i non pochi nemici di papa Francesco …

gli oppositori alla chiesa di Francesco

di Víctor Codina

Victor Codina, autore di questo articolo, è originario della Spagna. Nel 1948 entrò nella Compagnia di Gesù; compì gli studi in filosofia e teologia a Barcellona, Innsbruck, Roma e Parigi. Dopo aver insegnato per qualche tempo teologia a Barcellona, a partire dai primi anni Settanta vive in America Latina. Dal 1982 risiede in Bolivia, dove ha insegnato all’Università cattolica boliva. È autore di numerose opere di carattere teologico tradotte anche in italiano. Il seguente articolo è stato pubblicato su Iglesia viva (1° agosto 2019) redeamazonica.

Introduzione storica

Non è la prima volta né è strano che nella Chiesa ci siano gruppi dissenzienti e oppositori, a partire da Paolo che affrontò Cefa ad Antiochia (Gal 2,14) fino ai giorni nostri.

Ci furono dai primi concili e fino agli ultimi due. Nel concilio Vaticano I (1870) un gruppo di vescovi e teologi furono contrari alla definizione dell’infallibilità pontificia. Alcuni non accettarono il concilio e si separarono da Roma dando origine ai cosiddetti Vetero-cattolici. Altri, senza abbandonare la Chiesa, non vollero partecipare né assistere all’ultima votazione conciliare sull’infallibilità e qualcuno di essi fu così indispettito da gettare tutti i documenti conciliari nel Tevere.

Un secolo dopo (1970) emerse nuovamente la problematica sull’infallibilità, con dispute teologiche tra la voce critica di Hans Küng, da un lato, e Karl Rahner, Walter Kasper e altri teologi tedeschi più concilianti, dall’altro. La controversia proseguì tra storici critici del Vaticano I, come A.B. Hasler discepolo di Küng, e altri storici più ponderati come Yves Congar, Hoffman e Walter Kasper. Küng fu rimosso dall’insegnamento teologico.

Al tempo di Pio XII, quando, nel 1950, pubblicò l’enciclica Humani generis contro la cosiddetta Nouvelle théologie, furono destituiti dalle loro cattedre alcuni teologi gesuiti di Fourvière-Lyon come Henri de Lubac e Jean Daniélou e alcuni teologi domenicani di Le Saulchoir-Paris, come Yves Congar e Dominique Chénu. Più tardi alcuni di costoro divennero gli “esperti” al concilio Vaticano II convocato da papa Giovanni XXIII.

Durante il Vaticano II si sviluppò una forte opposizione guidata dal vescovo francese Marcel Lefèbvre che respinse il concilio Vaticano II perché lo riteneva neo-modernista e neo-protestante e finì per essere scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988, quando iniziò a ordinare vescovi al di fuori di Roma per la sua Fraternità San Pio X.

Paolo VI, in seguito alla sua enciclica Humanae vitae del 1968 sul controllo delle nascite, fu rispettosamente contestato da numerose conferenze episcopali che, senza negare i valori del suo contenuto, chiedevano una maggiore integrazione e puntualizzazione.

Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, più di 100 teologi furono indagati, ammoniti, messi a tacere, alcuni rimossi dalle loro cattedre e uno addirittura scomunicato.

Questo preambolo storico serve a non meravigliarsi se anche oggi, davanti alla nuova immagine di Chiesa che Francesco propone, sono sorte delle voci discordi e critiche fortemente contrarie al suo pontificato.

Opposizione a Francesco

Attraverso l’andirivieni della storia si desume che il tipo e l’orientamento dell’opposizione dipendono sempre dal momento storico che si vive: si tratta di voci progressiste e profetiche nei momenti della classica cristianità o neo-cristianità e di voci reazionarie, fondamentaliste e conservatrici nei momenti di una riforma ecclesiale che vuole tornare alle fonti evangeliche e allo stile di Gesù.

Critiche a Francesco

Attualmente esiste un forte gruppo di opposizione contro la Chiesa di Francesco: laici, teologi, vescovi e cardinali che vorrebbero le sue dimissioni o la sua rapida scomparsa e aspettano un nuovo conclave per cambiare il corso della Chiesa attuale.

Non vogliamo qui fare un’indagine socio-storica, e nemmeno uno show mediatico, tipo western, tra buoni e cattivi, perciò preferiamo non citare i nomi e i cognomi degli oppositori che oggi stanno “spellando vivo” Francesco, quanto piuttosto rilevare quali sono le linee di fondo teologiche che soggiacciono a questa sistematica opposizione a Francesco, e sapere qual è il motivo della polemica.

