il «virus dell’indifferenza», letale quanto il Covid, genera «ingiustizia sociale» e porta a scartare e sfruttare i poveri

papa Francesco

la politica non disprezzi i poveri, scartandoli o sfruttandoli a fini di potere

Videomessaggio ai partecipanti alla conferenza internazionale “A Politics Rooted in the People”. Francesco scrive ai vescovi del Brasile colpito dal Covid: «Il virus dell’indifferenza infetta l’umanità e genera ingiustizia sociale»

Papa Francesco

Francesco esprime il suo sostegno al loro lavoro che, a volte, «può risultare scomodo». «Alcuni – dice – vi accusano di essere troppo politici, altri di voler imporre la religione. Ma voi percepite che rispettare il popolo è rispettare le sue istituzioni, anche quelle religiose; e che il ruolo di queste istituzioni non è imporre nulla, bensì camminare con il popolo, ricordandogli il volto di Dio che ci precede sempre».

Nel filmato, interamente in spagnolo, Francesco si appella alla politica chiedendo, anzi, implorando di non disinteressarsi dei poveri, disprezzandone cultura e valori, anche quelli religiosi, «sia scartandoli sia sfruttandoli, a fini di potere». «Il disprezzo della cultura popolare è l’inizio dell’abuso di potere», afferma il Papa. «Quando il popolo è scartato – è la sua denuncia – viene privato non solo del benessere materiale, ma anche della dignità dell’agire, dell’essere protagonista della sua storia, del suo destino, dell’esprimersi con i suoi valori e la sua cultura, della sua creatività, della sua fecondità».

Anche la Chiesa viene chiamata in causa dal Pontefice: «Per essa è impossibile separare la promozione della giustizia sociale dal riconoscimento dei valori e della cultura del popolo, includendo i valori spirituali che sono fonte del suo senso di dignità».

Il Papa esprime quindi il suo “sogno” già rivelato nel libro: «Che tutte le diocesi del mondo abbiano una collaborazione sostenuta con i Movimenti popolari», perché «andare incontro a Cristo ferito e risorto nelle comunità più povere ci consente di riacquistare il nostro vigore missionario, perché così è nata la Chiesa, nella periferia della Croce». Se la Chiesa smette di interessarsi dei poveri, «rivive le vecchie tentazioni di trasformarsi in una élite intellettuale o morale», «una nuova forma di pelagianesimo o di vita essena».

Secondo il Vescovo di Roma, c’è un rischio grande che è quello di farsi contagiare dal «virus dell’indifferenza». Lo scrive nel messaggio ai vescovi del Brasile riuniti nella loro 58esima Assemblea Generale, che si apre con parole di vicinanza alle migliaia di famiglie del Paese latinoamericano, tra i più colpiti dalla emergenza sanitaria, che piangono la perdita dei loro cari a causa del Covid, e con un ricordo dei vescovi vittime sempre del coronavirus.

«Questo andarsene senza poter salutare, questo andarsene nella solitudine più spogliata è uno dei dolori più grandi che hanno quelli che ci lasciano», afferma Papa Francesco. Di fronte a un dramma così enorme, bisogna mettere da parte «divisioni e disaccordi» e lavorare uniti «per superare non solo il coronavirus, ma un altro virus che da tempo infetta l’umanità: il virus dell’indifferenza che nasce dall’egoismo e genera ingiustizia sociale».

Parole in linea con il videomessaggio inviato sempre oggi dal Pontefice al Congresso internazionale dedicato a santa Teresa d’Avila, dal titolo “Donna eccezionale”, mutuato dalla definizione di Paolo VI della santa. Il congresso termina oggi all’università cattolica della città castigliana, nel 50esimo anniversario del dottorato di santa Teresa.

Come all’epoca di Teresa (il XVI secolo), anche oggi «viviamo in “tempi difficili”, non facili, che hanno bisogno degli “amici fedeli di Dio”, amici forti», annota il Papa nel filmato. «La grande tentazione è quella di cedere alla disillusione, alla rassegnazione, al triste e infondato presagio che tutto andrà male». Ecco, proprio «quel pessimismo sterile, quel pessimismo di persone incapaci di dare la vita» rappresenta una grande piaga per l’umanità odierna perché «chiude le persone nei loro recinti protetti». Invece Dio chiama ad aprirsi e a farlo nel segno della misericordia: «Tale cammino – rimarca il Pontefice – non è aperto a coloro che si considerano puri e perfetti, i catari di tutti i secoli, ma a coloro che, consapevoli dei loro peccati, scoprono la bellezza della misericordia di Dio, che accoglie tutti, redime tutti e chiama tutti alla sua amicizia».

