che possiamo mantenere sempre vivo e acceso
lo sguardo verso la salvezza eterna,
e che riusciamo a trovare ristoro e pace nel nostro cammino.

Pater noster…

XIV stazione
Gesù è collocato nel sepolcro

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 41-42)

Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Non ti vedo più, Gesù, ora è buio. Cadono ombre lunghe dalle colline, e le lanterne dello Shabbat brulicano in Gerusalemme, fuori dalle case e nelle stanze. Battono contro le porte del cielo, chiuso e inespugnabile: per chi è tanta solitudine? Chi in una notte tale può dormire? Risuona la città dei pianti dei bambini, dei canti delle madri, delle ronde dei soldati: muore questo giorno, e solo tu ti sei addormentato. Dormi? E su quale giaciglio? Quale coperta ti nasconde al mondo?

Da lontano Giuseppe di Arimatea ha seguito i tuoi passi, e ora in punta di piedi ti accompagna nel sonno, ti sottrae agli sguardi degli indignati e dei malvagi. Un lenzuolo avvolge il tuo freddo, asciuga il sangue e il sudore e il pianto. Dalla croce precipiti, ma con leggerezza. Giuseppe ti issa sulle spalle, ma lieve tu sei: non porti il peso della morte, non dell’odio, né del rancore. Dormi come quando nella paglia tiepida eri avvolto e un altro Giuseppe ti teneva in braccio. Come allora non c’era posto per te, non hai adesso dove posare il capo: ma sul Calvario, sulla dura cervice del mondo, lì cresce un giardino dove ancora nessuno è stato mai sepolto.

Dove te ne sei andato, Gesù? Dove sei sceso, se non nel profondo? Dove, se non nel luogo ancora inviolato, nella cella più angusta? Nei nostri stessi lacci sei preso, nella nostra stessa tristezza sei imprigionato: come noi hai camminato sulla terra, e ora al di sotto della terra come noi ti fai spazio.

Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi.

Ti prego, Signore, che non ti sei manifestato nella gloria
ma nel silenzio di una notte oscura.
Tu che non guardi la superficie, ma vedi nel segreto

e nel profondo entri,
dal profondo ascolta la nostra voce:
fa’ che possiamo, stanchi, riposare in te,
riconoscere in te la nostra natura,
vedere nell’amore del tuo volto dormiente
la nostra bellezza perduta.

Pater noster…

 

la via crucis che papa Francesco ha affidato ad una donna

 

 

 

 

In questo venerdì santo queste le meditazioni della Prof.ssa Anne-Marie Pelletier alla quale Papa Francesco ha affidato il compito di accompagnare con le sue riflessioni la tradizionale Via Crucis (Via della Croce, Via Dolorosa) al Colosseo (Roma) il 14 prile 2017  . Una donna, una laica, una studiosa di Bibbia. Ancora una volta un’attenzione del Vescovo di Roma per una pluralità di voci in quella sinfonia corale che è la cattolicità della chiesa.

Si tratta di testi a prima vista poco “appariscenti” ma se letti con cura mostrano un’attenzione a diverse tradizioni religiose impersonate da Etty Hillesum e il pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer, fino a proporre alla nostra considerazione testimoni del nostro tempo come i monaci uccisi a Tibhirine. Originalità che si mostra anche nella scelta dei brani biblici suggeriti e nei quadri della via crucis mostrati alla nostra riflessione: il rinnegamento di Pietro, la sofferenza di Cristo, in cui oggi si riconoscono uomini, donne e persino “bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati”, il silenzio del sabato.

L’autrice della via crucis a proposito del punto di partenza delle sue meditazioni ha affermato: “Direi che non ho pensato a quello che volevo dire o a quello che volevo trasmettere. La mia idea è stata, piuttosto, quella di ritrovarmi in questo cammino, di cercare di mettermi sui passi di Gesù che sale sul Golgota. Si tratta di una dimensione del pensiero di Dio e non del nostro, quindi ho cercato di avere un atteggiamento di ascolto e di silenzio per arrivare, per me stessa e per gli altri, allo straordinario paradosso che si realizza nell’ora della Passione, quello che le Scritture definiscono l’inaudito dell’ora di Dio e che tocca intensamente e profondamente tutto l’agire del nostro mondo contemporaneo.“

INTRODUZIONE

L’Ora è dunque giunta. Il cammino di Gesù sulle strade polverose della Galilea e della Giudea, incontro ai corpi e ai cuori sofferenti, spinto dall’urgenza di annunciare il Regno, questo cammino si ferma qui, oggi. Sulla collina del Golgota. Oggi la croce sbarra la strada. Gesù non andrà più lontano.

Impossibile andare più lontano!

L’amore di Dio riceve qui la sua piena misura, senza misura.

Oggi l’amore del Padre, che vuole che, attraverso il Figlio, tutti gli uomini siano salvati, va fino alla fine, là dove noi non abbiamo più parole, dove siamo disorientati, dove la nostra religiosità è oltrepassata dall’eccesso dei pensieri di Dio.

Sul Golgota, infatti, contro tutte le apparenze, è questione di vita. E di grazia. E di pace. Si tratta non del regno del male che noi conosciamo fin troppo, ma della vittoria dell’amore.

E, proprio sotto la stessa croce, si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti…

Tante lacrime, tanta miseria nel calice che il Figlio beve per noi.

Tante lacrime, tanta miseria che non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito.

È della fedeltà invincibile di Dio alla nostra umanità che si tratta sul Golgota.

È una nascita che là si compie!

Dobbiamo avere il coraggio di dire che la gioia del Vangelo è la verità di questo momento!

Se il nostro sguardo non raggiunge questa verità, allora restiamo prigionieri delle reti della sofferenza e della morte. E rendiamo vana per noi la Passione di Cristo.