Le critiche a Francesco hanno due dimensioni, una teologica e un’altra piuttosto sociopolitica, anche se, come vedremo più avanti, molte volte entrambe le linee convergono tra loro.

Critica teologica

La critica teologica parte dalla convinzione che Francesco non è un teologo, ma uno che viene dal Sud, dalla fine del mondo, e che questa mancanza di professionalità teologica spiega le sue inesattezze e persino i suoi errori dottrinali.

Questa mancanza di professionalità teologica di Francesco viene messa a confronto con la competenza accademica di Giovanni Paolo II e naturalmente di Josef Ratzinger-Benedetto XVI.

opposizione a FrancescoLa mancanza di teologia di Francesco spiegherebbe le sue pericolose affermazioni sulla misericordia di Dio in Misericordiae vultus (MV), la sua tendenza filocomunista verso i poveri e i movimenti popolari e la pietà popolare come luogo teologico in Evangelii gaudium (EG 197-201); la sua mancanza di teologia morale nell’aprire la porta ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e, in alcuni casi, previo discernimento personale ed ecclesiale, alle coppie cattoliche separate e risposate, come appare in una nota del capitolo ottavo di Amoris laetitia (AL 305, nota 351); la sua scarsa competenza scientifica ed ecologica si manifesterebbe nella sua enciclica sulla cura della casa comune (Laudato si’); e scandalizza la sua eccessiva enfasi sulla misericordia divina (Misericordiae vultus), che riduce a buon prezzo la grazia e la croce di Gesù.

Davanti a queste accuse, vorrei ricordare un’affermazione classica di Tommaso d’Aquino che distingue tra la cattedra magisteriale, propria dei teologi professori delle università, e la cattedra pastorale che corrisponde ai vescovi e ai pastori della Chiesa. Newman riprende questa tradizione affermando che, sebbene a volte tra le due cattedre ci possa essere tensione, alla fine c’è convergenza tra di esse.

Questa distinzione viene applicata a Francesco il quale, sebbene come gesuita padre Jorge Mario Bergoglio abbia studiato e insegnato teologia pastorale a San Miguel de Buenos Aires, ora i suoi pronunciamenti appartengono alla cattedra pastorale del vescovo di Roma. Non presume di sedersi su questa cattedra come teologo, ma come pastore. Come è stato detto con un certo umorismo, dobbiamo passare dal Bergoglio della storia al Francesco della fede.

Ciò che, in fondo, indispone i suoi detrattori è il fatto che la sua teologia parta dalla realtà, dalla realtà dell’ingiustizia, della povertà e della distruzione della natura e dalla realtà del clericalismo ecclesiale.

Non disturba il fatto che abbracci i bambini e i malati, ma indispone che vada a visitare Lampedusa e i campi profughi e migranti come a Lesbo, indispettisce che dica che non si devono costruire muri contro i rifugiati ma ponti di dialogo e di ospitalità; dà fastidio che, al seguito di Giovanni XXIII, affermi che la Chiesa dev’essere povera e dei poveri, che i pastori devono sentire l’odore della pecora, che la Chiesa dev’essere una Chiesa in uscita che va alle periferie e che i poveri sono un luogo teologico.

Disturba che dica che il clericalismo è la lebbra della Chiesa ed enumeri le 14 tentazioni della curia vaticana che vanno dal sentirsi essenziali e necessari alla smania di ricchezza, alla doppia vita e all’Alzheimer spirituale.

Infastidisce che aggiunga che queste sono anche tentazioni delle diocesi, delle parrocchie e delle comunità religiose.

Importuna che dica che la Chiesa deve essere una piramide rovesciata, con i laici in alto e il papa e i vescovi in basso e che dica anche che la Chiesa è poliedrica e soprattutto sinodale, e che facciamo tutti insieme lo stesso cammino, che dobbiamo ascoltarci e dialogare; dà fastidio che in Episcopalis communio si parli di Chiesa sinodale e della necessità di ascoltarsi reciprocamente.

Irrita i gruppi conservatori che Francesco abbia ringraziato Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Jon Sobrino, José María Castillo per i loro contributi teologici e abbia annullato le sospensioni a divinis a Miguel d’Escoto e a Ernesto Cardenal; sorprende che a Küng, che scrisse a Francesco sulla necessità di ripensare l’infallibilità, abbia risposto chiamandolo “caro confratello” (Lieber Mitbruder) e che avrebbe preso in considerazione le sue osservazioni, disposto a dialogare sull’infallibilità.