 

il virus dei populismi avvelena il cristianesimo

“Dio? In fondo a destra”

quando il “virus dei populismi” avvelena il cristianesimo

In libreria il volume, edito da Emi, del vaticanista Iacopo Scaramuzzi: una mappa di usi, abusi e strumentalizzazioni della religione e dei suoi simboli in Italia, Ungheria, Usa, Francia, Brasile da parte di leader politici sovranisti

Quel rosario brandito da Matteo Salvini nel maggio di un anno fa, con tanto di schiocco delle labbra sulla coroncina mentre giurava da “premier” su un palco a Milano, era stato il caso più emblematico. Il massimo esempio di un virus che, prima del Covid-19, aveva infettato l’Italia, la fede, la politica: la strumentalizzazione del cattolicesimo e dei suoi simboli, con usi e abusi di rosari, crocifissi e Madonne, da parte di politici di destra. Un fenomeno cresciuto in Italia, ma che trova focolai anche nell’Ungheria di Viktor Orbán, nella Francia di Marine Le Pen, come pure nella Russia di Vladimir Putin, nel Brasile di Jair Bolsonaro e negli Stati Uniti di Donald Trump.
Questa mappa, puntellata di posizioni ideologiche, velleità da ancien régime e dalla continua ricerca di un nemico da combattere – l’immigrato come il gay o la donna emancipata, oppure la modernità e il multiculuralismo – è ricostruita in un libro edito da Emi “Dio? In fondo a destra”, disponibile in versione cartacea ed ebook. Il titolo gustoso già preannuncia l’acume analitico e la buona dose di ironia che caratterizzano queste 142 pagine scritte da Iacopo Scaramuzzi, vaticanista tra i migliori sul campo dell’agenzia Askanews e firma di punta di Vatican Insider.
Nel volume – che ha la prefazione di Gad Lerner – Scaramuzzi indaga fino a entrare nel vivo della questione, toccandone nervi scoperti e non risparmiando nomi, cognomi, date, luoghi che rivelano un albero genealogico di ideologie e affinità intellettuali. Dal libro si scopre chi, quando, dove, come ha manipolato la religione, sventolando rosari o invocando la Vergine, quella di Fatima o di Medjugorje (poco importa purché gli algoritmi dei social network si impennino), al fine solo di guadagnare voti, potere e prestigio. E soprattutto per accaparrarsi la fiducia dell’ampio elettorato cattolico, tanto smarrito quanto nostalgico, offrendogli l’illusione di avere un “proprio” rappresentante al governo.
«Usare simboli religiosi e popolari – scrive il giornalista – è un segnale di fumo destinato a un elettorato smarrito dalla globalizzazione e dalla crisi economica, una rassicurazione a buon mercato a chi mal sopporta una società secolarizzata, multiculturale e liquida, a quanti per paura di perdere i privilegi conquistati nel secondo dopoguerra cercano un nemico, che sia un immigrato musulmano, una coppia omosessuale che vuole sposarsi o una donna che rivendica la propria autonomia, a coloro che, per timore del futuro, hanno nostalgia di un piccolo mondo antico, voglia di strapaese».
Il focus si concentra sulla situazione in Italia, in particolare su colui che fino a prima del “crollo” veniva osannato, perlopiù dai suoi seguaci – inclusi blog cattolici conservatori da sempre ostili al Pontefice regnante -, come uno dei più alti rappresentanti del Paese, Matteo Salvini. L’autore ricorda il consenso suscitato dal bacio al rosario in piazza Duomo: fu lo stesso leader del Carroccio a rimanerne per primo sorpreso, come affermeranno mesi dopo gli «esegeti del salvinismo». «Divorziato, indifferente, a essere eufemistici, delle cose di Chiesa, né praticante né granché interessato alle tematiche bioetiche e tantomeno devoto (ammetterà di non pregare neppure il tanto esposto rosario), il leader della Lega diventa di punto in bianco il campione della simbologia cattolica», sottolinea Scaramuzzi. E questo «non solo per intercettare i voti di qualche movimento cattolico conservatore in cerca d’autore; non tanto per rimarcare ancora una volta la sua distanza dalla Lega secessionista di Umberto Bossi che, negli anni ruggenti, si scagliava contro i “vescovoni”, parte integrante di “Roma ladrona”, e solo tardivamente recuperò una qualche cordialità con il Vaticano di Benedetto XVI», testimoniata dalle magliette esibite a Pontida.