Preghiamo.

Signore, i nostri occhi sono oscuri. E come accompagnarti così lontano?

«Misericordia» è il tuo nome. Ma questo nome è una follia.

Scoppino i vecchi otri dei nostri cuori!

Guarisci il nostro sguardo perché s’illumini della buona notizia del Vangelo, nell’ora in cui restiamo ai piedi della Croce del tuo Figlio.

E noi potremo celebrare «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3, 18) dell’amore di Cristo, col cuore consolato e abbagliato.

VIA CRUCIS

Prima stazione: Gesù è condannato a morte

Dal Vangelo secondo Luca

Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio (22, 66).

Dal Vangelo secondo Marco

Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: “Fa’ il profeta!”. E i servi lo schiaffeggiavano (14, 64-65).

Meditazione

Non servirono molte discussioni agli uomini del Sinedrio per pronunciarsi. Già da molto tempo la causa era decisa. Gesù deve morire!

Così pensavano già quelli che volevano buttarlo giù dalla scarpata del colle, il giorno in cui, nella sinagoga di Nazaret, Gesù aveva aperto il rotolo proclamando in prima persona le parole del libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione […] a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18. 19).

Già quando aveva guarito il paralitico alla piscina di Betzatà, inaugurando il sabato di Dio che libera da tutte le schiavitù, le mormorazioni omicide si erano gonfiate contro di lui (cfr Gv 5, 1-18).

E, nell’ultimo tratto di strada, mentre saliva a Gerusalemme per la Pasqua, il cappio si era stretto, inesorabilmente: egli non sarebbe più sfuggito ai suoi nemici (cfr Gv 11, 45-57).

Ma dobbiamo avere una memoria ancora più lunga. A partire da Betlemme, dai giorni della sua nascita, Erode aveva decretato che egli doveva morire. La spada degli sbirri del re usurpatore massacrò i bambini di Betlemme. Quella volta Gesù sfuggì alla loro furia. Ma solo per un certo tempo. Già egli non era più che una vita in sospeso. Nel pianto di Rachele sui suoi figli che non sono più, risuona, a singhiozzi, la profezia del dolore che Simeone annuncerà a Maria (cfr Mt 2, 16-18; Lc 2, 34-35).

Preghiera

Signore Gesù, Figlio prediletto, che sei venuto a visitarci, passando in mezzo a noi e facendo il bene, riportando alla vita quanti abitano l’ombra della morte, tu conosci i nostri cuori tortuosi.

Noi affermiamo di essere amici del bene e di volere la vita. Ma siamo peccatori e complici della morte.

Noi ci proclamiamo tuoi discepoli, ma prendiamo strade che si perdono lontano dai tuoi pensieri, lontano dalla tua giustizia e dalla tua misericordia.

Non abbandonarci alle nostre violenze.

La tua pazienza per noi non si esaurisca.

Liberaci dal male!

Pater noster

«Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta.»


Seconda stazione: Gesù è rinnegato da Pietro

Dal Vangelo secondo Luca

Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è galileo». Ma Pietro rispose: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente (22, 59-62).

Meditazione

Intorno ad un braciere, nel cortile del Sinedrio, Pietro e qualcun altro si riscaldano in quelle ore fredde della notte, attraversate da febbrili andirivieni. All’interno, la sorte di Gesù sta per decidersi, nel faccia a faccia con i suoi accusatori. Chiederanno la sua morte.

Come una marea che sale, intorno cresce l’ostilità. Come si infiamma la stoppia, l’odio attecchisce e si moltiplica. Ben presto una folla urlante esigerà da Pilato la grazia per Barabba e la condanna di Gesù.

Difficile dichiararsi amico di un condannato a morte senza essere attraversato da un brivido di terrore. La fedeltà intrepida di Pietro non riesce a resistere alle parole sospettose della serva, la portinaia del luogo.

Riconoscere che è discepolo del rabbi galileo, sarebbe dare più peso alla fedeltà a Gesù che alla propria vita! Quando implica tale coraggio, la verità fa fatica a trovare dei testimoni… Gli uomini sono fatti in modo che allora molti le preferiscono la menzogna; e Pietro appartiene alla nostra umanità. Tradisce, a tre riprese. Poi incrocia lo sguardo di Gesù. E le sue lacrime scendono, amare eppure dolci, come acqua che lava una sporcizia.

Presto, passato qualche giorno, vicino a un altro fuoco di brace, sulla riva del lago, Pietro riconoscerà il suo Signore risorto, che gli affiderà la cura delle sue pecore. Pietro imparerà senza misura il perdono che il Risorto pronuncia su tutti i nostri tradimenti. E prenderà parte ad una fedeltà che, da allora in poi, gli farà accettare la propria morte come un’offerta unita a quella di Cristo.

Preghiera

Signore, nostro Dio, tu hai voluto che sia Pietro, il discepolo rinnegato e perdonato, a ricevere l’incarico di guidare il tuo gregge.

Imprimi nei nostri cuori la fiducia e la gioia di sapere che, in te, possiamo attraversare i burroni della paura e dell’infedeltà.

Fa’ che, istruiti da Pietro, tutti i tuoi discepoli siano i testimoni dello sguardo che tu posi sulle nostre cadute. Che mai le nostre durezze o le nostre disperazioni rendano vana la Risurrezione del tuo Figlio!

Pater noster

Cristo morto per i nostri peccati,
Cristo risorto per la nostra vita,
ti preghiamo, abbi pietà di noi.


Terza stazione: Gesù e Pilato

Dal Vangelo secondo Marco

Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (15, 1. 3. 15).

Dal Vangelo secondo Matteo

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!» (27, 24).