E infastidisce molti che Francesco abbia canonizzato Romero, il vescovo martire salvadoregno, tacciato da molti come comunista e utile idiota della sinistra, la cui causa era rimasta bloccata per anni.

Infastidisce che dica che non spetta a lui giudicare gli omosessuali, che affermi che la Chiesa è femminile e che, se le donne non vengono ascoltate, la Chiesa resterà impoverita e parziale.

La sua invocazione alla misericordia, una misericordia che è al centro della rivelazione biblica, non gli impedisce di parlare di tolleranza zero contro gli abusi di membri significativi della Chiesa verso i minori e le donne, un crimine mostruoso, del quale si deve chiedere perdono a Dio e alle vittime, riconoscere il silenzio complice e colpevole della gerarchia, cercare di riparare, proteggere i giovani e i bambini impedendo che accada di nuovo. E non gli trema la mano quando degrada e destituisce dai suoi incarichi il colpevole, sia esso cardinale, nunzio, vescovo o presbitero.

È chiaro che egli non è un teologo, ma che la sua teologia è pastorale: Francesco passa dal dogma al kerigma, dai principi teorici al discernimento pastorale e alla mistagogia. E la sua teologia non è coloniale, ma del Sud e questo disturba il Nord.

Critica socio-politica

Di fronte a coloro che accusano Francesco di essere terzomondista e comunista, occorre affermare che i suoi messaggi sono in perfetta continuità con la tradizione profetica, biblica e con la dottrina sociale della Chiesa.

Ciò che infastidisce è la sua chiaroveggenza profetica: no a un’economia di esclusione e di disuguaglianza, no a un’economia che uccide, no a un’economia senza volto umano, no a un sistema sociale ed economico ingiusto che si cristallizza in strutture sociali ingiuste, no a una globalizzazione dell’indifferenza, no all’idolatria del denaro, no a un denaro che governa anziché servire, no a una disuguaglianza che genera violenza, e al fatto che nessuno deve strumentalizzare Dio per giustificare la violenza, no all’insensibilità sociale che ci anestetizza di fronte alla sofferenza altrui, no agli armamenti e all’industria della guerra, no al traffico di esseri umani e a qualsiasi forma di morte provocata (EG 52-75).

Francesco non fa altro che aggiornare il comandamento di non uccidere e difende il valore della vita umana, dall’inizio sino alla fine e ripete a noi oggi la domanda di YHWH a Caino: «Dov’è tuo fratello?».

Inoltre, disturba la critica al paradigma antropocentrico e tecnocratico che distrugge la natura, inquina l’ambiente, attacca la biodiversità ed esclude i poveri e gli indigeni da una vita umana dignitosa (LS 20-52).

opposizione a Francesco

Tim Busch

Disturba le multinazionali che egli critichi le imprese forestali, petrolifere, le compagnie idroelettriche e minerarie che distruggono l’ambiente, danneggiano gli indigeni di quel territorio e minacciano il futuro della nostra casa comune. Infastidisce la sua critica ai leader politici incapaci di prendere risoluzioni coraggiose (LS 53-59).

E comincia a infastidire l’annuncio del prossimo sinodo di ottobre 2019 sull’Amazzonia, che è un esempio concreto della necessità di proteggere l’ambiente e salvare i gruppi amazzonici indigeni dal genocidio. Alcuni alti dignitari della Chiesa hanno affermato che l’Instrumentum laboris o Documento preparatorio del sinodo è eretico, panteista e nega la necessità della salvezza in Cristo.

Altri commentatori si sono concentrati esclusivamente sulla proposta di ordinare uomini sposati indigeni per poter celebrare l’eucaristia in luoghi remoti dell’Amazzonia, ma hanno completamente ignorato la denuncia profetica che questo Documento preparatorio fa contro la distruzione estrattiva perpetrata in Amazzonia, che è causa di povertà e di esclusione delle popolazioni indigene, probabilmente mai tanto minacciate come oggi.

