Ognuno ha “la sua idea di bene”?
da liberale, dico no a Bergoglio
così Umberto Minopoli, ‘ateo devoto’ come lui stesso si definisce, in una lettera al direttore de ‘il Foglio’, Giuliano Ferrara, delineando nelle posizioni di papa Francesco, specie in riferimento alle riflessioni sulla ‘coscienza individuale’ il rischio di ‘individualismo ‘ addirittura ‘radicale’
il rischio è, ovviamente solo immaginato dalla ‘paura’ tipica di chi fa di un tradizionalismo (non della tradizione) ,di linguaggio e di sostanza, qualche cosa di essenziale e insuperabilmente immodificabile nella sua rigidità
è interessante notare che il testo sembra scritto quasi da un teologo della liberazione, la cui teologia fa comodo a ‘il Foglio’ e all’autore della lettera pur di non compromettere un’impostazione e un linguaggio (anche solo questo!) consacrati da un rigido tradizionalismo premoderno
Materialisticamente la moderna biologia, quella che si è dedicata alla decrittazione e traduzione dell’informazione contenuta nel genoma umano, sostiene, a ragione, che l’idea di “bene comune” e di comportamento altruistico orientato a strutturare comunità è la vera e unica specificità che distingue l’alfabeto genetico umano da quello di ogni altro vivente. Nella costruzione sociale umana le “comunità” ecco il punto, non sono entità ristrette, puramente naturali, istintive, limitate a cerchie parentali e fondate su un puro comportamento di autodifesa dal resto dei viventi, come funziona invece nel regno animale. Ma sono comunità allargate perché finalizzate, attraverso la divisione del lavoro e la specializzazione delle attività, alla valorizzazione del “bene comune” come condotta che produce il miglioramento della specie. Le grandi sintesi culturali dell’occidente – cristianesimo, illuminismo, liberalismo – hanno cercato di strutturare un corredo di valori e di concetti che fungessero da driver e meccanismi di protezione del funzionamento della comunità umana strutturata sul concetto di “bene comune”. La “società” è in occidente un prodotto culturale che funziona solo in un’accezione di “coscienza collettiva” irriducibile all’idea di “bene” come prodotto della coscienza individuale. Azzarderei a dire, come sostiene un grande libro migliorista – “L’ottimista razionale” di Matt Ridley – che l’individuo è il tratto che accomuna la geografia e l’alfabeto genetico dei viventi. E’ invece il sociale – “cervello sociale”, “cultura” tecnologica, divisione del lavoro, altruismo – il tratto che distingue l’umano da ogni altra versione del vivente. Ciò che lega insieme questa specificità umana è, insomma, il “bene collettivo” come comportamento migliorativo e più pagante per l’individuo rispetto al “bene” come astratta costruzione individuale. Ma come, insorgono i soggettivisti e gli individualisti radicali, dove va a finire con questa idea sociale e collettiva di bene il tribunale interiore, il foro individuale, la costruzione liberale dell’individuo come massimo dei valori fondativi della libertà liberale? L’idea di libertà liberale non è affatto soggettivistica.
Il “foro individuale” non è, per i liberali, il perimetro irriducibile del castello della libertà. E’ un valore difensivo: dalle invasioni, prevaricazioni e deformazioni del funzionamento sociale, delle istituzioni comunitarie, delle strutture della convivenza altruistica che non devono mai debordare dall’equazione di base della socialità liberale: l’individuo è orientato dal “bene comune” e il “bene comune” è la forma che realizza, nelle società liberali, il miglioramento della qualità della vita dell’individuo. Per me questo sarebbe, al fondo, un concetto cristiano. Stupisce non trovarlo nelle ruggenti affermazioni di Francesco.
Gnocchi e Palmaro Orgoglioso lamento cattolico – Ferrara La coscienza di due cristiani liberi
di Umberto Minopoli