il monoteismo cristiano è ‘violento’ o possibile generatore di violenza?

 

riflessioni politico-religiose indotte dalla morte di Andreotti

   

 

un corposo documento dei cosiddetti ‘teologi del papa’ (fra cui anche l’italiano P. Sequeri – di cui si riproduce qui sotto una  apprezzabile riflessione -) ha visto la luce in questi giorni con lo scopo di rigettare la critica che troppo spesso viene fatta, soprattutto negli ultimi tempi, alla concezione cristiana di Dio e al monoteismo come possibile fonte di violenza essendo radicalmente violento, in quanto tale, il concetto stesso di monoteismo

di seguito l’articolo illustrativo di M. Burini e la riflessione di P. Sequeri che, al contrario, scorge nella concezione cristiana di Dio l’antidoto stesso alla violenza:

Il monoteismo dei cristiani non è violento. Lo dicono i teologi del Papa

 

di Marco Burini

in “Il Foglio” del 17 gennaio 2014

 

Che monoteismo sia sinonimo di violenza è una di quelle ipotesi di scuola diventate col tempo luogo comune, luogo comune assorbito senza troppi patemi dagli stessi credenti. Per confutare l’equazione, perciò, ci vuole gente attrezzata e piuttosto temeraria. I teologi, stando all’identikit  ne ha fatto Francesco, il 6 dicembre scorso: “Pionieri del dialogo della chiesa con le culture” che non restano nelle retrovie, “in caserma”, ma “in frontiera”.

Bergoglio aveva davanti per la prima volta la Commissione teologica internazionale (Cti), una sorta di selezione mondiale di teologi e teologhe voluta dal Papa (l’idea è di Paolo VI, 1969) per sostenerlo scientificamente nel suo magistero, che in questi giorni pubblica “Dio Trinità, unità  uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza”, dopo cinque anni di studi e confronto. Un documento corposo ma tutt’altro che illeggibile – il che non è poco, visto il genere letterario – firmato da un gruppo ristretto in cui spicca Pierangelo Sequeri, non tanto perché l’unico italiano ma perché la redazione finale del testo è, per chi lo conosce, di sua mano.

La sostanza del ragionamento è chiara: la chiesa non ci sta più a subire una comunicazione pubblica che identifica come intollerante e tendenzialmente violento chi crede nell’unico Dio: ebrei, musulmani e cristiani. Accusa che colpisce specialmente questi ultimi, però, dato che gli ebrei non conoscono il proselitismo (parola detestata da Bergoglio stesso perché fuorviante), mentre dell’islam si ragiona quasi sempre (tranne a Ratisbona) in termini geopolitici e non teologici.

Restano i cristiani, meglio ancora i cattolici – i più numerosi e pittoreschi – soggetti poco affidabili in una democrazia che veste meglio un politeismo sinonimo di tolleranza.

Tramontata l’epoca dell’unico re in nome dell’unico Dio, siamo nell’èra del pluralismo dei  sotto un cielo piuttosto affollato. Eppure la storia ci ricorda che i politeisti non sono affatto teneri.

Proprio Francesco, l’altroieri nell’udienza in piazza San Pietro, ha evocato la persecuzione dei cristiani in Giappone nel XVII secolo; anche una religione porosa e per niente dogmatica come lo shintoismo ha benedetto massacri.

Mentre il dogma fondante del cristianesimo – la morte e resurrezione di Gesù – espelle la violenza che, René Girard insegna, sempre si mescola al sacro. “Il principio di questa verità cristologica di Dio non si è mai perso – ricorda il documento della Cti – a costo di mettere il cristianesimo in contraddizione fra la sua prassi storica e la sua autentica ispirazione”. Insomma, i cristiani sono stati spesso violenti non perché cristiani ma perché tali solo di nome, traditori del dogma originale, ama Dio e ama il prossimo, incarnato in Gesù di Nazaret.