A modo di conclusione

Senza dubbio c’è una convergenza tra la critica teologica e la critica sociale nei riguardi di Francesco, i gruppi reazionari ecclesiali si allineano con i potenti gruppi economici e politici, specialmente del Nord. Possiamo anche chiederci se questa recente esplosione di abusi sessuali che colpisce direttamente la figura di Francesco, che è allo stesso tempo pastore riformista ecclesiale e leader mondiale, sia stata una pura casualità e una semplice coincidenza.

opposizione a FrancescoIn definitiva, l’opposizione a Francesco è un’opposizione al concilio Vaticano II e alla riforma evangelica della Chiesa che Giovanni XXIII intendeva promuovere. Francesco si pone sulla linea di tutti i profeti che volevano riformare la Chiesa, insieme a Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e Teresa di Gesù, Angelo Roncalli, Helder Cámara, Dorothy Stang, Pedro Arrupe, Ignazio Ellacuría e il nonagenario vescovo Casaldáliga.

Francesco ha ancora molti argomenti in sospeso per una riforma evangelica della Chiesa. Non sappiamo quale e come sarà la sua traiettoria futura, né cosa accadrà nel prossimo conclave.

I papi passano, ma il Signore Gesù continua ad essere presente e a sostenere la Chiesa fino alla fine dei secoli, quel Gesù che era considerato un mangione e un beone, un amico dei peccatori e delle prostitute, un indemoniato, fuori di sé, sedizioso e blasfemo. E crediamo che lo Spirito del Signore che discese sulla Chiesa primitiva nella Pentecoste non l’abbandonerà mai e non permetterà che il peccato, alla fine, trionfi sulla santità.

E intanto, come chiede sempre Francesco fin dalla sua prima apparizione sul balcone di San Pietro in Vaticano come vescovo di Roma e ancor oggi, preghiamo il Signore per lui, affinché la sua speranza non venga meno e confermi la fede dei suoi fratelli. E se non possiamo pregare o non siamo credenti, auguriamogli almeno che sia in buon forma.

il ricordo di Casaldáliga del teologo Victor Codina

 

Il mistero di Casaldáliga

il mistero di Casaldáliga

da: Adista Documenti n° 34 del 03/10/2020

 

La tenerezza e l’indignazione del vescovo profeta

Víctor Codina

la tenerezza e l’indignazione del vescovo profeta

La morte del vescovo Pedro Casaldáliga ha avuto un grande impatto. Come un giovane catalano, che si è unito ai Cordimarianos (dediti al cuore di Maria, e Casaldáliga apparteneva ai Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria o Congregazione Claretiana, ndt) ai tempi della Spagna franchista e della Chiesa preconciliare, andando in Brasile, si è convertito in un santo padre della Chiesa dei poveri?

Dove ha trovato la forza per lavorare, come pastore, a Sao Felix de AraguaIa con gli indigeni, difendere i contadini dai grandi proprietari terrieri, promuovere organizzazioni civili ed ecclesiali in Brasile e in America Latina, criticare il Nord e suggerire al papa di lasciare la curia? Come ha avuto la libertà profetica di maledire le proprietà private che schiavizzano la terra e gli esseri umani? Chi lo ha fatto resistere alle minacce di morte dei potenti e alle critiche dei suoi fratelli col pastorale?

Come ha saputo affrontare la povertà, i lunghi viaggi e le limitazioni del Parkinson? Da dove gli è venuta la sicurezza che stiamo andando verso la Speranza con la lettera maiuscola? Non era semplicemente un pianificatore pastorale, sociologo, economista o rivoluzionario politico. Qual è stata la radice ultima della sua vita?

Le sue poesie ci offrono la chiave, ci aprono al Mistero, che è Gesù di Nazareth, versione di Dio nella piccolezza umana. Per lui, Gesù è la sua forza e il suo fallimento, la sua eredità e la sua povertà, la sua morte e la sua vita. È il Gesù di Betlemme, dei pastori, delle beatitudini, dei poveri e dei piccoli, assassinato dal Tempio e dall’Impero, ma la cui tomba vuota annuncia la Pasqua. Per Pedro ci sono solo due assoluti, Dio e la fame; dove c’è il pane, lì c’è Dio.

Pedro era colpito dal capitolo 21 del Vangelo di Giovanni: la pesca nel lago di Tiberiade dopo il fallimento della notte, mentre sulla riva Qualcuno invita a mangiare e chiede a Pietro se lo ama:

«Gesù di Nazaret, figlio e fratello, / vivente in Dio e pane nella nostra mano, / via e compagno di viaggio, / Liberatore totale della nostra vita / che viene al mare, con l’alba, / le braci e le piaghe ardenti».