Dal libro del profeta Isaia

Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti (53, 6).

Meditazione

Roma di Cesare Augusto, la nazione civilizzatrice, le cui legioni si propongono la missione di conquistare i popoli per portare loro i benefici del suo giusto ordine.

Roma, presente anche alla Passione di Gesù nella persona di Pilato, il rappresentante dell’Imperatore, il garante del diritto e della giustizia in terra straniera.

Eppure, lo stesso Pilato che dichiara di non trovare alcuna colpa in Gesù, è colui che ratifica la sua condanna a morte. Nel pretorio dove Gesù viene processato, la verità risplende: la giustizia dei pagani non è superiore a quella del Sinedrio dei Giudei!

Decisamente questo Giusto, che attira stranamente su di sé i pensieri omicidi del cuore umano, riconcilia ebrei e pagani. Ma lo fa, per ora, rendendoli ugualmente complici dell’uccisione di lui stesso. Tuttavia, viene il momento, anzi è vicino, in cui questo Giusto li riconcilierà in altro modo, per mezzo della Croce e di un perdono che li raggiungerà tutti, ebrei e pagani, li guarirà insieme dalle loro vigliaccherie e li libererà dalla loro comune violenza.

Una sola condizione per aver parte a questo dono: sarà confessare l’innocenza dell’unico Innocente, l’Agnello di Dio immolato per il peccato del mondo; sarà rinunciare alla presunzione che mormora dentro di noi: «Io sono innocente del sangue di quell’uomo»; sarà dichiararsi colpevoli, nella fiducia che un amore infinito avvolge tutti, ebrei e pagani, e che tutti Dio chiama a diventare suoi figli.

Preghiera

Signore, nostro Dio, davanti a Gesù consegnato e condannato, noi non sappiamo fare altro che discolparci e accusare gli altri. Per tanto tempo noi cristiani abbiamo addossato al tuo popolo Israele il peso della tua condanna a morte. Per tanto tempo abbiamo ignorato che dovevamo riconoscerci tutti complici nel peccato, per essere tutti salvati dal sangue di Gesù crocifisso.

Donaci di riconoscere nel tuo Figlio l’Innocente, l’unico di tutta la storia. Lui che ha accettato di essere “fatto peccato per noi” (cfr 2 Cor 5, 21), affinché per mezzo di lui tu potessi ritrovarci, umanità ricreata nell’innocenza nella quale ci hai creato, e nella quale ci rendi tuoi figli.

Pater noster

Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?

Quarta stazione: Gesù re della gloria

Dal Vangelo secondo Marco

I soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!» (15, 16-18).

Dal libro del profeta Isaia

Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato (53, 2-4).

Meditazione

Banalità del male. Sono innumerevoli gli uomini, le donne, persino i bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati, sotto tutti i cieli e in ogni tempo della storia.

Senza cercare protezione nella condizione divina che gli è propria, Gesù si inserisce nel terribile corteo delle sofferenze che l’uomo infligge all’uomo. Conosce l’abbandono degli umiliati e dei più derelitti.

Ma quale aiuto ci può dare la sofferenza di un innocente in più?

Colui che è uno di noi è prima di tutto il Figlio prediletto del Padre, che viene a compiere ogni giustizia con la sua obbedienza.

E all’improvviso tutti i segni si capovolgono. Ecco che le parole e i gesti di scherno dei suoi torturatori ci svelano – oh paradosso assoluto – l’insondabile verità: quella della vera, dell’unica regalità, manifestata come un amore che non ha voluto sapere altro che la volontà del Padre e il suo desiderio che tutti gli uomini siano salvati. «Sacrificio e offerta non gradisci […]. Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà”» (Sal 40, 7-9).

Questa ora del Venerdì Santo lo proclama: c’è una sola gloria in questo mondo e nell’altro, quella di conoscere e compiere la volontà del Padre. Nessuno di noi può ambire a una dignità più alta di quella di essere figlio in Colui che si è fatto obbediente per noi fino alla morte di croce.

Preghiera

Signore, nostro Dio, ti preghiamo: in questo giorno santo che porta a compimento la rivelazione, abbatti in noi e nel nostro mondo gli idoli. Tu conosci il loro potere sulle nostre menti e sui nostri cuori.

Abbatti in noi le figure menzognere del successo e della gloria.

Abbatti in noi le immagini che sempre riemergono di un Dio secondo i nostri pensieri, un Dio distante, così lontano dal volto rivelato nell’alleanza e che si manifesta oggi in Gesù, al di là di ogni previsione, al di sopra di ogni speranza. Lui che confessiamo come l’«irradiazione della [tua] gloria» (Eb 1, 3).

Fa’ che entriamo nella gioia eterna, che ci fa acclamare in Gesù rivestito di porpora e coronato di spine, il re della gloria che canta il salmo: «Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria» (24, 9).

Pater noster

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria
.


Quinta stazione: Gesù porta la croce

Dal Libro delle Lamentazioni

Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta, e con cui il Signore mi ha afflitta nel giorno della sua ira ardente (1, 12).

Dal Salmo 146

Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio […]. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, […] il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova (146, 5. 7-8. 9).

Meditazione

Lungo l’aspro cammino del Golgota, Gesù non ha portato la croce come un trofeo! Egli non somiglia in nulla agli eroi della nostra fantasia che abbattono trionfanti i loro malvagi nemici.

Passo dopo passo ha camminato, il corpo sempre più pesante e più lento. Ha sentito la sua carne intaccata dal legno del supplizio, le gambe fiaccate sotto il carico.

Di generazione in generazione, la Chiesa ha meditato questa via segnata da inciampi e cadute.