Certo, è dura scalfire la crosta di ignoranza, più o meno in malafede, che riveste una parola come dogma: un pesante macigno che incombe sulla testa di gente inadatta a pensare. Come se oggi la verità non potesse darsi che in maniera dispotica, “una minaccia radicale per l’autonomia del soggetto e per l’apertura della libertà”, notano Sequeri&Co. Proprio mentre si assiste a un “indebolimento, nel costume occidentale, del rispetto per la vita, dell’intimità della coscienza, della tutela dell’uguaglianza, della razionale passione per un impegno etico condiviso e per il rispetto dell’autentica coscienza religiosa”. Insomma, liquidato – anzi pervertito per dirla con Illich – il cristianesimo, la nostra cultura non ha trovato qualcosa di meglio, anzi è ancora lì curva a picconare il simulacro. Certo, c’è voluto “un lungo cammino storico di ascolto della Parola e dello Spirito per purificare la fede cristiana da ogni ambigua contaminazione con le potenze del conflitto dell’assoggettamento”, ma questo potrebbe essere il punto di svolta.

I teologi, che Bergoglio sprona ad assecondare il fiuto del popolo di Dio (sensus fidelium, in gergo), segnalano il grado di maturazione ecclesiale. Si riparte dunque dai fondamentali, recuperando la più genuina tradizione biblica e respingendo la “rozza semplificazione” fra “un Dio cattivo dell’Antico testamento e un Dio buono del Nuovo testamento”, che “ancor oggi continua a essere utilizzata all’interno di certa apologetica popolare (e persino cultura alta)”, buon ultimo Scalfari. Il tesoro della rivelazione sta lì dentro e non ha smesso di sprigionare la sua energia, quel dinamismo divino che prende il nome di Trinità. Ed è nel suo nome che il monoteismo viene riscattato dalla violenza in favore dell’amore (che “non va confuso con la mancanza di coraggio né indicato come irresponsabile ingenuità”) e della giustizia (quella divina, però, che “mette definitivamente al riparo la vittima delle potenze mondane dalla violenza che ha subìto”). E’ un dramma, la storia, e cristiani non ignorano la dialettica tra lo Spirito e la forza. Proprio per questo non ci stanno a essere ridotti a quel monoteismo intollerante che è un dogma dell’opinione pubblica. Ma anche per i dogmi, è meglio diffidare delle imitazioni.

croce

 

Nel monoteismo cristiano c’è l’antidoto alla violenza

di Pierangelo Sequeri

in “Avvenire” del 17 gennaio 2014

Fino all’altro ieri, ‘monoteismo’ era una categoria d’uso corrente, soprattutto fra i dotti studiosi di storia delle religioni, per indicare un grado di alta perfezione dell’idea di ‘Dio’: di fatto, la concezione del divino più coerente con la filosofia occidentale della ragione, e anche la più degna del pensiero umano del trascendente. In una manciata di anni, ‘monoteismo’ sembra essere diventato il nome in codice dell’oscurantismo religioso, il peggiore che sia immaginabile. Di fatto, esso è individuato come la minaccia essenziale al progresso di una civiltà della ragione e della tolleranza.

Le tre religioni monoteistiche dell’area mediterranea (giudaismo, cristianesimo, islam) appaiono così, essenzialmente in virtù di questo presupposto, come il seme radicale della violenza fra gli uomini.

La compulsiva diffusione della formula, che interpreta il monoteismo religioso come l’ideologia radicale della volontà di potenza, è certamente frutto dell’ignoranza. Ma anche una semplificazione grave. La formula è culturalmente nobilitata dagli effetti della nuova recezione progressista di Nietzsche, la cui ossessione antireligiosa ha indotto la tradizionale critica occidentale (greca e cristiana) nei confronti della violenza a rivolgersi contro la verità e il bene: che sarebbero le sue più insidiose coperture. Una parte dell’intellighenzia occidentale si è così applicata con metodo alla denuncia totale della religione, della metafisica, della spiritualità e della morale: indicando il cristianesimo come regista e garante dell’alleanza dispotica che le abita. La critica smantella così, con metodico puntiglio, anche tutti i presìdi del logos che ha storicamente cercato il contenimento della violenza, distraendo la nostra attenzione dalla violenza vera e propria. Questa irresponsabile deriva della cultura chiede nervi saldi e senso critico. È certo che esiste, storicamente, un oscuro rapporto fra le umane tradizioni del sacro e l’oscura pulsione della violenza, che ritorna di generazione in generazione (e la Bibbia spiega anche la ragione dell’umana corruzione del sacro, che sta all’origine di ogni peccato). La violenza è un tema cruciale dell’intera storia umana proprio perché essa è in grado di contaminare anche ogni presidio religioso e razionale del suo contenimento culturale. In questo senso, contrastarla è problema comune e dovere sacro di tutte le culture umane. Le guerre di religione, come la guerra alla religione, sono due forme dell’identica perversione.