Ora Pedro giace sepolto vicino al fiume Araguaia. Sulla riva c’è Qualcuno che lo aspetta a braccia aperte per condividere il pane. Il mistero della vita di Casaldáliga ci si svela: i poveri gli hanno insegnato a leggere il Vangelo. Grazie, Pedro, perché la tua vita evangelica rende la nostra fede più credibile e reale. (…)

Pedro Casaldáliga, poeta, mistico, profeta

L’idea che il “vaccino” brevettato da Gesù di Nazareth potesse rimanere “in superficie” era un desiderio di extraterrestri o terrestri estranei alla durezza della vita quotidiana. Ma l’immersione nel pozzo del virus neoliberista è penetrata così tanto e così in profondità da essere visto come non negoziabile. Nessuno sembra sfuggire alla morsa gigantesca del sistema neoliberista.

La verità è che il pianeta Terra sta esplodendo perché questo pericoloso virus ha superato tutti i limiti e minaccia di affondare la nave stessa del pianeta Terra. Nasce la consapevolezza che il virus-sistema neoliberista può porre fine alla vita di alcuni e di tanti, di tutti.

Sarebbe un segno di speranza capovolgere radicalmente un sistema fallito. È la prima cosa ed è il minimo che deve accadere: che suoni l’allarme dei profeti, nella Chiesa, negli Stati, nel commercio mondiale, in politica. Non c’è speranza, non c’è futuro, né c’è vita se non c’è cambio di rotta, abbracciato e condiviso da tutti.

Casaldaliga. La grandezza della sua testimonianza rende credibili le sue parole

– Nella Chiesa (28 febbraio 1986)

«Caro fratello Giovanni Paolo II: senza “conformarsi a questo mondo”, la Chiesa di Gesù, per essere fedele al Vangelo del Regno, deve essere attenta “ai segni dei Tempi” e dei Luoghi e annunciare la Parola, in tono culturale o storico e con una testimonianza di vita e pratica tali che uomini e donne di ogni tempo e luogo possano comprendere questa Parola e siano incoraggiati ad accettarlo».

«Concretamente, riguardo al campo sociale, non possiamo dire, con molta verità, che abbiamo già fatto l’opzione per i poveri. In primo luogo, perché non condividiamo nelle nostre vite e nelle nostre istituzioni la reale povertà che loro sperimentano. E, in secondo luogo, perché non agiamo, di fronte alla “ricchezza dell’iniquità”, con quella libertà e fermezza che erano adottate dal Signore. L’opzione per i poveri, che non escluderà mai la persona del ricco – poiché la salvezza è offerta a tutti e il ministero della Chiesa è dovuto a tutti –, esclude il modo di vivere dei ricchi, “insulto alla miseria dei poveri”, e il loro sistema di accumulazione e privilegio, che necessariamente depreda ed emargina la stragrande maggioranza della famiglia umana, dei popoli e di interi continenti».

«Non ho fatto la visita ad limina, neanche dopo aver ricevuto, come gli altri, un invito dalla Congregazione per i Vescovi che ci ha ricordato questa pratica. Volevo e desidero aiutare la Sede Apostolica a rivedere la forma di quella visita. Sento critiche da parte di molti vescovi, perché, pur riconoscendo che favorisce un contatto con i Dicasteri romani e un cordiale incontro con il papa, la modalità di questa pratica si rivela incapace di produrre un vero scambio di collegialità apostolica dei Pastori delle Chiese Particolari con il Pastore della Chiesa universale. Si affronta una grande spesa, si stabiliscono contatti, si realizza una tradizione. Ma si compie la tradizione del videre Petrum e di aiutare Pietro a vedere tutta la Chiesa? La Chiesa non ha oggi altri modi più efficaci di scambio, di stabilire contatti, valutare, esprimere la comunione dei Pastori e delle loro Chiese con la Chiesa universale, più concretamente con il vescovo di Roma?».

«Il papa ha bisogno, come tutti i vescovi della Chiesa, di un corpo di ausiliari, anche se il tutto dovrebbe essere sempre semplificato e più partecipativo. Tuttavia, fratello Giovanni Paolo, per molti di noi alcune strutture della Curia non rispondono alla testimonianza di quella semplicità evangelica e di quella comunione fraterna che il Signore e il mondo ci richiedono; né tali strutture traducono nei loro atteggiamenti, a volte centralizzatori e impositivi, una cattolicità veramente universale, né rispettano sempre le esigenze della corresponsabilità adulta; neppure, a volte, i diritti fondamentali della persona umana o dei diversi popoli. Né mancano, frequentemente, in settori della Curia romana, pregiudizi, attenzione unilaterale alle informazioni, o anche posizioni, più o meno inconsce, di etnocentrismo culturale europeo rispetto all’America Latina, all’Africa e all’Asia»