Gesù cade, si rialza, poi ricade, riprende il cammino sfibrante, probabilmente sotto i colpi delle guardie che lo scortano, perché è così che sono trattati, maltrattati, i condannati in questo mondo.

Colui che ha fatto alzare i corpi allettati, raddrizzato la donna curva, strappato dal letto di morte la figlia di Giairo, rimesso in piedi tanti afflitti, eccolo oggi affondato nella polvere.

L’Altissimo è a terra.

Fissiamo lo sguardo su Gesù. Attraverso di lui, l’Altissimo ci insegna che è al tempo stesso – incredibile! – Il più Umile, pronto a scendere fino a noi, ancora più giù se necessario, così che nessuno si perda nei bassifondi della propria miseria.

Preghiera

Signore, nostro Dio, tu scendi nel profondo della nostra notte, senza porre limiti alla tua umiliazione, perché è in essa che raggiungi la terraspesso ingrata, a volte devastata, delle nostre vite.

Noi ti supplichiamo: fa’ che la tua Chiesa possa testimoniare che l’Altissimo e Il più Umile sono in te un solo volto. Concedile di portare a tutti coloro che cadono la buona novella del Vangelo: non c’è caduta che possa sottrarci alla tua misericordia; non c’è perdita, non c’è abisso tanto profondo che tu non possa ritrovare chi si è smarrito.

Pater noster

Ecco, io vengo, o Dio, a fare la tua volontà.


Sesta stazione: Gesù e Simone di Cirene

Dal Vangelo secondo Luca

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene che tornava dai campi e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù (23, 26).

Dal Vangelo secondo Matteo

«Quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?» (25, 37-39).

Meditazione

Gesù inciampa lungo la via, la schiena schiacciata sotto il peso della croce. Ma bisogna andare avanti, camminare, e ancora camminare, perché è il Golgota, il sinistro “luogo del Cranio”, fuori dalle mura della città, la meta della squadriglia che incalza Gesù.

Passa di lì in quel momento un uomo, con le braccia robuste. Appare estraneo agli eventi del giorno. Sta tornando a casa, ignaro di tutta la vicenda del rabbi Gesù, quando viene precettato dalle guardie per portare la croce.

Che cosa avrà saputo del condannato spinto dalle guardie al supplizio? Cosa poteva conoscere di colui che «non aveva più aspetto d’uomo», come il servo sfigurato di Isaia?

Della sua sorpresa, forse di un suo iniziale rifiuto, della pietà che lo ha colto, nulla ci è detto. Il Vangelo ha conservato soltanto la memoria del suo nome: Simone, originario di Cirene. Ma il Vangelo ha voluto portare fino a noi il nome di questo libico e il suo umile gesto d’aiuto anche per insegnarci che, alleviando il dolore di un condannato a morte, Simone ha alleviato il dolore di Gesù, il Figlio di Dio, che ha incrociato la sua strada nella condizione di schiavo, assunta per noi, assunta per lui, per la salvezza del mondo. Senza che lui lo sapesse.

Preghiera

Signore, nostro Dio, tu ci hai rivelato che in ogni povero che è nudo, prigioniero, assetato, sei tu che ti presenti a noi, e sei tu che noi accogliamo, visitiamo, rivestiamo, dissetiamo: «Ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36). Mistero del tuo incontro con la nostra umanità! Così tu raggiungi ogni uomo! Nessuno è escluso da questo incontro, se accetta di essere uomo di compassione.

Noi ti presentiamo, come un’offerta santa, tutti i gesti di bontà, di accoglienza, di dedizione che vengono compiuti ogni giorno in questo mondo. Degnati di riconoscerli come la verità della nostra umanità, che parla più forte di tutti i gesti di rifiuto e di odio. Degnati di benedire gli uomini e le donne di compassione che ti rendono gloria, anche se non sanno ancora pronunciare il tuo nome.

Pater noster

Cristo morto per i nostri peccati,
Cristo risorto per la nostra vita,
ti preghiamo, abbi pietà di noi.


Settima stazione: Gesù e le figlie di Gerusalemme

Dal Vangelo secondo Luca

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. […] Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (23, 27-28. 31).

Meditazione

Il pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un’opera di compassione, questo pianto delle donne non manca mai in questo mondo.

Esso scende silenziosamente sulle guance delle donne. Più spesso ancora, probabilmente, in modo invisibile, nel loro cuore, come le lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena.

Non che le lacrime spettino alle donne, come se la loro sorte fosse quella di piangere passive e impotenti, dentro una storia che gli uomini, da soli, sarebbero tenuti a scrivere.

Infatti i loro pianti sono anche, e innanzitutto, tutti quelli che esse raccolgono, lontano da ogni sguardo e da ogni celebrazione, in un mondo in cui c’è molto da piangere. Pianto dei bambini terrorizzati, dei feriti nei campi di battaglia che invocano una madre, pianto solitario dei malati e dei morenti sulla soglia dell’ignoto. Pianto di smarrimento, che scorre sulla faccia di questo mondo che è stato creato, nel primo giorno, per lacrime di gioia, nella comune esultanza dell’uomo e della donna.

Ed anche Etty Hillesum, donna forte d’Israele rimasta in piedi nella tempesta della persecuzione nazista, che difese fino all’ultimo la bontà della vita, ci suggerisce all’orecchio questo segreto che lei intuisce alla fine della sua strada: ci sono lacrime da consolare sul volto di Dio, quando piange sulla miseria dei suoi figli. Nell’inferno che sommerge il mondo, lei osa pregare Dio: «Cercherò di aiutarti», gli dice. Audacia così femminile e così divina!