La testimonianza riflessiva della fede cristiana nell’unico Dio deve dunque tenere seriamente conto del disorientamento prodotto dalla semplificazione ideologica associata al concetto di monoteismo (insieme con la generale intimidazione nei confronti della religione, che vi si accomoda).

Il nuovo documento della Commissione teologica internazionale, intitolato Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza, indica esplicitamente questa consapevolezza (come appare chiaramente dal primo capitolo, che ne istruisce i termini). Nondimeno, lo svolgimento del testo è guidato da una convinzione propositiva: la riflessione teologica può e deve trarre dalla migliore conoscenza e intelligenza della Parola di Dio i princìpi della decostruzione di questo pregiudizio. L’inedito assoluto della fede cristiana, infatti, è proprio nella smentita del valore di rivelazione della violenza omicida in nome di Dio, come fosse il sigillo della vittoria della verità e dell’eroismo della fede. Il successivo sviluppo della riflessione, che illustra le premesse e le implicazioni del nucleo cristiano della rivelazione non-violenta di Dio, è dunque ispirato da una duplice attenzione, la quale marca anche l’attualità della sua istruzione e della sua offerta di sintesi. Da un lato è mantenuta una puntuale attenzione all’articolazione della rivelazione di Dio con l’umanesimo non violento della sua attestazione. Dall’altro lato, speciale cura è dedicata al fatto che la rivelazione dell’intimità e della comunicazione trinitaria dell’unico Dio, lungi dal violarla, custodisce intatta l’unità e semplicità dell’essere divino, sigillandola come perfezione della vita e dell’amore. Il documento Dio Trinità, unità degli uomini non è reticente sul fatto che le molte luci dell’ininterrotta tradizione cristiana di questo principio sono state intercettate dalle molte ombre di una storia che le ha gravemente oscurate. Esprime nondimeno la convinzione che proprio questo sia un tempo particolarmente favorevole al disinnesco definitivo di antiche ambivalenze. Il cristianesimo ora ha maturato anche storicamente – ai livelli più alti e autorevoli della coscienza di sé, e della forma del suo annuncio – la serietà irrevocabile dell’interdetto evangelico nei confronti di ogni contaminazione fra religione e violenza. Inoltre, chiunque parli in questi termini, oggi – nelle sedi degli incontri interreligiosi, come nelle aule del consesso mondiale dei popoli – parla un linguaggio obiettivamente cristiano. Il compito di essere all’altezza di questo kairòs, anche mediante una teologia più trasparente della sua intrinseca verità cristiana, è un impegno dal quale il cristianesimo, per primo, non potrà più regredire.

Il testo dei 30 teologi, che vengono da ogni parte del mondo, non si limita a incoraggiare gli adoratori di Dio a far seriamente lievitare la testimonianza della religione verso la compiuta separazione dall’anti-umanesimo della violenza. Il loro discorso, non senza un tratto di garbata audacia, si spinge anche a suggerire alla filosofia critica e alla cultura politica dell’epoca di riprendere coraggio, per riscattarsi dalla decostruzione alla quale, mestamente o imperativamente, ci esorta. In altri termini, sembra venuta l’ora di chiudere i conti con il lavoro distruttivo del caos, per riprendere fiducia nel lavoro costruttivo del logos. In ogni modo, ognuno esamini se stesso e risponda onestamente all’appello dei popoli. La teologia cattolica ha fatto la sua mossa

 

polizia italiana violenta!

polizia violenta

pregevole e meritevole, oltre che seria professionalmente, la puntata di ‘presadiretta’ sulla violenza impunita e anche ‘protetta’ da parte di molti membri della polizia di stato italiana

aggiungo solo questo: in tanti anni che seguo diversi segmenti del mondo sinto o rom, quante ne ho sentite, quanti occhi neri ho visto, quanti segni di violenza sulla loro carne ho costatato!

così un articolo de ‘il Fattoquotidiano’ ricostruisce i contenuti della puntata:

“PRESADIRETTA” MANDA SU RAI TRE LE STORIE DI ABUSI E VIOLENZE SU SEMPLICI CITTADINI EMOZIONE E SDEGNO TRA GLI UTENTI, IL SINDACATO CONSAP: “FANGO SU DI NOI”.

