SULLA SPIAGGIA DI MORGHELLA UN BARCONE ARRIVA A POCHE DECINE DI METRI DALLA RIVA. LA SOLIDARIETÀ DEI BAGNANTI CHE SI BUTTANO IN ACQUA PER AIUTARE I 160 PROFUGHI.
Pachino (Siracusa)
Alle 11 del mattino il cielo è grigio, la luce è pesante, metallica, c’è vento di ponente. È ferragosto, Morghella è la spiaggia più vicina all’Africa, il mare rompe sulla roccia. Così la vita si ferma, alle 11 del mattino, mentre un barcone tracolla, a pochi metri dalla riva.
Una specie di golem emerso dal sonno delle nostre pavidità, sputa il carico malsano, si prende gioco del coraggio di ognuno. Il barcone, con i bambini vascello, sono uguali a quelli che finiscono negli abissi, che spirano avvolti nello hijab delle madri, con i piedini azzurri violacei, immobili come le statue di sale; e invece sono tutti lì, un carico impudico di carne viva, siriani, immigrati, profughi, clandestini, neri: sono 160, di questi 67 sono bambini e 28 le donne, oppressi nella solita lurida carretta. Solo che stavolta non muore nessuno, nessuno cade in mare. Stavolta le guardie non berciano.
LA SPIAGGIA zittisce di colpo, la vita si ferma, anche sopra la baia; la vita si ferma, in paese, qualcuno avvista il golem, è giorno, è ferragosto, il golem è un’apparizione, da far tremare i polsi. Di colpo nessuno pensa al coraggio, a tutti però tocca di essere diversi; gli uomini sono neri, sono sagome che si agitano sul barcone, ma è ferragosto, non è notte, non è il canale dove muoiono come tonni, è una spiaggia, è un giorno qualunque anche. C’è ancora uno strano silenzio, da far tremare i polsi; le creature sputate dal golem parlano la lingua di Babilonia, ognuno dei presenti avrà la certezza che l’evento è enorme e che nasconde un significato terrificante, che induce ad una pietà scandalosa come l’amore, una pietà biblica. Le donne si dispongono in fila, entrano in acqua, usano lo stesso passo, sono decise però, sorridono, cominciano a tendere le mani alle altre che tremano sul barcone, nessuno pensa al coraggio, benché la vita lo stia pretendendo in quel preciso momento, alle 11 del mattino di un giorno d’agosto, una pretesa corale, distesa come un immenso hijab sul capo di quegli uomini normali.
DIETRO LE DONNE, si aggiungono gli uomini, i ragazzini, le onde si rompono sulla roccia, il barcone è fissato alla cima. Il barcone è un golem circondato da mani tese adesso, i giovani si tuffano in mare, guizzano come delfini nei loro costumi sportivi, raggiungono le fiancate del peschereccio, con la prua azzurra, le donne in fila con i pareo annodati al fianco tendono le braccia alle altre avvolte dalle pashmine, i colori delle stoffe si confondono dentro la luce metallica, non un neonato cade in mare, non un vagito inghiottito dagli abissi. Catania ha appena seppellito i suoi morti, l’olocausto dei sei sulla spiaggia della plaja. Ci sono molti catanesi a Morghella, il lutto brucia ancora, tutti presenti stavolta, se la vita interroga sul coraggio o la coscienza, saremo tutti presenti: è accaduto.
LA SPIAGGIA di Morghella è un luogo inaudito, sconfessa l’umanità che ci hanno raccontato in questi anni, chi sono costoro? Chi era quell’umanità? Un vecchio in canottiera, un vecchio nero profugo clandestino, tentenna accompagnato da due ragazzoni, uno con gli occhiali, l’aria da bravo studente, il vecchio è al sicuro, ha le lacrime agli occhi, o le abbiamo noi che li guardiamo da qui. Oggi il presidente Napolitano esulta. “Questa è l’Italia migliore”. Così è stato: gli uomini aspettavano a prua, nel golem fissato alla cima, ammutoliti, mentre si compiva ogni cosa; gli altri smettevano di essere gli altri, da qualunque parte si osservassero, ognuno era un po’ più libero.
Da Il Fatto Quotidiano del 17/08/2013.