Preghiera

Signore, nostro Dio, Dio di tenerezza e di pietà, Dio pieno d’amore e di fedeltà, insegnaci, nei giorni felici, a non disprezzare le lacrime dei poveri che gridano a te e che ci chiedono aiuto. Insegnaci a non passare indifferenti accanto a loro. Insegnaci ad avere il coraggio di piangere con loro. Insegnaci anche, nella notte delle nostre sofferenze, delle nostre solitudini e delle nostre delusioni, ad ascoltare la parola di grazia che tu ci rivelasti sul monte: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5, 4).

Pater noster

Cristo morto per i nostri peccati,
Cristo risorto per la nostra vita,
ti preghiamo, abbi pietà di noi.


Ottava stazione: Gesù è spogliato delle vesti

Dal Vangelo secondo Giovanni

I soldati presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica (19, 23).

Dal libro di Giobbe

«Nudo uscii dal grembo di mia madre,
e nudo vi ritornerò» (1, 21).

Meditazione

Il corpo umiliato di Gesù viene spogliato. Esposto agli sguardi di derisione e di disprezzo. Il corpo di Gesù solcato di piaghe e destinato all’estremo supplizio della crocifissione. Umanamente, cos’altro ci sarebbe da fare che abbassare gli occhi per non accrescere il suo disonore?

Ma lo Spirito viene in aiuto al nostro smarrimento. Ci insegna a capire la lingua di Dio, lingua della kenosi, questo abbassamento di Dio per raggiungerci là dove siamo. È questa lingua di Dio che parla per noi il teologo ortodosso Christos Yannaras: «Lingua della kenosi: Gesù bambino nudo nella mangiatoia; spogliato nel fiume mentre riceve il battesimo come un servo; sospeso all’albero della croce, nudo, come un malfattore. Attraverso tutto questo egli ha manifestato il suo amore per noi».

Entrando in questo mistero di grazia, possiamo riaprire gli occhi sul corpo martoriato di Gesù. Allora incominciamo a scorgere ciò che il nostro occhio non può vedere: la sua nudità risplende di quella stessa luce che irradiava la sua veste al momento della Trasfigurazione.

Luce che scaccia ogni tenebra.

Luce irresistibile dell’amore fino alla fine.

Preghiera

Signore, nostro Dio, poniamo davanti ai tuoi occhi la folla immensa degli uomini che subiscono la tortura, la spaventosa schiera dei corpi maltrattati, tremanti d’angoscia all’avvicinarsi dei colpi, agonizzanti in sordidi bassifondi.

Ti supplichiamo, raccogli il loro gemito.

Il male ci lascia senza voce e senza aiuto.

Ma tu sai ciò che noi non sappiamo. Sai trovare un passaggio nel caos e nel buio del male. Sai far brillare, già nella Passione del tuo Figlio prediletto, la vita della risurrezione.

Aumenta in noi la fede!

Ti presentiamo anche la follia dei torturatori e di chi li comanda.

Essa pure ci lascia senza parole… Se non per pregarti e implorarti tra le lacrime con le parole della preghiera che tu ci hai insegnato: «Liberaci dal male»!

Pater noster

Cristo morto per i nostri peccati,
Cristo risorto per la nostra vita,
ti preghiamo, abbi pietà di noi.


Nona stazione: Gesù è crocifisso

Dal Vangelo secondo Luca

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (23, 33-34).

Dal libro del profeta Isaia

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (53, 5).

Meditazione

Veramente Dio è là dove non dovrebbe essere!

Il Figlio prediletto, il Santo di Dio, è quel corpo esposto su una croce d’infamia, abbandonato al disonore, in mezzo a due malfattori. Uomo dei dolori da cui ci si discosta; a dire il vero, come ci si discosta da tanti esseri umani sfigurati che incrociano le nostre strade.

Il Verbo di Dio, nel quale tutto è stato creato, non è più che una carne muta e sofferente. La crudeltà della nostra umanità si è accanita contro di lui, e ha vinto.

Sì, Dio è là dove non dovrebbe essere e dove, tuttavia, noi abbiamo tanto bisogno che sia!

Era venuto per condividere con noi la sua vita. «Prendete!», ha detto senza sosta mentre offriva la sua guarigione ai malati, il suo perdono ai cuori traviati, il suo corpo nella cena pasquale.

Ma si è ritrovato in mano nostra, in territorio di morte e di violenza: quella che ci lascia attoniti nell’attualità del mondo; e quella che serpeggia in ognuno. Lo sapevano bene i monaci uccisi a Tibhirine, che alla preghiera «Disarmali!» aggiungevano la supplica «Disarmaci!».

Era necessario che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male.

Era necessario che Gesù Cristo portasse l’infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo.

Era necessario questo, perché, posta dinanzi alla vita di Dio, la morte indietreggiasse e cadesse, come un nemico che ha trovato uno più forte di lui e si dilegua nel nulla.

Preghiera

Signore, nostro Dio, accogli la nostra lode silenziosa.

Come i re che restano senza parole davanti all’opera del Servo rivelata dalla profezia di Isaia (cfr 52, 15), rimaniamo stupefatti dinanzi all’Agnello immolato per la vita nostra e del mondo; e confessiamo che dalle tue piaghe siamo stati guariti. «Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? […] A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore» (Sal 116, 12. 17).

Pater noster

Cristo morto per i nostri peccati,
Cristo risorto per la nostra vita,
ti preghiamo, abbi pietà di noi.


Decima stazione: Gesù sulla croce è deriso

Dal Vangelo secondo Luca

I capi lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» (23, 35-39).

«Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane. […] Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: […] [gli angeli] ti porteranno sulle loro mani» (4, 3. 9-11).

Meditazione

Gesù non sarebbe potuto scendere dalla croce? A stento osiamo porci questa domanda: il Vangelo non la mette forse sulla bocca degli empi?