La verità più indicibile diventa semplice se si raccontano i fatti, uno dopo l’altro. Lunedì sera Presa-diretta ha messo in fila gli episodi accertati dalla cronaca negli ultimi anni: tutte le volte che un poliziotto, un carabiniere, un agente penitenziario hanno negato il diritto alla dignità di un cittadino; tutte le volte che, invece di applicare la legge, gli uomini di Stato hanno schiaffeggiato, bastonato, preso a calci e pugni una persona affidata alla loro responsabilità. 

Chi legge il Fatto Quotidiano conosce molte di quelle storie, perché ha seguìto nel tempo la fatica delle famiglie, la rabbia di chi ha disperatamente lottato per veder riconosciuta la violenza inferta ai propri cari. Riccardo Iacona e Giulia Bo-setti, autori della puntata, hanno mostrato le foto dei morti insanguinati, i video delle aggressioni registrati fortunosamente da qualche testimone, gli sguardi persi di chi ha vissuto un abuso. E gli italiani hanno capito. Hanno lanciato allarmi via Facebook e Twitter: guardate che cosa sta andando in onda, accendete su Rai3, è un dovere civile. Bisogna per forza guardare la mamma di Federico Aldrovandi, la sorella di Stefano Cucchi, gli amici di Giuseppe Uva, la faccia di chi ha temuto di non poter mai arrivare alla verità sul proprio dolore.

SONO STATI LORO lo strumento più efficace per far prendere a tutti coscienza piena di un fenomeno su cui nessuno può tacere. Soprattutto quando i dettagli spiegano la banalità del trattamento riservato a esseri umani strapazzati come bambole. “A Federico gli sono saltati addosso, sulla schiena, gli hanno fermato il cuore, si sono rotti due manganelli su quattro” ha detto la mamma di Aldrovandi. “In Italia non esiste la pena di morte, non la possono fare loro. Io madre te l’ho dato sano, me l’hai dato morto” piange ancora Rita Cucchi.

Ma il valore più riconoscibile per i “Morti di Stato” è la sequenza meccanica delle storie meno famose, di chi è arrivato con la sua pena scandalosa fino ai giornali locali, ai dubbi di un cronista blandito dalle rassicurazioni ufficiali: nessun abuso, il problema è stato il soggetto violento, ubriaco, fanatico, malato di mente.

A VOLTE BASTA essere fratelli e mettersi a litigare un po’ più forte del normale per essere portati in Questura e rimediare una scarica di legnate (Tommaso e Niccolò De Michiel). Basta rispondere storto a un poliziotto durante un controllo per finire ammanettato e stramazzare al suolo senza che un solo testimone voglia spiegare come e perché (Michele Ferrulli). Oppure, vai allo stadio, finisci in un pestaggio alla stazione e resti disabile per tutta la vita (Paolo Scaroni).

“Dedichiamo Presadiretta a uomini delle Forze dell’ordine che ogni giorno cercano di essere all’altezza della divisa e della Costituzione” ha twittato Iacona a fine serata. “Una trasmissione vergognosa che infanga la professionalità: invitiamo tutti i colleghi a non pagare il canone” ha risposto il sindacato Consap. Nessuna reazione ufficiale è arrivata dal governo, dalle forze politiche, da carabinieri e polizia. Il silenzio, ancora.

Da Il Fatto Quotidiano

del 08/01/2014

sullo stesso numero de ‘il Fattoquotidiano’ A. Caporale, pur con i dovuti distinguo per non generalizzare, sottolinea che non a caso si chiamano forze dell’ordine e non del disordine:

IL CESTO E LE MELE MARCE

Si chiamano forze dell’ordine, non del disordine. E l’uso delle armi, della forza fisica è consentito per far rispettare la legge quando essa è violata, non per violarla. Nella terribile sequenza visiva che lunedì sera Presadiretta ha illustrato su Rai3 con la virtù del migliore giornalismo d’inchiesta, abbiamo avuto la prova di come questa elementare verità, fondamento della democrazia, risulti bugiarda. Assistere a poliziotti che manganellano con ferocia, e in alcuni casi portano la loro azione alla morte altrui, apre il registro della violenza di Stato che qui appare smisurata per la varietà e la vastità dei comportamenti di vera e propria sopraffazione. Eravamo abituati alle clip poliziesche sudamericane e invece ci ritroviamo, nel silenzio umiliante del governo e di quasi tutta la classe politica, a fare i conti con questo tipo di violenza domestica “legalizzata”.

