terminato il “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)
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«Abbiamo scritto una pagina di storia»
chi può dar torto al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per questo soddisfatto commento a chiusura dei lavori del “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)? Perché se è vero che erano assenti quattro Chiese (quelle russa, antiochena, bulgara e georgiana) su 14 – defezione che fa decadere nella definizione dell’evento il tanto auspicato aggettivo “panortodosso” –, è altrettanto vero che la sua realizzazione, in forse fino a tre giorni prima dell’avvio, è stata un’«occasione di incontro», come è stata definita dagli stessi partecipanti, non “universale”, ma sì storica: non si vedeva un Concilio che riunisse le varie Chiese ortodosse da oltre mille anni
a Creta, chiuso il Concilio ortodosso: la parziale unanimità
da: Adista Notizie n° 25 del 09/07/2016
«Abbiamo scritto una pagina di storia». Chi può dar torto al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per questo soddisfatto commento a chiusura dei lavori del “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)? Perché se è vero che erano assenti quattro Chiese (quelle russa, antiochena, bulgara e georgiana) su 14 – defezione che fa decadere nella definizione dell’evento il tanto auspicato aggettivo “panortodosso” –, è altrettanto vero che la sua realizzazione, in forse fino a tre giorni prima dell’avvio, è stata un’«occasione di incontro», come è stata definita dagli stessi partecipanti, non “universale”, ma sì storica: non si vedeva un Concilio che riunisse le varie Chiese ortodosse da oltre mille anni (v. Adista Notizie n. 22/16).
I lavori, condotti in uno stile improntato alla «cooperazione» e all’«amore fraterno» da 290 delegati delle Chiese «superstiti», hanno prodotto un considerevole risultato: insieme alla pubblicazione di una enciclica e alla diffusione di un messaggio «al popolo ortodosso e a tutte le persone di buona volontà», sono stati emendati e approvati all’unanimità i sei documenti elaborati nella fase preparatoria per la discussione conciliare: la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, la diaspora ortodossa, l’autonomia delle Chiese e il modo di proclamarla, l’aggiornamento delle norme sul digiuno, i rapporti con le altre Chiese cristiane, gli impedimenti per la celebrazione del matrimonio. Erano presenti una quindicina di osservatori delle Chiese cristiane in rappresentanza della Chiesa cattolica (il card. Kurt Koch e mons. Brian Farrell, rispettivamente presidente e segretario generale del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani), della Comunione anglicana, della Federazione Luterana Mondiale, e di organismi ecumenici quali la Conferenza delle Chiese Europee e il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.
I lavori si sono svolti a porte chiuse, tranne che per la sessione di apertura e quella di chiusura (25 giugno). Durante quest’ultima, Bartolomeo ha voluto tracciare un primo bilancio, riconoscendo che «non è stato tutto facile» e che «il fattore umano è stato presente» e dichiarandosi amareggiato per l’assenza di diverse Chiese, ma anche soddisfatto perché è emerso che «nonostante l’istituzione dell’autocefalia, siamo una Chiesa indivisibile e godiamo dell’unità nella nostra diversità e della diversità nella nostra unità». Ha così potuto concludere: «Abbiamo scritto insieme una pagina di storia, un nuovo capitolo nella storia contemporanea delle nostre Chiese»; «possiamo dire di aver dato prova ancora una volta della nostra unità in Cristo». Il concetto dell’unità a partire dalla pluralità è stato ulteriormente ribadito quando ha affermato: «Il Santo e Grande Concilio ha rivelato che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, unita dalla fede, dai sacramenti e dalla testimonianza nel mondo, incarna ed esprime in modo autentico il principio ecclesiologico centrale e la verità della sinodalità, e ha anche ribadito che la Chiesa vive come un “sinodo”». L’incontro di Creta non può comunque esaurirsi qui, ha detto ancora Bartolomeo; esso deve essere seguito da «un Concilio dopo il Concilio», ovvero «le decisioni sinodali panortodosse devono essere inserite nella vita delle Chiese ortodosse locali, rese pubbliche nelle parrocchie, nelle sante arcidiocesi, nelle metropolie e nei santi monasteri, discusse nelle scuole teologiche e nei seminari, utilizzate per il catechismo e l’educazione dei giovani, per poter recare frutto nel ministero pastorale e nelle attività della Chiesa nel mondo».