Eppure, essa ci perseguita, nella misura in cui facciamo ancora parte del mondo della tentazione, che Gesù ha affrontato durante i quaranta giorni nel deserto, preludio e inizio del suo ministero: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane, gettati giù dall’alto del tempio, perché Dio veglia su chi è suo amico”. Ma nella misura in cui, battezzati nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo, lo seguiamo sulla sua via, le sfide del Maligno non hanno più presa su di noi, sono ridotte a nulla, la loro menzogna è svelata.

Allora si scopre l’imperiosa necessità di quel «bisognava» (Lc 24, 26) che Gesù insegna con pazienza e ardore a coloro che erano in cammino sulla via di Emmaus.

«Bisognava» che il Cristo entrasse in questa obbedienza e in questa impotenza, per raggiungerci nell’impotenza in cui ci ha posti la nostra disobbedienza.

Cominciamo, così, a comprendere che «soltanto il Dio sofferente può salvare», come scriveva il pastore Dietrich Bonhoeffer pochi mesi prima di morire assassinato, quando, sperimentando sino in fondo il potere del male, poteva riassumere, in questa verità semplice e vertiginosa, la professione della fede cristiana.

Preghiera

Signore, nostro Dio, chi ci libererà dalle insidie del potere secondo il mondo? Chi ci libererà dalla tirannia delle menzogne, che ci fanno esaltare i potenti e rincorrere a nostra volta le false glorie?

Tu solo puoi convertire i nostri cuori.

Tu solo puoi farci amare i sentieri dell’umiltà.

Tu solo…, che ci riveli che non c’è vittoria se non nell’amore, e che tutto il resto non è che paglia che il vento disperde, miraggio che svanisce davanti alla tua verità.

Noi ti preghiamo, Signore, dissipa le menzogne che ambiscono a regnare sui nostri cuori e sul mondo.

Facci vivere secondo le tue vie, perché il mondo riconosca la potenza della Croce.

Pater noster

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?


Undicesima stazione: Gesù e sua madre

Dal Vangelo secondo Giovanni

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!», Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé (19, 25-27).

Meditazione

Maria, anche lei, è giunta al termine del cammino. Eccola arrivata a quel giorno di cui parlava l’anziano Simeone. Quando aveva sollevato con le sue braccia tremanti il bambino e il suo rendimento di grazie si era prolungato in parole misteriose, che intrecciavano insieme dramma e speranza, dolore e salvezza.

«Ecco – aveva proclamato – egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).

Già la visita dell’angelo aveva fatto risuonare nel suo cuore l’incredibile annuncio: Dio aveva scelto la sua vita per far sbocciare la novità promessa a Israele, «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì» (1 Cor 2, 9; cfr Is 64, 3). E lei aveva acconsentito a quel progetto divino, che avrebbe cominciato a sconvolgere la sua carne e che avrebbe poi accompagnato su vie imprevedibili il figlio nato dal suo grembo.

Durante le giornate così ordinarie di Nazaret, poi al tempo della vita pubblica, quando c’era stato bisogno di fare spazio all’altra famiglia, quella dei discepoli, quegli estranei dei quali Gesù si faceva dei fratelli, delle sorelle, delle madri, lei aveva conservato queste cose nel suo cuore. Le aveva affidate alla grande pazienza della sua fede.

Oggi è il tempo del compimento. La lama che trafigge il fianco del Figlio trafigge anche il cuore di lei. Anche Maria s’immerge nella fiducia senza appoggio, in cui Gesù vive fino in fondo l’obbedienza al Padre.

In piedi, lei non diserta. Stabat Mater. Nel buio, ma con certezza, sa che Dio mantiene le promesse. Nel buio, ma con certezza, sa che Gesù è la promessa e il suo compimento.

Preghiera

Maria, madre di Dio e donna della nostra stirpe, tu che ci generi maternamente in colui che hai generato, sostieni in noi la fede nelle ore di tenebra, insegnaci la speranza contro ogni speranza.

Custodisci tutta la Chiesa in una vigilanza fedele, come fu la tua fedeltà, umilmente docile ai pensieri di Dio, che ci attirano là dove non penseremmo di andare; che ci associano, al di là di ogni previsione, all’opera della salvezza.

Pater noster

Salve, Regina, mater misericordiae;
vita, dulcedo et spes nostra, salve.


Dodicesima stazione: Gesù muore in croce

Dal Vangelo secondo Giovanni

[Gesù] disse: «Ho sete». Vi era là un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. […] Venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate (19, 28-30. 33-35).

Meditazione

Adesso, tutto è compiuto. L’incarico di Gesù è portato a termine. Era uscito dal Padre per la missione della misericordia. Questa è stata adempiuta con una fedeltà che è andata fino all’estremo dell’amore. Tutto è compiuto. Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre.

Apparentemente, è vero, tutto sembra piombare nel silenzio della morte che scende sul Golgota e sulle tre croci innalzate. In questo giorno della Passione che volge al termine, chi passa per quella via che cosa può capire se non la sconfitta di Gesù, il crollo di una speranza che aveva rincuorato molti, consolato i poveri, risollevato gli umiliati, lasciato intravedere ai discepoli che era arrivato il tempo in cui Dio avrebbe realizzato le promesse annunciate dai profeti. Tutto ciò sembrava perduto, distrutto, crollato.

Tuttavia, in mezzo a tanta delusione, ecco che l’evangelista Giovanni ci fa fissare gli occhi su un dettaglio minuscolo e si sofferma su di esso con solennità. Acqua e sangue colano dal fianco del Crocifisso. O stupore! La ferita aperta dalla lancia del soldato lascia passare dell’acqua e del sangue che ci parlano di vita e di nascita.