Certo che non si deve fare di una mela marcia tutto un cesto di frutta. Ed è sicuro che la maggioranza degli uomini in divisa servano lo Stato per pochi quattrini al mese, e lo facciano con ammirevole senso di abnegazione e indubbio spirito civile. Ma qui, è terribile dirlo, non sembra che si sia in presenza di casi isolatissimi quanto piuttosto di un apparente menu espressivo di polizia e carabinieri nei confronti di target definiti (tifosi, tossici, giovani esuberanti) e in genere coincidenti con classi sociali poco agiate. Se ci fosse un ministro dell’Interno e non una figurina di plastica, questo documento visivo sarebbe già agli atti di una severa inchiesta interna. E se ci fosse un Parlamento non da oggi sarebbe approvata la norma che impone la tracciabilità di quei manganelli, l’identificazione di ogni singolo poliziotto (non va bene il nome? basterebbe un codice di riconoscibilità) perché sia chiara e pubblica l’identità di chi è chiamato a imporre il rispetto della legge e a fare un uso prudente, equilibrato, sempre soggetto a verifica, della forza che quella stessa legge gli consente di esercitare. È infine disarmante la sequela di connivenze, di opacità e vere e proprie omissioni di atti d’ufficio che ogni inchiesta giudiziaria subisce quando si trova di fronte a casi simili.

Cosa aspetta il capo della Polizia a rendere finalmente pubblico il codice di comportamento a cui ogni azione dev’essere ispirata e le sanzioni per chi varca, in nome della legge, il confine dell’illecito?

Antonello Caporale

Boff: un mondo strutturato violentemente

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amara riflessione di Leonardo Boff su questo nostro mondo in cui i diritti umani sono a tutti i livelli violati: invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate

è una dolorosa costatazione fatta anche dal documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi:

Gli aerei senza pilota, la violazione più codarda dei diritti umani

Viviamo in un mondo in cui i diritti umani sono violati, praticamente a tutti i livelli, famigliare, locale, nazionale e planetario. Il documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi, fa esattamente questa dolorosa costatazione. Invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate.

La forma più codarda è l’azione dei droni, aerei senza pilota che, da una base del Texas, condotti da un giovane militare, davanti ad uno schermo di un computer, come se stesse giocando, puntano ad identificare un gruppo di afghani che stanno celebrando un matrimonio in cui presumibilmente deve essere presente qualche guerrigliero di Al Quaeda. Basta questa supposizione per, con un piccolo click, lanciare una bomba che stermina tutto il gruppo con molte madri e bambini innocenti.

Questa è la forma perversa della guerra inaugurata da Bush e portata avanti criminalmente dal presidente Obama che non ha mantenuto le promesse della sua campagna elettorale in riferimento ai diritti umani, così come sul carcere di Guantanamo o sulla soppressione del Patriot Act (antipatriottico) con cui qualsiasi persona, negli Stati Uniti può essere imprigionata per terrorismo, senza bisogno di avvisare la sua famiglia. Ciò significa sequestro illegale che noi in America Latina conosciamo assai bene. In termini economici e allo stesso tempo per i diritti umani, si sta producendo una autentica latinoamericanizzazione degli Stati Uniti, nello stile dei momenti peggiori delle nostre dittature militari. Oggi, secondo lo stesso documento citato di Amnesty Intarnational, gli Stati Uniti sono il paese che viola di più i diritti della persona e dei popoli.

Con la massima indifferenza, come un imperatore romano assoluto, Obama nega di poter dare qualsiasi motivazione in merito allo spionaggio mondiale che fa capo al suo governo con la scusa della sicurezza nazionale, coprendo campi che vanno dallo scambio di e-mail affettuose tra innamorati, fino ai commerci riservati e miliardari di Petrobrás, violando il diritto alla privacy delle persone e la sovranità di tutto un paese. La sicurezza annulla la validità dei diritti irrinunciabili.