– Nelle relazioni internazionali: Primo mondo/Terzo mondo (agosto 1990) «Dico sempre, cambiando quello che diceva Ortega y Gasset, che io sono io e le mie cause, e le mie cause valgono più della mia vita. Le mie cause, ma non solo le mie, sono: la terra, l’acqua, l’ecologia, le nazioni indigene, i neri, la solidarietà, la vera integrazione continentale, lo sradicamento di ogni emarginazione, di ogni imperialismo, di tutto il colonialismo, il dialogo interreligioso e interculturale, il superamento di quello stato di schizofrenia umana che è l’esistenza di un Primo e di un Terzo mondo (e anche di un quarto mondo) mentre siamo un unico mondo, la grande famiglia umana, figli del Dio di tutta la vita».

«Ciò che intendiamo, assumendo queste cause, è umanizzare l’umanità praticando la prossimità… La scienza, la tecnologia, il progresso sono degni dei nostri pensieri e delle nostre mani solo se ci umanizzano di più. E questo ci impegna a trasformare il mondo insieme… Dato che ora tutti incontriamo tutti, dobbiamo scegliere se scontrarci gli uni con gli altri, nell’intolleranza e nell’aggressione, o abbracciarci nella comprensione e nella complementarità. Faccio mie le parole di Baltasar Porcel: le nazioni sono contenuto, non frontiere. È tempo, quindi, di credere, in plurale unità, nel Dio della vita e dell’amore e di praticare la religione come giustizia, servizio e compagnia. Un Dio che separa l’umanità è un idolo mortifero».

«Non possiamo celebrare l’Eucaristia all’ombra dei signori». «I poveri sono la pupilla dei miei occhi. Mi ha sempre spezzato il cuore vedere la povertà da vicino. Mi trovo bene con gli esclusi. Non sono in grado di assistere a una sofferenza senza reagire. D’altronde, non ho mai dimenticato di essere nato in una famiglia povera. Mi sento male in un ambiente borghese. Mi sono sempre chiesto perché, se posso vivere con tre camicie, me ne servano dieci nell’armadio. I poveri della mia Prelatura vivono con due».

«Se dovessi dire qual è il motivo di questa mia lotta, direi: questa è la mia passione per l’utopia. Una passione scandalosamente inattuale in quest’epoca di pragmatismi, di produttività, di commercializzazione totale, di postmodernità senza speranza. Ma, in altre parole, è la passione della Speranza; è, in termini cristiani, la passione per il Regno, che è la passione di Dio e del suo Cristo. Una passione che, in prima e ultima istanza, coincide con la migliore passione dell’umanità stessa, quando vuole essere pienamente umana, autenticamente viva e definitivamente felice… Non voglio la globalizzazione neoliberista omicida, suicida; ma la mondializzazione della solidarietà per la costruzione (certamente progressiva e perfino dialettica) dell’uguaglianza nella dignità, nei diritti e nelle responsabilità degli individui e dei loro popoli, che faranno una l’umanità, sebbene plurale nelle sue alterità».

Convinciti, mi diceva Casaldáliga in un’intervista: «Solo nella misura in cui il Primo Mondo cessa di essere Primo Mondo può aiutare il Terzo Mondo. Per me questo è un dogma di fede. Se il Primo Mondo non si suicida come Primo Mondo, il Terzo Mondo non può esistere “umanamente”. Finché ci sarà un Primo Mondo ci saranno privilegi, esclusione, dominio, lusso ed emarginazione. Se voi nel Primo Mondo non decidete di essere un mondo umano, noi non potremo esserlo. Perché c’è un solo mondo. La liberazione presuppone consapevolezza e possesso della propria identità».

«Sono convinto che non si possa essere rivoluzionari o profeti o liberi senza essere poveri. Essendo povero mi sento libero da tutto e per tutto. Il mio motto è: essere libero di essere povero. Se senti la povertà come una questione di giustizia e di decenza umana, proverai necessariamente compassione, mostrerai amore e ti ribellerai con indignazione».

«Chi crede in Dio deve credere nella dignità dell’uomo. Chi ama il Padre deve servire i fratelli. Il Vangelo è un fuoco che brucia la tranquillità. Non si può essere cristiani e sopportare l’ingiustizia con la bocca chiusa. Gesù dice nel Vangelo che Dio ci giudicherà l’ultimo giorno per quello che abbiamo fatto con i nostri fratelli più poveri e più piccoli».