Il messaggio è estremamente discreto, ma tanto eloquente per i cuori che hanno un po’ di memoria. Dal corpo di Gesù sgorga la sorgente che il profeta ha visto uscire dal Tempio. La sorgente che cresce e diventa un fiume possente, le cui acque risanano e fecondano tutto ciò che toccano nel loro passaggio. Gesù un giorno non aveva definito il suo corpo come il nuovo tempio? E il «sangue dell’alleanza» accompagna l’acqua. Gesù non aveva parlato della sua carne e del suo sangue come cibo per la vita eterna?

Preghiera

Signore Gesù, in questi giorni santi del mistero pasquale rinnova in noi la gioia del nostro battesimo.

Quando contempliamo l’acqua e il sangue che colano dal tuo fianco, insegnaci a riconoscere da quale fonte la nostra vita è generata, da quale amore la tua Chiesa è edificata, per quale speranza da condividere nel mondo tu ci hai scelti e ci hai inviati.

Qui è la fonte di vita che lava tutto l’universo, sgorgando dalla piaga di Cristo. Il nostro battesimo sia per noi la sola gloria, in un rendimento di grazie pieno di meraviglia.

Pater noster

L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione,
nei secoli dei secoli.


Tredicesima stazione: Gesù è deposto dalla croce

Dal Vangelo secondo Luca

[Giuseppe d’Arimatea] lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto (23, 53).

Meditazione

Gesti di premura e di onore per il corpo profanato e umiliato di Gesù. Alcuni uomini e donne si ritrovano ai piedi della croce. Giuseppe, originario di Arimatea, uomo «buono e giusto» (Lc 23, 50), che chiede il corpo a Pilato, riferisce san Luca; Nicodemo, colui che era andato da Gesù di notte, aggiunge san Giovanni; e alcune donne che, ostinatamente fedeli, osservano.

La meditazione della Chiesa ha voluto aggiungere ad essi la Vergine Maria, lei pure così verosimilmente presente a questo momento.

Maria, Madre di pietà, che riceve tra le sue braccia il corpo nato dalla sua carne e teneramente, discretamente accompagnato lungo gli anni, come madre sempre si prende cura di suo figlio.

Ormai, è un corpo immenso che ella raccoglie, a misura del suo dolore, a misura della nuova creazione che origina dalla passione d’amore che ha attraversato il cuore del figlio e della madre.

Nel grande silenzio che è sceso dopo le urla dei soldati, gli scherni dei passanti e i rumori della crocifissione, i gesti ora non sono che dolcezza, carezza di rispetto. Giuseppe cala il corpo che si abbandona tra le sue braccia. Lo avvolge in un lenzuolo, lo depone all’interno del sepolcro tutto nuovo, che attende il suo ospite nel giardino proprio accanto.

Gesù è strappato dalle mani dei suoi uccisori. Ormai, nella morte, si ritrova tra quelle della tenerezza e della compassione.

La violenza degli uomini omicidi è rifluita molto lontano. La dolcezza è ritornata nel luogo del supplizio.

Dolcezza di Dio e di coloro che gli appartengono, quei cuori miti ai quali Gesù promise un giorno che avrebbero posseduto la terra. Dolcezza originaria della creazione e dell’uomo ad immagine di Dio. Dolcezza della fine, quando ogni lacrima sarà asciugata, quando il lupo abiterà con l’agnello, perché la conoscenza di Dio avrà raggiunto ogni carne (cfr Is 11, 6. 9).

Canto a Maria

O Maria, non piangere più: il tuo figlio, nostro Signore, si è addormentato nella pace. E il Padre suo, nella gloria, apre le porte della vita!

O Maria, rallegrati: Gesù risorto ha vinto la morte!

Pater noster

Nella tua pace, Signore, mi corico e mi addormento;
mi risveglio: tu sei il mio sostegno.


Quattordicesima stazione: Gesù nel sepolcro e le donne

Dal Vangelo secondo Luca

Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto (23, 55-56).

Meditazione

Le donne se ne sono andate. Colui che avevano accompagnato, camminando tenaci e premurose sulle strade di Galilea, costui non c’è più. Ad esse egli non lascia per compagnia, stasera, che la visione impressa in loro del suo sepolcro e del lenzuolo dove ora riposa. Povero e prezioso ricordo di fervidi giorni svaniti. Solitudine e silenzio. Del resto, si avvicina shabbat, che invita Israele a cessare il lavoro, come Dio lo cessò quando la creazione fu completata, portata a compimento sotto la sua benedizione.

È di un altro compimento che oggi si tratta; per ora nascosto e impenetrabile. Shabbat in cui restare oggi immobili, nel raccoglimento del cuore e della memoria velata di lacrime. Preparando anche i profumi e gli aromi con cui esse renderanno il loro ultimo omaggio al suo corpo, domani, di buon mattino.

Ma, con quel gesto, si preparano soltanto a imbalsamare la loro speranza? E se Dio avesse preparato alla loro sollecitudine una risposta che esse non possono nemmeno prevedere, immaginare, intuire… La scoperta di una tomba vuota…, l’annuncio che lui non è più lì, perché ha spezzato le porte della morte…

Preghiera

Signore, nostro Dio, degnati di vedere e di benedire tutti i gesti delle donne che onorano in questo mondo la fragilità dei corpi che esse circondano di dolcezza e di onore.

E noi, che ti abbiamo accompagnato su questa via dell’amore fino alla fine, degnati di custodirci, con le donne del Vangelo, nella preghiera e nell’attesa che sappiamo esaudite dalla risurrezione di Gesù, che la tua Chiesa si accinge a celebrare nell’esultanza della notte pasquale.