Il continente che soffre maggiori violazioni è l’Africa. E’ il continente dimenticato e devastato. Le grandi multinazionali e la Cina comprano terre (land grabbing) per produrre in esse alimenti per le loro popolazioni. Questa è una neocolonizzazione più perversa della precedente.

 Le migliaia e migliaia di rifugiati e migranti a causa della fame, della erosione delle loro terre sono più vulnerabili. Costituiscono una sottoclasse di persone respinte da quasi tutti i paesi “in una globalizzazione della insensibilità” come la chiamò Papa Francesco. La situazione di molte donne, dice il documento di Amnesty International è drammatica. Sono più della metà della popolazione mondiale, molte di loro soggette a violenze di ogni tipo, in varie parti dell’Africa, dell’Asia, per di più sottoposte obbligatoriamente alla mutilazione genitale

La situazione del nostro paese è preoccupante, dato il livello di violenza diffusa ovunque. Direi che non è violenza ma piuttosto che siamo posizionati su strutture di violenza sistematica che grava su più della metà della popolazione afroamericana, sugli indigeni che lottano per mantenere le loro terre contro la voracità irrefrenabile del mercato alimentare, sui poveri in generale e sui LGTB, discriminati e perfino assassinati. Poiché mai realizziamo una riforma agraria, né politica e né tributaria, vediamo che le nostre città si riempiono di centinaia e centinaia di comunità povere (favelas) dove il diritto alla salute, alla scuola, alle infrastrutture e alla sicurezza sono assicurati in maniera del tutto carente.

Il fondamento ultimo della realizzazione dei diritti umani risiede nella dignità di ciascuna persona e nel rispetto che le è dovuto. Dignità significa che essa è portatrice di spirito e di libertà che le permettono di modellare la sua stessa vita. Il rispetto è il riconoscimento che ogni essere umano possiede un valore intrinseco, è un fine in se stesso, e giammai un mezzo per nessun’altra cosa.

Davanti ad ogni essere umano, per anonimo che sia, tutto il potere incontra il suo limite, anche lo Stato.

Il fatto è che viviamo in un tipo di società mondiale che ha posto l’economia come suo asse strutturale. La ragione è solamente utilitarista e tutto, persino la persona umana, come denuncia Papa Francesco, è convertito in un “bene di consumo che, una volta usato, si può scartare”. In un società del genere non vi è posto per i diritti, ma solo per gli interessi. Persino il diritto sacro al cibo e al bere sono garantiti a chi unicamente può pagare. Se non può, sarà ai piedi della mensa, insieme ai cani, sperando in qualche briciola che cada dalla tavola ripiena degli epuloni.

In questo sistema economico, politico e commerciale si stabiliscono le cause principali, non esclusive, che portano permanentemente alla violazione della dignità umana. Il sistema vigente non ama le persone, ma soltanto la loro capacità di produrre e di consumare. Del resto, sono solamente avanzi, olio consumato nella produzione.

Lo scopo quindi inoltre da umanitario ed etico si fa principalmente politica: come trasformare questo tipo di società malvagia in una società in cui gli esseri umani possano comportarsi umanamente ed acquisire diritti basilari. In caso contrario, la violenza è la norma.

Traduzione di Carlo Felice

violenza sui minori in Italia

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“Centomila bambini e adolescenti vittime di abusi e maltrattamenti in Italia”

Un’indagine a cura di Terres des Hommes e Cismai disegna un quadro chiaro del fenomeno: tra le cause principali trascuratezza materiale o affettiva (52,7%), violenza assistita (16,6%), danni psicologici (12,8%), violenza sessuale (6,7%), patologie delle cure (12,8%), maltrattamento fisico (4,8%)

 Elisabetta Ambrosi su il Fatto Quotidiano del 17 settembre

Quasi 100mila, lo 0,98% dei minori, in maggioranza femmine (52,51%): tanti sono i bambini o adolescenti vittime di maltrattamenti e abusi in Italia. Per la prima volta nel nostro Paese, infatti, un’indagine a cura di Terres des Hommes e Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia), presentata oggi a Roma presso la presidenza del consiglio dei ministri, disegna un quadro chiaro del fenomeno. Anche se «i dati emersi», come spiega Dario Merlino, presidente del Cismai, «indicano solo i casi di minori ufficialmente presi in carico dai servizi per il maltrattamento – 15,46% del totale dei casi – mentre le cifre del sommerso potrebbero essere molto più alte: sarebbero circa 700.000 minori a rischio, di cui 140.000 in condizioni di maltrattamento».