La sua profezia

Parlare di Pedro come profeta è un buon modo per capire la sua personalità cristiana.

La società che rimane senza profeti rimane cieca. Ma succede che i profeti non abbondino, sicuramente perché i profeti offrono una visione della realtà che la maggior parte di noi non ha o non vuole avere.

Il profeta è un veggente realista, che percepisce la realtà di Dio principalmente attraverso gli eventi della vita, le persone che lo attorniano, gli avvenimenti che lo accompagnano. È una persona libera e coraggiosa: non sposa nessuno e canta la verità ovunque manchi e davanti a chiunque. E per questo motivo entra in conflitto con ogni tipo di potere: monarchie, regimi politici, caste sacerdotali, multinazionali, ecc. E il profeta agisce con la parola parlata e scritta e con azioni simboliche.

«Dio è la ragione più grande o la migliore, la passione della mia vita, è una realtà ineludibile, una presenza certa, anche se libera e sovrana. Una presenza mai rivelata, sempre più riferita al futuro totale della più grande speranza, ma sempre operativa, di apparizione improvvisa e invocata».

«Chiedermi se farei quello che faccio se Dio non esistesse è come chiedermi cosa farei io se non esistessi o se non fossi una persona e un cristiano. So che altri senza Dio chiaramente fanno di più e danno tutto, e danno se stessi. Credo sempre che Dio sia con loro».

«Ho avuto un incontro esplicito con Dio, in Gesù Cristo, all’interno della comunità di fede, che è la sua Chiesa. E questo è un mistero che mi travolge e che mi costringe a credere che Dio è più grande dei nostri cuori, dei nostri dogmi e della nostra comunità».

Fu questa la fede che lo portò a “cantare” quando morì Che Guevara:

Riposa in pace. / E aspetta già al sicuro / con il petto guarito / dall’asma della stanchezza; / pulito dall’odio lo sguardo morente; / senza più armi, amico, / che la spada nuda della tua morte.

Né il “buono”, da una parte, / né il “cattivo”, dall’altra, / capiranno il mio canto. / Diranno che sono semplicemente un poeta. / Penseranno che la moda mi ha preso. / Ricorderanno che sono un prete “nuovo”.

Mi importa di tutto lo stesso! / Siamo amici / e parlo con te ora / attraverso la morte che ci unisce; / allungandoti un ramo di speranza, / un’intera foresta fiorita / di jacaranda perenni iberoamericani, / caro Che Guevara!

Libertà, povertà e profezia sono le insegne di Pedro Casaldáliga.

Per prima cosa, prendersi cura dell’uomo

Racconta Pedro che, navigando sul Rio de las Mortes (nello Stato del Mato Grosso, ndt), dovette prendersi cura di un uomo morente. La comunità gli chiese di celebrare una messa. Non c’erano né pane né vino. Non aveva con sè nulla per dire la messa perché, racconta, «Io ero andato con la preoccupazione di assistere l’uomo. C’era una piccola taverna lì. Presi dei biscotti e della caña (simile alla grappa, ndt) e ho celebrato la messa. Ho pensato che fosse una bella messa. La gente mi chiedeva la messa e io ero prete; la Pasqua di Cristo si può celebrare con il vino delle vigne d’Italia o di Spagna, ma se non c’era vino, perché non si poteva celebrare con alcol da canna da zucchero?».

La scomunica delle haciendas

Un’altra volta, racconta, è arrivato a un atto estremo: «Ho maledetto una struttura di accumulazione, capitalizzazione, esclusione e dominio. Sono persino arrivato al punto di scomunicare due tenute, La Piraguacu e La Frenova, perché avevano uomini armati che hanno ucciso i peones, ne hanno tagliate delle parti e le hanno portate alla hacienda per provare la loro morte. Quella vol ta ho seppellito uno di quei peones assassinati, ho preso una manciata di terra dalla sua tomba, l’ho messa sull’altare e ho scomunicato queste tenute. Ma è stato un atto contro le haciendas, non contro il popolo».

Il Vangelo a favore dei poveri, contro i ricchi

Dove Pedro non dà spazio a compromessi è il tema dei ricchi e dei poveri: «Abbiamo detto tante volte che, qui, o stai da una parte o dall’altra. Dico sempre che il Vangelo è per i ricchi e per i poveri. È per tutti ma è a favore dei poveri ed è anche a favore dei ricchi, ma contro la loro ricchezza, contro i loro privilegi, contro la possibilità che hanno di sfruttare, dominare ed escludere. Posso relazionarmi con i ricchi, a patto di dire loro le verità e che io non mi lasci trasportare… Non è che non posso andare un giorno a fare uno spuntino a casa di un uomo ricco, ma se ci vado ogni settimana e non succede niente, non dico niente, non scuoto quella casa, non scuoto quella coscienza, mi sono venduto e ho negato la mia opzione per i poveri».