Di Salvini si ricorda anche l’affidamento al “Cuore Immacolato di Maria” perché intercedesse per il successo elettorale del suo partito. Un richiamo alle apparizioni di Fatima del 1917, «storia che intreccia devozione popolare e mitologia politica», ovvero la Madonna patrona dell’anticomunismo, venerata per questo anche dai lefebvriani. Scaramuzzi fa notare come negli stessi giorni, a migliaia di chilometri di distanza, il presidente Bolsonaro – lo stesso che strizza l’occhio alle correnti pentecostali – consacra il Brasile ad una statua raffigurante la medesima Vergine di Cova de Iria. È la dimostrazione che «quella del leader leghista non è una trovata estemporanea, ma scientemente si inserisce in una strategia ben coordinata dell’estrema destra globale. Che mescola i più recenti ritrovati del marketing politico alle icone novecentesche con spregiudicatezza, scaltrezza. E cialtroneria».
Il quadro, «inizialmente oscuro», si chiarisce quindi se si uniscono i puntini da Roma a Brasilia, da Washington a Budapest, da Parigi a Mosca. Nel libro si analizza l’ascesa di Trump negli Usa, paladino di fondamentalisti evangelical e cattolici integralisti uniti da una sorta di «ecumenismo dell’odio» già denunciato da Civiltà Cattolica; si ricostruisce la «conversione» di Orbán, quasi una «foga» di abbracciare il cristianesimo, che lo spinge a caricare di rabbia i suoi slogan anti-migranti; si osserva l’islamofobia del Front National guidato dalla Le Pen che negli anni ’70 contrastava gli immigrati e oggi mette all’indice i loro figli e nipoti, facendoli sentire «stranieri a casa loro».
Tutti personaggi, questi elencati, assurti a modello di credenti, laddove – rileva l’autore – nella vita personale mancano di una «normale» esperienza di fede. La destra mondiale, composta da una rete internazionale di «ideologi disinvolti» come anche da «atei bigotti», ha cercato «nei simboli e nei temi religiosi una patina di rispettabilità e di assonanza con il sentire comune», annota Scaramuzzi, che individua anche le cause di tale fenomeno: «Non c’è un comune ispiratore occulto, non c’è un burattinaio che tira le fila dall’Europa all’Asia alle Americhe. È lo spirito del tempo, la conseguenza del collasso della globalizzazione, l’onda lunga di una crisi economica epocale. Ma l’uso di Madonne, presepi e crocifissi non è neppure completamente spontaneo».
A corroborare la tesi sono riportati nel libro studi autorevoli e interviste con esperti religiosi e laici. Tra questi il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente dei vescovi europei, che critica l’uso «un po’ trionfalistico del concetto di radici cristiane» e parla di «nazional-cattolicesimo», versione ridotta della religione di un Dio incarnato che è il cristianesimo. «Non c’è più niente di vivo, è pietrificata, ed una religione pietrificata servirà magari una decina d’anni, poi sarà gettata via e sostituita da un’altra ideologia che può servire i populisti», afferma il porporato. Il rischio, afferma Scaramuzzi, è che il cristianesimo finisca per trasformarsi «in un monumento ai caduti».
A rompere equilibri e sbaragliare strategie è giunta ora la pandemia globale di coronavirus che è riuscita, come mai ha fatto la politica, a svelare l’inconsistenza del pensiero sovranista e dimostrare che «siamo tutti sulla stessa barca», usando le parole di Papa Francesco. Proprio lui è l’antidoto al veleno del populismo identitario: il Pontefice argentino che nel suo background porta il «mito» del popolo protagonista della storia e che nella Sicilia, dove l’anno scorso ha sfondato la Lega, ha tuonato che l’unico populismo accettabile è quello «cristiano», fatto di ascolto e servizio.
Papa Francesco, sottolinea Scaramuzzi, «non sottovaluta i populismi, non li demonizza, non li snobba. Ha la capacità di vedere i conflitti che ci sono dietro, l’emotività che li sostanzia, sa distinguere buone domande e cattive risposte. Capisce il popolo, viene dal popolo, è popolare non populista». E con il suo radicalismo evangelico, si impegna «ad annunciare la buona novella di un mondo più giusto, più misericordioso, più fraterno»

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