Trascuratezza materiale o affettiva (52,7%), violenza assistita (16,6%), maltrattamento psicologico (12,8%), abuso sessuale (6,7%), patologie delle cure (12,8%), maltrattamento fisico (4,8%): queste le tipologie preponderanti del fenomeno, sul quale – come spiega Donatella Vergara, segretario generale Terres des Hommes – la mia associazione fa prevalentemente un lavoro di advocacy, aiuta cioè i decisori a trovare risposte adeguate, in termini di prevenzione e cura».

Ma proprio i decisori, emerge dal convegno, sono un punto debole della catena. Come fa notare nella sua relazione Vincenzo Spadafora, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (che tra l’altro ha potuto iniziare i suoi lavori solo un anno dopo la sua elezione), «attualmente la Commissione parlamentare per l’infanzia e danni ’adolescenza non è operativa, a causa del mancato accordo politico su presidenza e vicepresidenti, e questo ci priva di un interlocutore importante». Stesso problema per l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, attualmente decaduto a causa della rimessa nelle mani di Enrico Letta della delega alla Famiglia del ministero delle Pari opportunità, dopo le dimissioni della ministra Josefa Idem.

L’indagine condotta da Cismai e Terres des hommes, anche in vista degli “Stati generali 2013 sul maltrattamento all’infanzia in Italia” (previsti a Torino il 12 e 13 dicembre prossimo), comincia a colmare un vuoto statistico sempre più ingiustificabile. «Anche se i comuni presi in considerazione sono 49, di cui 31 hanno risposto – spiega Federica Giannotta, responsabile diritti infanzia Terres des hommes – il campione – circa 5 milioni di abitanti, di cui 758.932 minori, di cui 48.280 in carico ai servizi sociali – è comunque rilevante, e non comprende solo grandi città».

Ma anche se le percentuali ufficiali che vanno emergendo, e che pure non comprendono il sommerso, non sono lontane da quelle degli altri paesi – 0,91% negli Stati Uniti, 0,76% in Australia, ma ricerche europee viaggiano su dati analoghi – i tagli ai Comuni stanno mettendo a dura prova l’assistenza attuale, dunque il quadro potrebbe peggiorare ulteriormente. Ne sa qualcosa Roberta Greta, assessore al Welfare del Comune di Napoli, dove il 20% della popolazione è minore e dove, spiega, «molti adolescenti vengono allontanati per comportamenti criminali, invece che tutelati. Oppure molti minori finiscono nei centri di riabilitazione, in cui sono curati solo da neuropsichiatri, senza che si indaghi sulle ragioni della loro sofferenza. Per non parlare, «conclude», del problema della presenza di minori non censiti».

Non basta dunque, continua l’Autorità garante Spadafora, annunciando tra l’altro l’avvio di un’indagine sui fondi spesi e su quelli, europei, non spesi, «approvare ottime leggi o ratificare convenzioni internazionali. Né fermarsi ai casi di cronaca, spesso trattati malamente o spettacolarizzati dai media. Di fronte a un’emergenza crescente (ci sono due milioni di bambini in famiglie povere o poverissime), serve soprattutto la volontà del Parlamento a completare gli sforzi delle associazioni e delle authorities». Il primo, urgente, obiettivo è arrivare a procedure di standard di registrazione e una omogeneità dei sistemi di classificazione. «Per questo», conclude», siamo pronti, nonostante i pochi fondi, a cofinanziare un’ulteriore passo dell’indagine condotta da Cismai e Terres des hommes».

a proposito di violenza sulle donne

 

ancora papaveri

un rapporto dell’O.N.U. dice che l’Italia è uno dei posti più sicuri per le donne, se ci si rapporta al femminicidio; ma siccome per scurezza si intende, di solito, l’oggettiva condizione di assenza di pericolo, allora le cose stanno in modo molto diverso

basta confrontare i dati ISTAT sulla violenza sulle donne nel 2007

interessanti riflessioni sul femminicidio e sulla violenza contro le donne da parte di M. De Maglie

(vedi link qui sotto)

Femminicidio

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