A favore della proprietà privata, non privativa

«Una volta ho avuto l’opportunità di intervenire in un procedimento pubblico nell’Assemblea nazionale, dove si trattava di una questione fondiaria. E allora alcuni dei senatori e deputati più conservatori – molti di loro molto cattolici e praticanti – mi hanno detto: Monsignore, lei è contro la proprietà privata! Ho risposto: no, se avete una maglietta e tutti possono averne una, io sono favorevole alla proprietà privata di ogni maglietta. Ma se hai 50 megliette e la maggioranza delle persone non ne ha nessuna, la proprietà privata è privativa».

Consumismo

«In questi tempi di tanto consumismo, credo che la Chiesa di Gesù, e specialmente quelli di noi che sono o dovrebbero essere più responsabili all’interno della Chiesa, dobbiamo offrire una testimonianza di anti-consumismo. Il progetto del mercato, in fondo, è il consumismo… Ciò che mi costituisce non è ciò che ho, ma ciò che sono, ciò che amo, le ragioni della mia vita… È ciò che do che mi costituisce, non quello che ho. Ma se ho molto e do poco, ho meno perché sono meno».

Teologia della liberazione

Una volta gli ho posto questa domanda: cosa resta della Teologia della Liberazione? Con una sacra indignazione, mi ha risposto:

«Sono stufo di sentire questa domanda. Mi hanno chiesto se è ancora attuale o del passato compagni, vescovi, giornalisti… Che non continuino a enumerarmi, almeno per vergogna, le barbarità – vere calunnie – che affibbiano alla Teologia della Liberazione e ai suoi teologi! Noi, teologi della liberazione, i vescovi che ci accompagnano e le Chiese che beneficiano delle nostre dottrine, non abbiamo optato per Marx ma per il Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo, per il suo Regno e per i suoi poveri.

Il nostro Dio vuole la liberazione da ogni schiavitù, da ogni peccato e dalla morte. Analizzare la tragica situazione di due terzi dell’umanità, segnalarla come contraria alla volontà di Dio e assumere impegni concreti per trasformare questa situazione sono passi obbligati della Teologia della Liberazione. Ai nemici del popolo non piace la Teologia della Liberazione. Festeggerebbero così tanto i cristiani se pensassero solo al Cielo… disprezzando la Terra! Mentre noi vogliamo guadagnare il Cielo conquistando la Terra. Figli liberi di Dio Padre e veri fratelli».

«Non avere niente. Non prendere niente. Non potere niente. Non chiedere niente. E, pure, non uccidere niente; non tacere. / Solo il Vangelo, come un coltello affilato, / e le lacrime e il riso negli occhi, / e la mano tesa e stretta, / e la vita, a cavallo, data. / E questo sole, e questi fiumi, e questa terra acquistata, / per testimoniare la rivoluzione che è già scoppiata. / E più niente!».

La sua radicalità lo ha portato a dire:

«Il teologo Karl Rhaner ha scritto: Nel XXI secolo un cristiano o sarà un mistico o non sarà un cristiano. Che si sappia, considero Rhaner il più grande teologo del XX secolo. Tuttavia, credo, con la più ferma convinzione evangelica, che oggi, già nel XXI secolo, un cristiano o una cristiana, o è povero e/o alleato o alleata visceralmente con i poveri, o non è cristiano, non è cristiana. Nessuna delle affermazioni famose della Chiesa rimane in piedi se si dimentica questa fondamentale, la più evangelica di tutte: l’opzione per i poveri».

Pedro Casaldáliga in prima linea nella giustizia e nella carità

(…)

– Leonardo Boff

«Quando i perturbati tempi attuali saranno passati, quando le diffidenze e meschinità saranno inghiottite dal vortice del tempo, quando guarderemo indietro e considereremo gli ultimi decenni del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, identificheremo una stella nel cielo della nostra fede, splendente, dopo aver fermato le nuvole, sopportato le tenebre e superato le tempeste: è la figura semplice, povera, umile, spirituale e santa di un vescovo che, straniero, diventa connazionale, distante si fa prossimo e, prossimo, si fa fratello di tutti, fratello universale: don Pedro Casaldáliga».

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