No al fondamentalismo, sì ai diritti umani
Il messaggio finale – su temi tratti dalla “Enciclica del Santo e Grande Concilio del 26 giugno 2016” (per il testo integrale, si veda www.ortodossia.it) – è articolato in 12 punti. Vi si parla di diritti umani: «Davanti all’omogeneizzazione livellatrice e impersonale, che viene promossa in vari modi, l’ortodossia proclama il rispetto dell’individualità degli uomini e dei popoli», e «si oppone alla proclamazione di autonomia dell’economia dalle necessità basilari dell’uomo e nella sua trasformazione fine a se stessa. Il progresso del genere umano non si collega con lo sviluppo del tenore di vita o dell’economia, a scapito dei valori spirituali» (fra i diritti umani, «la protezione della libertà religiosa, ossia della libertà di coscienza, di fede, di culto e di tutte le sue manifestazioni personali e collettive, compreso anche il diritto di ogni fedele e di ogni comunità religiosa di celebrare» i propri riti). Vi si parla di crisi ecologica, che è «dovuta a cause spirituali ed etiche», in quanto «le sue radici si collegano con l’avidità, l’ingordigia e l’egoismo, che conducono allo sconsiderato utilizzo delle risorse naturali, al peggioramento dell’atmosfera con dannose sostanze inquinanti e al cambiamento climatico. Il modo cristiano di affrontare il problema richiede un ravvedimento per gli abusi, moderazione ed ethos ascetico, che costituiscono un antidoto all’eccesso di consumo, e allo stesso tempo di coltivare nell’uomo la coscienza che egli è “economo” e non possessore della creazione».
Centrale, nel messaggio, è la denuncia delle «esplosioni di fondamentalismo che si osservano in seno a diverse fedi, espressione di malsana religiosità», la «condanna» netta dell’«accrescimento della violenza bellica, delle persecuzioni, dell’espulsione e degli omicidi di membri delle comunità religiose, della coercizione per cambiare fede, del traffico di profughi, dei rapimenti, delle torture, delle efferate esecuzioni».
Il documento manifesta la preoccupazione delle Chiese ortodosse «per la situazione dei cristiani e di tutte le minoranze perseguitate in Medio Oriente e ovunque», e «rivolge un appello all’intera comunità mondiale per la protezione degli ortodossi nativi e per tutti gli altri cristiani, come anche per tutta la popolazione della regione, che hanno l’inviolabile diritto di rimanere nella loro patria come cittadini di uguali diritti». E perciò, «tutti coloro che sono coinvolti» compiano «senza ritardo sforzi sistematici per far cessare i conflitti bellici in Medio Oriente e per il rientro di coloro che sono stati espulsi. In particolare – è scritto ancora nel messaggio finale – rivolgiamo un appello ai potenti della Terra affinché prevalga la pace e la giustizia nei Paesi di arrivo dei profughi» ed «esortiamo le autorità politiche, i cittadini e i cristiani ortodossi a continuare a offrire aiuto nei limiti delle proprie possibilità».
Che farà la Chiesa ortodossa russa?
Quell’unità e quella sinodalità della Chiesa ortodossa, tanto esaltate da Bartolomeo I a Creta, hanno mostrato subito la corda. Il giorno in cui si è chiuso il Concilio “panortodosso” (27 giugno), l’agenzia russa Interfax – non governativa ma molto vicina al Cremlino, che a volte, ricorda Luis Badilla su Il sismografo (27/6), «funge quasi come un media portavoce del Patriarcato di Mosca» – ha designato l’incontro ortodosso come «Forum di Creta» (o anche «Forum inter-ortodosso di Creta»). D’altra parte è prevedibile che la Chiesa ortodossa di Russia non riconosca l’incontro cretese come Concilio: insieme alle Chiese bulgara, antiochena e georgiana, era del parere che l’evento dovesse essere rimandato in attesa della risoluzione delle controversie e del completamento dei progetti di suoi documenti.
Il problema è, ora, che l’auspicio di Bartolomeo – «le decisioni sinodali panortodosse devono essere inserite nella vita delle Chiese ortodosse locali» – possa cadere nel vuoto. Se ne saprà qualcosa presto: la disanima di quanto emerso da Creta avverrà a luglio durante la riunione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa.
Ma un indizio non fausto sembra emergere dalla dichiarazione rilasciata, ancora all’agenzia Interfax-Religion (26/6), dal vice capo del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Nikolaj Balashov, a proposito proprio delle affermazioni di Bartolomeo sull’obbligatorietà dell’osservanza, per tutte le Chiese, comprese quelle che hanno rifiutato di parteciparvi, delle decisioni prese a Creta. «Nella Chiesa non c’è democrazia, fin dal primo secolo, e non ci sarà mai», ha detto Balashov, spiegando che la democrazia è il potere del popolo e nella Chiesa «il potere appartiene a Dio». «Nella Chiesa c’è un meccanismo decisionale del tutto diverso», ha aggiunto il sacerdote, ricordando le parole del primo Concilio apostolico: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…». E dunque, «perché i vescovi possano parlare così, deve esserci l’unanimità, una concordia comune» fra tutte le Chiese ortodosse, non solo fra quelle presenti a Creta.
* Bartolomeo I in un’immagine di Massimo Finizio, tratta da Commons Wikimedia