Pater noster

A lui gloria e potenza nei secoli dei secoli! Amen!

chi è la biblista Anne-Marie Pelletier?

Anne-Marie Pelletier, biblista francese, docente di Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica.

Anne-Marie Pelletier, biblista francese, docente di Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica

La profesoressa Pelletier, personalità di rilievo nel cattolicesimo francese contemporaneo, nel 2014 ha ricevuto il Premio Ratzinger. La Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, che ne ha alta stima, è molto lieta che proprio a lei sia stato affidato questo incarico così importante. Sposata e madre di tre figli è docente di Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica presso la facoltà Notre Dame del Seminario di Parigi.

La scelta di una donna per le meditazioni della via crucis conferma una volta di più l’attenzione di papa Francesco all’universo femminile, con un taglio differente rispetto ai predecessori. Non solo mistiche, ma anchestudiose;non solo monache ma anche specialiste nel campo della ricerca. Una novità non da poco.

Pellettier ha diretto l’Institut Européen des Sciences des Religions presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE). In diverse pubblicazioni ha affrontato la questione delle donne nella Chiesa: in particolare “Le christianisme et les femmes” (2001) et “Le signe de la femme” (2006).

Fonte: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/meditazioni-pelletier

la ‘via crucis’ del popolo rom al Colosseo (un bel momento preparato molto male dagli organizzatori non rom)

al Colosseo la Via Crucis dei rom e sinti

 in 5000 al Colosseo

cinquant’anni fa, durante il Concilio, Papa Paolo VI decise di incontrare gruppi di gitani raccolti da tutta Europa a Pomezia, alle porte di Roma. A cinquant’anni da quell’evento il Consiglio pontificio per la pastorale dei migranti, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, la Diocesi di Roma e la Fondazione Migrantes, ha organizzato un grande pellegrinaggio del «popolo dei gitani» a Roma

 

Migliaia i partecipanti alla processione guidata dal cardinale Vallini. Lunedì 26 ottobre l’incontro con Francesco

«Il vostro, un pellegrinaggio di fede»

Sabato sera, 24 ottobre, il Colosseo si è riempito di canti e preghiere delle popolazioni rom e sinti. Una processione di migliaia di persone che ha celebrato la Via Crucis presieduta dal cardinale Agostino Vallini, alla presenza del vescovo Guerino Di Tora, presidente della commissione per le Migrazioni della Cei e presidente della Fondazione Migrantes, e di monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni. “Prega per noi, Notre-Dame de gitan“, canta in francese una donna rom, e ancora “Jesus est la rocher de ma vie” intona spontaneamente un’altra parte della folla battendo le mani. “Voi siete nel cuore della Chiesa” recita il programma della serata, riprendendo le parole dell’incontro di Paolo VI a Pomezia con il mondo dei Caminanti. Parole ripetute sabato, a cinquant’anni di distanza. La croce è stata portata a turno da un rappresentante di una diversa nazionalità: spagnola, portoghese, francese, inglese, americana. Rom e sinti sono arrivati da ogni parte del mondo, in attesa di incontrare oggi, lunedì 26 ottobre, Papa Francesco.

Le preghiere hanno ricordato gli ultimi e i piccoli, i malati e gli immigrati, gli uomini in carcere. «Le preghiere dei sinti sono fatte di parole povere», racconta Davide Gabrieli, un pellegrino proveniente da Bressanone. Le orazioni sono state lette in molte lingue; rom e sinti sono un popolo di viaggiatori, ma legato da un unica cultura: «Abbiamo molte lingue, ma tra di noi parliamo il sinto. Così riusciamo tutti a comunicare», ha raccontato ancora Gabrieli, che ha cantato l’inno dei gitani e oggi canterà per Francesco. Suo padre per primo si esibì per Paolo VI, che gli donò il violino, e la fede, così come la musica, si è tramandata di padre in figlio. La musica per il popolo dei Caminanti è un elemento fondamentale:  domenica 25 ottobre, dopo la Messa al santuario del Divino Amore presieduta dal Cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti, si è tenuto un concerto di musica gitana. Nonostante le difficoltà che spesso devono affrontare le popolazioni rom, questa grande riunione è motivo di gioia:«Questo incontro mondiale è molto bello perché ci incontriamo e parliamo tra di noi grazie alla fede nella Chiesa» conclude Gabrieli.

«Gesù conosce e capisce le sofferenze dei gitani» ha detto a tutti i presenti il cardinale  Vallini. «Siamo in un luogo di sangue, di fede, di paradiso – ha dichiarato -: qui migliaia di uomini e di donne, di giovani e di bambini non hanno avuto paura di dare il loro sangue per dire che Gesù è il signore della vita». I gitani, ha continuato Vallini, percorrono la strada del dolore e spesso sono emarginati e disprezzati: «Questo vostro pellegrinaggio e l’incontro con Papa Francesco è un pellegrinaggio di fede che partendo dalla croce di Gesù vuole confermare il nostro essere cristiani». Quindi un messaggio di speranza: «Un mondo diverso è possibile – ha affermato il porporato – ma lo sarà soltanto quando ciascuno di noi farà vincere la risurrezione, e anche noi saremo capaci di portare la nostra croce sapendo che non saremo sconfitti ma la porteremo con amore per la forza della vita nuova, la vita cristiana». Un messaggio che deve arrivare a tutti: «Ditelo ai vostri figli, nei vostri campi, nelle vostre banlieu, dovunque vivete in mezzo alle città degli uomini. Voi siete la Chiesa di Cristo, popolo santo di Dio che semina amore». Il cardinale ha poi concluso invocando la Vergine Maria: «Ci aiuti ogni giorno a vivere con fierezza la gioia di essere figli di Dio e fratelli del mondo intero».

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